L’arte della burocrazia nel mucchio delle smart-card [prima parte]

La burocrazia è violenza contro violenza: solo nel momento in cui prende coscienza di questa propria natura essa può voler rendere superflua la propria violenza contro-artistica e vetero-liberista. Tutto quel che la sua visione incontra diventa un invito a porre domande, a seguire il filo dei pensieri e delle associazioni ovunque possa condurre e, così facendo, a scoprire inediti percorsi di senso e un nuovo modo di classificare il reale. Lascio al lettore il compito di scoprirne le più intime risonanze.

Nel potere governativo abbiamo sempre due elementi, l’azione reale e la ragione di Stato di quest’azione: come un’altra coscienza reale che, in una articolazione totale (in einer totalen Gliederung) è la Burocrazia.

Karl Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico

Le derive della narrazione: Italiocrazia/Succivis è una terra schiavizzata e alterata dalle sorti dell’impolitico. Abitata da faccendieri, filibustieri, maestri della fuffa diffusa, giganti della duchampocrazia e altri esseri mitici. Alla sua estremità anfibica si trova il minuscolo reame di Duchampòcrazia, in una penisola del Tridente Laziale isolata dal continente nei periodi di alta marea. È qui, in questo piccolissimo regno politico, che incontriamo gli eroi di questa epopea duchampocratica: il sempreverde politico, Cesare Insalatagiusta, conturbante e vivace, mascherato da artista innovatore,  e Rap, l’umile burocrate e suo compagno di giochi. Tutto sembra scorrere nella dimensione della burocrazia post-politica, quando un giorno una enigmatica profezia artistica viene a sconvolgere le abitudini del tranquillo reame: forse l’artista di turno deve approdare ad una nuova mostra, combattendo le sorti della burocrazia creativa. La ragione tiene conto delle ragioni del mondo; il razionalismo burocratico e astratto no! Nessuno ne è sicuro, ma chi può ignorare un avvertimento estetico, in un mondo dove gli dei hanno l’apparente usanza di spuntare nei momenti più impensati? E così, data la scarsità di buoni partiti, per Alphacesare e Betacarolina, la giovane faccendiera dovrà lasciare per un po’ il suo dolce regno duchampocratico e recarsi nel lontano impero Art Basel, a farsi una vera educazione da fantasmocrate. Ma proprio mentre Beta è assente, Duchampòcrazia diventa teatro di mirabili avvenimenti: arrivisti misteriosi giungono in visita al vecchio e malato Tempio  delle Esposizioni, strane voci cominciano  a rincorrersi su una stanza segreta ove un lontano antenato, un potentissimo burocrate, ha forse nascosto incredibili meraviglie. È lo stesso Cesarocrate, il giovane espressionista-performista, che dimostra all’improvviso inaspettate doti e strani talenti: riesce a mettere insieme il lavoro di artista e quello di dirigente politico. 

Una saga splendida, avvincente come poche, romantica ed effervescente, piena di ironia e di simpatici arrivisti: un giorno, un artista che si sentiva libero, ma veramente libero, varcò la porta di pietra del Palazzo del Governatore (forse non aveva capito bene neanche di quale governatore) della Capitale. Subito gli si fece incontro un addetto agli uffici, alto alcuni metri che gli disse bruscamente:

      «Cosa sta cercando in questo luogo? In questo luogo da anglofoni, per conto di un ufficio custodiamo il governo. Con la mascherina, designiamo il complesso dei pubblici uffici e dei pubblici funzionari, cui sono demandati l’esecuzione operativa e il controllo amministrativo, da eseguirsi ambedue impersonalmente, sulla base di criteri unitari e prefissati, a carico di tutti i soggetti che rientrano in determinate categorie generali. Qui promulghiamo atti stabiliti, o regolati dal potere centrale di uno Stato, il cosiddetto parlamento nelle democrazie liberali, gli organi supremi del partito e del governo nelle dittature, l’imperatore negli antichi imperi. Noi siamo l’apparato amministrativo, che amministra l’amministrato. Noi siamo il partito, l’associazione, il sindacato, siamo la scuola. Noi siamo il ricorso esclusivo alla norma scritta, l’automaticità delle procedure senza meccanismo. In una parola sola: noi siamo la resistenza al Mutamento. Ecco la sua card d’ingresso!».

   «Cerco un punto d’appoggio», gli veniva quasi di intonare la canzone di Battiato “… cerco un centro di gravità permanente…”, «una voce amica che mi indirizzi nella stanza più vicina a quella del Direttore o del Governatore, perchè vorrei fare una mostra, un’esposizione  scintillante sul mio nuovo ciclo di lavori e, quindi, cerco chiunque mi aiuti a parlare con un addetto dell’Istituzione, forse dell’Ente (insomma quello lì contrapposto all’esistente; un’entità come essenza che è anteriore alle sue determinazioni …). Un Preposto o dei preposti che possa darmi indulgenza per una mia ambita esposizione», replicò l’artista emergente con la cravatta a farfalla e le scarpe viola in tinta, col doppiopetto e i pantaloni di lana morbida.

L’addetto dell’ufficio cultura, tutto gentile gli spiegò quali e quanti corridoi, stanze una nell’altra, sezioni di registro, segreterie amministrative e segreterie politiche avrebbe dovuto vagare. Ogni regola, ogni legge è falsa, per la natura polimorfa della realtà. Su questo punto tutti sembrano d’accordo, eppure nessuno ama vederlo dimostrare per quanto riguarda il suo proprio operare.

Coniata probabilmente dall’economista Vincent de Gournay verso la metà del secolo, la parola burocrazia, ricorrendo in Francia negli ultimi decenni del Settecento per indicare, con una sfumatura ironica, se non spregiativa, la nuova autorità dei nobili nominati a cariche pubbliche, permise al soggetto cesarocratico, che voleva sfondare il muro del Palazzo, di studiare il fenomeno e di rincorrere la stanza giusta! Il giovane artista  cominciò a percorrere tutto quell’ambaradam tecnoarchivizzato e si trovò davanti ad una porta di legno di noce. Bussò, e un nuovo addetto agli uffici gli aprì la porta, chiedendo con tono deciso:

   «Cosa vuole? Da quale reparto proviene, in quale  sezione del Palazzo l’hanno indirizzata? E adesso dove ha intenzione di recarsi? Lei lo sa che il termine burocrazia era di uso comune in Germania, dove era stato probabilmente importato nel periodo napoleonico, e in Inghilterra, per lo più con notazioni peggiorative. Invece, durante la formazione degli stati europei, la burocrazia svolse un ruolo in una certa misura progressivo, poiché è lo strumento che sostituisce le regole impersonali e universali, ancorché dispotiche, agli arbitri e ai regolamenti dei mille potentati locali, favorendo l’integrazione politica ed economica della società. Secondo Wittfogel, sono anzitutto le ragioni fiscali e militari a promuovere lo sviluppo della burocrazia. Fanculo!». 

   «Voglio parlare con te che sai molte cose. Voglio parlare con te per percorrere questi lunghi corridoi del Palazzo e capire dove, la  cultura Occidentale, si è schiantata!», rispose il giovane con le scarpe in tinta  e con tutto il resto della mise. 

L’addetto diventò nervoso, teso, mostrò interesse per una bustina di coca che pendeva dalla giacca dell’artista e balbettò:

  «Perchè … mi vuole? Cosa le fa pensare che esistono possibilità espositive. Non si rende conto che qui è tutta una Fuffa. Siamo stati investiti da responsabilità che riguardano il nuovo governo. Il Ministro della Cultura ha bisogno di ristrutturare e riconvertire le sue aziende per lo sfruttamento dei Beni Culturali. Mostre basta! Con le mostre è finita! Magari, solo burocrazia: anche perchè dopo Duchamp con le infinite scartoffie si riesce a creare un nuovo mare di pathos e l’arte è apparentemente libera. Cerchiamo di capire come si scioglie l’impegno liberista. La furia della lotta contro i dogmi ha portato a stabilire dogmi laici. La ragione, diventa Dea Ragione, “fu messa sugli altari”. È doveroso notare che l’episodio non è ancora servito da lezione»  

  «Perchè non riesco a trovare né l’oggetto della mia ricerca, né la strada più facile e nemmeno la meta? V’è una variopinta assemblea che crede di essere moderna e assomiglia a un cimitero di cappuccini, poiché i suoi discorsi vertono sull’impegno in un transeunte che, come tale, è già passato, mentre nuovi futuri sono in gestazione. L’arte può essere solo un impegno sui valori più profondi dell’uomo, poiché solo questo è un linguaggio universale: ma questi valori sono delle costanti nell’arco della nostra esperienza storica. Peccato che archi e costanti non se ne vedano più. Insomma è veramente finita. 

E …, allora, bando alla chiacchiere: per poter entrare nelle stanze del Palazzo, aver da fare col governatore o col Sovrintendente, discutere delle mostre che avete in corso e cercare di capire perché continuate ad esporre artisti stranieri e a non dar retta alle risorse della ricerca nostrana?» disse l’artista emergente, che presupponeva tutta una serie di constatazioni, tutta una serie di riflessioni critiche e di rivendicazioni dell’apparato: “cosa (?) cazzo bisogna fare?”.

L’addetto dell’ennesimo interno dell’Ufficio 2627 fece un piccolo cenno di diniego e lo condusse attraverso una grande sala dipinta di battaglie fino ad una porta di legno di ciliegio, poi se ne andò. L’artista emergente suonò il campanello e venne ad aprire un segretario alto un metro e dieci centimetri, che gli disse tutto educato:

    «Cosa desidera?»

    «Desidero capire se lei è la persona giusta che cerco. Sono sempre stato affascinato dalle sfide alla mia intelligenza. Accetai e seguii quell’omino nelle sue vorticose associazioni politiche, verbali, esistenziali, mentali, irreali, areali, assurde. Quando le parole non hanno più significato e negano ciò che il corpo afferma, quando le parole negano ciò che con una parte del  cervello si vorrebbe dire e con l’altra si vorrebbe nascondere, bisogna seguire ben altre logiche per poter capire. Ho sempre conosciuto la logica, ma ora mi accingevo a ragionare su strutture di pensiero che esistevano solo perché erano state pensate da funzionari. Desidero fermarmi a parlare degli approdi reazionari delle avanguardie artistiche e della post-avanguardia, che non sempre si pone un’esigenza  politica costruttiva. L’eredità del dadaismo che ci rappresentò, e che nel 2021 ancora ci rappresenta, non salva l’arte da stranezze aristocratiche. Per questo, non pochi artisti delle avanguardie hanno conosciuto approdi reazionari. L’avanguardia scrutata nei suoi lineamenti veri, mostra dunque un tradimento colossale dei valori di libertà a cui si richiamava Raoul Vaneigem nel Traité de savoir-vivre à usage des jeunes génerations (1967), il richiamo alla libera pratica del poiein.

Il mio progetto tenta di rispondere a una domanda centrale: in che modo lo sforzo di vendere – tipico di un’economia tecnoliberista matura – si traduce nella concezione dei prodotti burocratici? L’industrial design è incaricato di elaborare questa risposta, nel momento in cui maschera gli obiettivi reali – il vendere – che esso persegue. Dietro lo smalto dei bei dialoghi, dei bei coloranti, delle belle forme si nasconde il lavoro pragmatico, che il sistema di produzione costantemente compie attraverso la modificazione degli oggetti e dei sentimenti estetici, attraverso i designers che a quella adulterazione presiedono.». 

   «Ah sì? Lei vuole tutto questo? Lei vuole insultarci con questi beceri interrogativi di natura borghese, lei vuole magari darci delle lezioni sui modi di spendersi i valori dell’emergenza artistica e il sangue che abbiamo buttato per arrivare a questo posto fisso? Per Hegel, lo Stato  era l’unica sede degli interessi generali, mentre le corporazioni dei produttori, dei proprietari e dei mercanti sono, ancora adesso, la sede degli interessi particolari con quelli generali. La burocrazia non è affatto la mediatrice fra i due generi di corpi sociali per conciliare gli interessi particolari con quelli generali. Il lupo, che scende dai monti innevati per assalire gli armenti, caccia avvolto nel buio e rientra nella sua tana prima del sorger del sole. I pastori non lo hanno mai visto, ma ne hanno paura. Solo le orme nella neve e la scia di sangue delle vittime ci dicono che esiste. Il sole della ragione illumina la scena di chi, di quale classe sociale e si ferma di fronte alla neve fresca che ha di nuovo coperto le tracce. Il pastore sa che da qualche parte due occhi lo spiano; il buio ritornerà e le vittime, ignare di quando avverrà il sacrificio, attenderanno, sicure del loro destino, che il lupo riappaia nel piano per azzannare la preda. Insomma, lei ha dei pruriti e delle velleità e vuole imporci la sua condizione, proprio perché è portatore di una realtà di comodo: la libertà di espressione artistica che dovrebbe essere tutelata dalle leggi e dall’esistenza della Macchina Statale?» rispose il segretario con un filo di voce «e perchè poi sta ponendo a me l’improvvisazione di queste problematiche? Non ci sono forse gli organi Eletti per stimolare queste rivendicazioni? Dove sono secondo lei i presupposti di una vertenza, questa è materia sindacale!?»

Sembrava che quell’omino, con quelle sue metafore, uscisse fuori dal suo ruolo! Sembrava proprio che avesse qualcosa da dire. Il lupo è sempre animato dalla certezza che qualcuno sappia della sua esistenza e della sua necessità di divorare. Ha bisogno delle vittime, perché adora il terrore dell’attimo in cui i ruoli si invertiranno, di quando le vittime diventeranno carnefici. 

    «Ma veramente mi era parso di cogliere in lei, dalla sua drammatica espressione e dal suo aspetto, un amico di Antonio Pizzuto, uno che come lui nasconde la propria professione da burocrate per far emergere la propria personalità artistica. O magari un potenziale conoscitore delle schegge dell’amministrazione, un attrattore, con i suoi stereotipi, i suoi tic, le sue reazioni pavloviane O un assertore del “si è sempre fatto così”, che qualunque pubblico dipendente sa benissimo essere il sommo ipse dixit, la parola qualunque capace di troncare qualsiasi discussione sul perché una certa cosa, senza sapere neanche che cosa, debba essere fatta in un certo modo. Tutto quello che vorrei dirle l’ho immaginato leggendo il Wallace di Il Re Pallido: una fittissima metanarrazione del mondo delle agenzie fiscali americane, dove la burocrazia è il governo della noia. Tutto è applicato a quanto meno di poetico possa esistere alla maniera di Vaneigem, il continuo metadati di Infinite Jest?», disse, ancora, l’artista emergente con gli occhiali a specchio e il cappello di lana viola. «L’arte non può essere al servizio di alcuna ideologia di parte: l’arte è al servizio di tutti coloro che vogliano interderla. L’ideologia di parte passa, le persone, di qualsiasi genere, restano; e con esse resta l’arte, il discorso sulla persona e le persone plurali». 

Allora, l’ultimo segretario in ordine di apparizione lo guidò sopra un lungo tapis roulant che conduceva ad una porta scorrevole di legno di castagno, poi tossì due volte e, mentre le ante del portoncino si aprivano, facendo comparire una lunga galleria coperta, se ne andò. 

L’artista emergente col cappello di lana, gli occhiali a specchio e la sigaretta elettronica spenta tra le mani, schiacciò un pulsante ed entrò in un enorme archivio pieno di carte, di hardware, di databank impolverati, mucchi di periferiche, portachiavi con USB ammassati l’una sull’altra. C’era un omino alto cinquanta centimetri, che era il coordinatore dell’Ufficio dei Buttafuori del Governatore del Palazzo. In mezzo alla stanza, seduti dietro un mucchio di tablet e di smartphone, si trovava la prima sottosezione del Comitato di Gestione Approcci e Pubbliche Relazioni del Personale Funzionario. 

    «Cosa posso fare per lei adesso che è emerso, definitivamente, il nuovo maccartismo mondiale?» esclamò quella voce di dimafono aggiornata e perentoria, venendogli incontro, col servomeccanismo della telecamera di accoglienza.

Inghiottendo le voci nel flusso di coscienze: 

«In tutto ciò v’è un segreto ostracistico che sfugge a tutti. Ed è difficile scoprirlo, perché è il segreto dell’anti-comunismo, è la ragione per cui non c’è niente da fare con la verità. Verità e cambiamento sono due parole completamente osteggiate dal lungo viaggio della comunicazione. Debbo capire come mai uomini e donne, non solo romani, ma come me occidentali, si arrestano qui, non se ne vanno più, si spogliano di tutto con tanta spontaneità. Se ogni forma di arte o di cultura (l’arte è, ancora, cultura?) è propria di un determinato contesto storico e sociale, nell’ambito del quale va intesa per essere correttamente compresa, tale manifestazione è però arte e cultura, in quanto è fruibile, apprensibile, accrescitiva del patrimonio della coscienza; schiude cioè nuovi modi di essere e di essere in relazione; nuove esperienze. In questo senso, si postula una nuova universalità dell’arte, come della cultura e della ragione. Ciò che in arte non è arte e potrebbe essere arte, come ciò che in cultura non è cultura e potrebbe essere cultura. È sì, da un lato, l’orpello, l’erudizione pura, la copia, il mero apprendimento mnemonico; ma anche, dall’altro, la propaganda, il pamphlet, l’ideologia di parte.».

     «Allora, mi nasce un’ipotesi: se gli artisti fossero dei comunisti felici?» proseguì il performer «Noi consideriamo la felicità comunista impossibile. Ma se l’avessero trovata?».

La memoria cerca di spiegarmi con una parola ebraica:

    «“Chesed” o “amore misericordioso”.».

    «Cos’è?».

    «I greci dicevano eudaimonia. È la beatitudine autosufficiente».

    «Cos’è?».

    «Difficile dirlo. Ineffabile. Non trovo le parole.».

    «Ma insomma cos’è?».

    «Ma insomma cos’è? Un gaudio contro la burocrazia.».

    «Sono andato dallo psicoanalista, poeta e critico teatrale, amante di parole. Mi dice: è la felicità.».

    «Ossia?».

    «Senza ossia, la felicità, il comunismo.».

    «Ma come?».

    «Esultante.».

Vede la faccia dell’altro delusa e aggiunge:

    «Conosci le gioie della vita, no? Hai notato che non durano? Sono brevi, ce ne stanchiamo subito, passiamo dal desiderio alla noia. Invece chesed ci colma, perfetto, inalterabile. In paragone, il resto che conta?».

    «Vado dall’artista napoletano, lo psiconauta. Cerca di spiegarsi, meticolosamente: “Mi chiamo psiconauta che è un nome come un’altro. Bene. Questa felicità, chesed, è la rete del cosmo interiore. Bene. Se ricadiamo sulla terra, la perdiamo. Bene. E chi l’ha provata non può più vivere senza. Inteso?».

    «M’arrendo. Sì ho inteso: è incomprensibile, incomunicabile».

    «Non ho altre domande, non hanno altre risposte».

    «La saggezza è sperimentale, come la scienza. Se vuoi conoscere il cosmo, devi andarci».

    «Scriverò un libro, lo chiamerò L’Arte oltre la burocrazia moderna. Andrò a cercare gli psiconauti, ovunque siano. Perché, capisci, questa gente ha trovato il comunismo! Sì hanno trovato il comunismo, perché per risposta ad Hegel è il caso di ricordare cosa diceva Marx della burocrazia. La burocrazia non è affatto la mediatrice tra le corporazioni e lo Stato, bensì rappresenta lo stato al servizio di determinati interessi di classe. La generalità che essa asserisce di rappresentare è del tutto fittizia, nonché mediatrice: la burocrazia statale è una corporazione che agisce in base agli interessi di parte.».

    «Ecco l’USB con il progetto e con la vaga richiesta espositiva», rispose l’artista emergente con la sigaretta elettronica e l’ombrello di seta viola. Poi si mise la card nel portafogli e se ne tornò alla studio, dove la gettò nel mucchietto della sua collezione di smart-card per le pubbliche relazioni.