La natura, la storia e la pittura in Vincenzo Scolamiero

Di terra, acqua e vento è il titolo della mostra personale di Vincenzo Scolamiero, a cura di Francesca Bottari, al Museo Nazionale Etrusco di Rocca Albornoz di Viterbo visibile fino al 9 settembre

Se c’è un tratto connotante del nostro tempo è l’interesse esasperante per la “parte” e il disinteresse ottuso per il “tutto”, per l’intero. Un’ossessione tassonomica che tutto archivia in comparti separati, disperdendo il senso e l’importanza dell’unità. Un approccio servo e funzionario di interessi particolari che ignorano del tutto quelli collettivi, con conseguenze che non si limitano a falciare vite, come nella recente pandemia, ma fanno a pezzi pure l’arte di oggi che, in passato, non ha mai conosciuto una crisi lacerante come quella che oggi attraversa. E’per questo che la mostra di Vincenzo Scolamiero, Di terra, acqua e vento, presso il Museo nazionale Etrusco di Rocca Albornoz (visitabile a Viterbo fino al 9 settembre) coglie clamorosamente nel segno.

Perché si muove, direbbe il poeta, “in direzione ostinata e contraria”. E lo fa a partire dall’intuizione felice della direzione regionale dei musei del Lazio che ha incontrato la grande sensibilità di un artista romano il quale, da decenni, porta avanti, con lo strumento raffinato della sua pittura (che è anche un fine), una sontuosa inchiesta sulle piccole-grandi cose della natura (Myricae direbbe Giovanni Pascoli). Un’investigazione che, tuttavia, non ha scopi meramente descrittivi o illustrativi ma ricerca il senso più profondo di una natura naturans, capace di produrre (unica realtà causa sui) tutto ciò che sotto il cielo, e oltre ad esso, esiste.

Di questa natura, spinozianamente, noi siamo un “modo”, una forma, una derivazione che si manifesta storicamente. Tutti questi elementi, come per incanto, si incontrano nella mostra di Scolamiero, per una volta con una modalità inedita, che voglio segnalare per prima. Lo fanno all’interno di teche di cristallo nelle quali sono custoditi reperti archeologici attici ed etruschi provenienti dalla collezione Cima Pesciotti, accanto a carte e tavolette realizzate dall’artista. 

Queste ultime entrano magnificamente in dialogo con le testimonianze di un prezioso e lontano passato e, insieme, con i piccoli frammenti di natura che l’autore usa raccogliere e conservare: fiori secchi, foglie, rami e addirittura blocchi di terra (Myricae appunto). Il filo conduttore di questo dialogo fra presente, passato e natura è il colore. Un’idea brillante quella di questo incontro che lega passato e presente, storia e natura. Per una volta, una vittoria delle idee, oltre che dei colori e dei virtuosismi pittorici. Ma dopo aver descritto, per così dire, l’anatomia microscopia di questa mostra non si può che immergersi nelle quattro sale che contengono a parete trenta dipinti di medie e grandi o molto grandi dimensioni, che ne costituiscono l’anatomia macroscopica.

Nel salone centrale, l’artista sembra sostituire alle sue interlocuzioni abituali, con la pittura e la poesia, un dialogo tutto fisico con la terra. Una terra violata che restituisce antichi tesori. Dal suo corpo emerge l’oro e l’argento e il colore dell’argilla. Nelle opere di formato più grande si aprono nella terra ferite violate dal vento che sembra trascinare rami, fogliami e radici nei vortici di un dinamismo che non trova pace. 

Nella seconda sala fanno mostra di sé grandi tele sulle quali domina l’azzurro del cielo e le mille declinazioni di una natura che mette alla prova, con mutamenti sfidanti, il virtuosismo di un pittore sorprendente che piuttosto che rappresentarla sembra “crearla”. Nelle due ultime sale, senza filtri, si svolge quel confronto con il mondo etrusco che è il tema centrale della mostra. Scrive la curatrice, Francesca Bottari: “Sui  grandi lavori la terra rilascia le tracce della sua storia nel sottobosco (….). L’argilla antica torna a vivere nell’impasto pittorico (…), le velature bianche si infittiscono con decori e simboli, il bronzo brilla come l’oro, mentre filamenti neri (…) s’increspano sulle superfici disegnando svolazzi e meandri”.

Si esce da questa mostra piacevolmente scossi. La sensazione è quella di aver fatto un itinerario ulissico lungo un triangolo ai cui vertici tre sono i valori che chiaramente si riconoscono: intelligenza, verità e bellezza.