Biennale
Biennale di Venezia 2017 - foto Roberto Sala

La filosofia dell’uomo ragno

E se la Biennale, non solo il Padiglione russo, andasse chiusa in risposta agli orrori della guerra? Se lo chiede, polemicamente, Andrea Guastella.

Ragazzi, non vi pare che la storia, come un nastro, si sia avvolta su se stessa, per ripetere la medesima canzone? Chi, come me, ha vissuto i fantastici anni Ottanta, sa cosa significhino le parole guerra fredda, Cortina di ferro, Blocco comunista; ma gli altri? Dai parlamentari che scrivono Ucrania ai teen ager convinti che CCCP sia solo un gruppo rock, neanche tanto noto, l’ignoranza dilaga. Nessuno sa nulla, nessuno conosce altro che il nuovo. E il nuovo è ciò che i media propagandano nelle loro intercambiabili crociate. Dico intercambiabili perché il giusto dipende dalla parte in cui si sta. Se vivo in Russia, dove persino scrivere guerra è vietato, i massacri sono frutto della disinformazione occidentale. Se invece lavoro in una televisione italica e mi permetto, correttamente, di notare che l’assalto a una centrale nucleare in un teatro di guerra non può venire dall’esercito che la controlla già, sono un pericoloso amico di Putin, da estromettere senza esitazione.

Nei momenti difficili, non da ora, le file si serrano e l’obbedienza reclama cecità: non c’è posto per i dissidenti, ma solo per i conformisti, ossia “coloro che appoggiano la linea ufficiale e trascurano o giustificano i crimini dell’autorità”. Solo loro, prosegue Chomsky, cui ho rubato la definizione di cui sopra, “godono di prestigio e privilegi all’interno della loro società”, mentre, al contrario, gli intellettuali guidati dai valori sono penalizzati in un modo o nell’altro. È uno schema decisamente solito, e sarebbe singolare non venisse replicato.

Ha dunque ragione Tosatti a dichiarare, presentando il Padiglione Italia, poco prima dell’invasione dell’Ucraina, “La Russia, l’America, l’Ucraina… Siamo sempre lì a parlare delle solite cazzate. Non ci muoviamo mai. È questa la guerra che abbiamo perduto. Non ci stiamo evolvendo”? Il fariseo che è in me dice di sì. Subito, però, interviene l’uomo ragno, con la sua filosofia: a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità. Gli intellettuali, e ancor più gli artisti, sono dei privilegiati. E i privilegi si pagano. Arriva sempre il giorno della scelta: non tra Biennale e Quadriennale, né, come sostiene indignato Luca Rossi, tra il migliore dei mondi possibili e l’impero del male. È, come hanno ben compreso gli artisti e il curatore del Padiglione russo, il giorno della scelta tra apertura e chiusura.

Tra una discontinuità forte con un sistema che si alimenta delle risorse che molto presto saranno tutte risucchiate dalla guerra, e la condiscendenza, pagata col silenzio, alle peggiori atrocità. Sinché parlano le armi, che senso ha non dico far parlare le opere, che anzi nel silenzio risuonano più forti, quanto il circo mediatico che le tiene prigioniere? I dissidenti di oggi – posso sbagliarmi, ma non credo – saranno i profeti di domani. E verranno per sempre ricordati.