Flash anni Novanta, il divo dell’arte incontra la diva del porno. Chi non ricorda la loro storia d’amore che occupò la ribalta della Biennale di Venezia ad Aperto 90. Li trionfava una scultura a loro immagine 1:1, grandezza naturale, una scultura, che dati i suoi protagonisti, fece la felicità dei media e fece il giro del mondo in un attimo. Da Warhol in poi troppo spesso la visibilità è stata scambiata quale segnale incontrovertibile del valore artistico dell’opera del suo autore, diventato famoso per altri motivi.
Più se ne parla più l’artista si apprezza, nel vero senso del termine. Il marketing entrato a gamba tesa nel mercato a partire dagli anni settanta, ha reso sempre più difficile distinguere la vera arte dai bagliori della notorietà danneggiando per certi versi sia gli artisti sotto i riflettori che quelli che non godono dell’occhio di bue del clamore mediatico. La pubblicità paga ed è ormai vero che l’abito fa il monaco e non il contrario come ci hanno ripetuto fino a stremarci fin dalla culla. La storia d’amore porno artistica suscitò gran rumore, tanto piu che dopo tanto scandalo sfocerà in un borghesissimo matrimonio allietato poi da un figlio, Ludwig. Il matrimonio dura un annetto ma il clamore non si attenua.
L’artista della Pop Art nel corso degli anni l’artista sperimenta varie tecniche (collage, scultura, pittura, installazioni) e materiali (porcellana, acciaio, legno, vetro), sempre prendendo come soggetti la quotidianità, ma anche il mondo dell’infanzia. Raggiunge presto quotazioni inimmaginabili, da decine di milioni di euro, grazie a commesse importanti. Il successo è tale che diventa lui stesso a sua volta committente, un fenomeno che non appartiene solo a lui, e che è puntualizzato da Marcello Barbanera v. Storia dell’Archeologia classica in Italia.Koons stesso è un maestro del marketing e diventa imperatore del Kitsch, ma attenzione, non è da prendere come sinonimo di cattivo gusto. La Scatola delle Idee nel 2014 precisa che il kitsch va incontro alle aspettative più comuni, e non è un caso che personaggi dell’immaginario collettivo disneyano o di altri immaginari sicuramente meno innocenti, attirino l’interesse del pubblico che trova serenità nelle icone via via ripetute con minimi cambiamenti, da Mickey Mouse, al Baloon Dog fumetto tridimensionale del cane, al Re Sole, ma è comunque attratto dal dialogo tra questi due mondi apparentemente in contrasto. E le committenze importanti fioccano, sempre di più, e arrivano da privati e da istituzioni. Una per tutti il «Bouquet of Tulips» realizzato e donato allo Francia dall’Ambasciatrice degli Stati Uniti in Francia Jane Hartley ma fioccano anche le condanne per plagio del periodo Banality.
Lasciamo però questo interessante discorso ad altra sede. La mostra di Jeff Koons a Palazzo Strozzi, rende però giustizia a questo artista che ha saputo tenere saldo il timone travolto da un’attenzione troppo grande che avrebbe potuto perderlo, e ci fa conoscere la sua tematica mostrandoci il percorso svolto con talento e coerenza. Al di là delle luci paradossalmente accecanti scopriamo la ricerca dei valori dell’etica. Gli organi sessuali maschili e femminili temi ricorrenti nella sua iconografia, sono in realtà la sua interpretazione del divino, e il lato metaforico è l’attualizzazione del pensiero che sta alla base della cultura classica. Cosi nasce la sua rivisitazione della Mater Matuta, o del Fallo oggetto di culto a partire dalle processioni dedicate quali simboli della fertilità, come la celebrata Vanitas Vanitatum diventa in realtà la sua denuncia della vuotezza di questa scelta, pericolosa per la salute di chi sposa il significato superficiale della vita.
Le sue opere tanto lucide e specchianti sono l’involucro brillante del nulla, il vuoto di cui son fatte, è il vero campanello d’allarme che denuncia come l’uomo sia solo di fronte alla caducità delle umane cose se manca il nutrimento dello spirito. La solitudine, la disperazione, i grandi perché della vita emergono dal constatare che ricchezza e beni materiali sono il catalizzatore brillante e levigato di un’esistenza incapace di sostenere l’essere che prima o poi si sveglia all’aridità della solitudine, per eccesso di immanenza. I suoi lucidi pupazzi, la Venere con la palla, tutti i lavori sono perfetti levigati specchianti e disperatamente inequivocabilmente desolatamente privi di anima, ma li per lì rassicurano lo spettatore che è abituato fin dall’infanzia ad una simile iconografia. Le sue metafore figlie della cultura classica sono state comunque totalmente assorbite o meglio dire contrabbandate e assimilate ben prima della sua puntualizzazione dalla cultura occidentale pur risvegliando il bambino che comunque é in tutti noi, ed é consapevole e che l’arte non è solo il mercato, una cosa ovvia direte voi, ma poco sentita, ed è piacevole che a dirlo sia proprio l’artista più quotato di questo strano mondo dell’arte contemporanea.