Jan Fabre_Pio Monte della Misericordia, Napoli

Jan Fabre, un dono ed un atto d’amore per Napoli

Jan Fabre e l’installazione permanente di quattro sculture in corallo rosso, a cura di Melania Rossi presso la Cappella del Pio Monte della Misericordia, Napoli.

In un contesto eccezionale, lo sfarzoso scrigno della Cappella del Pio Monte della Misericordia nel capoluogo partenopeo, che custodisce e preserva il gioiello della pittura Le Sette Opere della Misericordia di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, lo scorso dicembre si sono aggiunte quattro sculture polimorfiche, polisemantiche ma accomunate dalla stessa natura dell’artista belga Jan Fabre. Nella scelta di usare l’Oro Rosso e ponendo alla base della composizione il cuore, l’organo dei sentimenti, dalle pulsioni incontrollate e fatali ma mitigato e raccolto in un’anima dal temperamento cristiano, Jan Fabre, figlio di madre francofona, borghese e cattolica, di padre comunista e laico, si interroga sul senso della fede, investigando i meandri delle profondità umane per erigere una roccaforte stratificata di significati e credenze.

In questo gioco subentrano la storia, il patrimonio culturale, la memoria della complessità. Il corallo incarna il simbolo della passione cristologica e il suo aspetto ricorda la diramazione dei vasi sanguigni sposandosi con tutti e quattro gli elementi della natura. Le radici di un albero incontrano le viscere della terra; i rami contorcendosi fuggono verso l’alto ed incrociano il cielo. Il colore del corallo ricorda le fulgide fiammelle del fuoco, riportando alla mente l’immagine dantesca di Paolo e Francesca, stretti in un’unica fiamma, in un abbraccio eterno. La fauna marina, infine, è ricordata attraverso gli Antozoi, piccoli polipi radunati a formare le barriere coralline, concrezioni organiche di calcare che, nell’opera di Jan Fabre, sono simulate nella moltitudine di frammenti di granito balga. 

La Purezza della Misericordia Alla base della prima scultura troviamo una mascella d’asino. Com’è noto, l’animale nell’immaginario collettivo rappresenta cocciutaggine e ignoranza, ma anche lealtà e umiltà. Si pensi a L’Asino d’Oro di Apuleio, il ciuchino di Pinocchio o la nota fiaba di Charles Perrault Pelle d’asino. Tuttavia, Jan Fabre nel proporre la mascella d’asino guarda iconograficamente proprio alla stessa presente nel capolavoro Sette opere della Misericordia, da cui si abbevera uno dei personaggi. Qui sono congiunti due episodi biblici: “Dio che salva Sansone facendo sgorgare l’acqua dalla roccia” e “Sansone che uccide i Filistei” a rappresentanza di una delle sette opere di misericordia, ovvero “dare da bere agli assetati”. Nell’opera di Fabre la mascella dell’animale morto è la base sulla quale s’innesta un cuore reso anatomicamente. Il cuore, la cui misura si dice corrisponda al pugno chiuso della propria mano,  sembra essere l’organo garante di un patto stretto tra l’uomo e il dio: Fabre fa sì che dalle vene e dalle arterie, cosiddetti “vasi sanguigni”, si origini un rigoglio di gigli, fiori simbolo di purezza virginea. Nella scultura, il corallo si compone di minuziose perle che ricoprono gli steli, mentre intarsi di roselline formano la mascella e punte d’ago movimentano il cuore anatomico. 

L’artista, nei disegni preparatori alla scultura, appunta ai margini delle due versioni lo scheletro del quadrupede, la Vergine sul dorso dell’asino – il bimbo in fasce – durante la fuga in Egitto e delle rose con il rovo spinato. Nella Cabala del cavallo pegaseo di Giordano Bruno, il cavallo veniva definito un asino idealizzato, per ironizzare sull’ignoranza dei cabalisti, mentre Pegaso si credeva nato dal sangue sgorgante dalla testa di Medusa, recisa da Perseo, alcune gocce del liquido viscoso erano finite in mare, dando origine proprio al corallo. Si comprende in tal senso perché Jan Fabre abbia scelto di porre alla base della sua scultura la mascella di un asino, animale in apparenza umile ma nobile in essenza, se si ripercorrono gli episodi della vita di Gesù bambino. Inoltre il mito eziologico greco evidenzia la pregnanza metaforica del corallo, materiale di origine organica formato da colonie tentacolari di microrganismi, che viene investito di simbolismi sia cristiani che pagani per la sua bellezza genuina e per il suo colore rosso sangue.

La Libertà della Compassione Qui vediamo una colomba, che sembra più una mitica fenice ricoperta di fiamme danzanti – il corallo ne forma il piumaggio, mosso da onde color porfido – recante nel becco un ramoscello d’ulivo, messaggera di pace e purezza, ma anche simbolo di liberazione e rivolta. Ad ali spiegate, come un libro aperto, la colomba si erge su un cuore serrato da una massiccia catena ad anelli che lo tiene imprigionato. Ogni dettaglio del piumaggio è reso con l’affastellarsi di minuscoli cornetti di corallo, che si ordinano in frattali. La scelta della colomba come ambasciatrice, in alcuni passi della Bibbia come nell’episodio di Noè dopo il Diluvio Universale, è legata alla capacità dei piccioni di fare ritorno in un luogo anche dopo aver percorso centinaia di chilometri, quest’abilità è definita homing ed è condivisa dalle api e dai gatti. Per Fabre la colomba significa quindi fedeltà ad un’ideale, capacità di non perdersi nella confusione quotidiana ed essere capace di dimostrare empatia verso il prossimo. Allo stesso modo del giglio, il suo candore rende la colomba eccezionale, compare solitamente nei dipinti dell’Annunciazione quale ambasciatrice dell’Immacolata Concezione. Jan Fabre, nella Libertà della Compassione, fa rifulgere la lucentezza del suo manto grazie al corallo, mosso in migliaia di scaglie cremisi. La colomba diventa per l’artista portavoce di libertà e simbolo di determinazione e coraggio. L’uomo deve trovare la forza per spezzare le catene, non avere paura di provare empatia innanzi la sofferenza dei suoi simili o di altri essere viventi. La tematica dell’emancipazione viene peraltro toccata, nella Cappella del Pio Monte, da Giovanni Bernardo Azzolino in San Paolino che libera lo schiavo. Troviamo in alto a sinistra la colomba dello Spirito santo e in basso la schiena nuda del succube, ora sciolto dagli obblighi e dai padroni. Fabre è stato quindi capace di realizzare una scultura partendo dallo studio del contesto, la chiesa, i suoi dipinti e il loro significato dal punto di vista cristiano e morale.

Jan Fabre. La Libertà della Compassione,2019. Corallo prezioso di profondità, pigmento, poliamide; base in granito belga e acciaio. Dimensioni: H 95 x W 88,3 x D 41,8 cm. Cappella del Pio Monte della Misericordia, Napoli. Foto: Grafiluce / L. Romano

La Rinascita della Vita Per l’allegoria de La Rinascita della Vita bisogna invece prendere in considerazione il dipinto La Deposizione di Luca Giordano, che sovrasta la nicchia dove è custodita l’opera dell’artista belga. La croce della Passione ha portato alla morte, eppure dalla pietra sepolcrale risorgerà Gesù. La rinascita del messia è frutto del sacrificio, di cui l’acme, la Crocifissione, viene stigmatizzata dallo strumento principe della passione, scelto da Jan Fabre per la sua scultura. La croce è realizzata con una miriade di roselline di corallo ed assediata dall’edera. Questa pianta rampicante da un lato è emblema dell’albero della vita, dall’altro è attributo di una divinità pagana, Dioniso. Il vino, palesarsi del sangue di Cristo, diventa replica dell’essenza di Dioniso, sempre accompagnato dal bastone rituale, il tirso circondato di edera. Il suo corpo, secondo il racconto mitologico, verrà fatto a pezzi e smembrato dai Titani, eppure il cuore, risparmiato dal banchetto, permetterà a Demetra di governare un rituale per riportare in vita il dio. Mi chiedo se per Jan Fabre non sia il cuore di Dioniso, quale eco di un’umanità passionale e peccatrice, recidiva ma sognatrice, a sorreggere idealmente la croce in Oro Rosso.

La Liberazione della Passione Chiude il cerchio la Liberazione della Passione, titolo che per alcuni versi rimane ambivalente: non ci si affranca “dalla” passione ma in qualche modo è la passione stessa a svincolarsi da una dimensione puramente terrena. Nella stessa nicchia, in San Pietro che risuscita Tabitha di Fabrizio Santafede, viene rappresentata la prima resurrezione eseguita da un apostolo. Pietro ha in mano le chiavi della futura Chiesa e tocca il braccio della donna caritatevole. Allo stesso modo, troviamo una chiave inserita in una serratura ed un recinto a protezione del cuore, nucleo della quarta scultura. Al di sopra svetta una torcia dalla fiamma impetuosa. Il fuoco vivo richiama i fulgori del lume, sollevato da una figura maschile intenta a seppellire un cadavere, nel dipinto Sette Opere di Misericordia del Caravaggio, il fuoco stesso è trafugato da Prometeo per disperdere le tenebre e donare la conoscenza agli uomini che zampilla nella fiaccola dei Giochi Olimpici. Ciò, rappresenta l’illuminazione metaforica che permette di accedere alla verità come nella celeberrima scultura La Verità disvelata dal Tempo di Gian Lorenzo Bernini o l’Estasi nella Santa Teresa d’Avila, dove i raggi dorati e l’angelo – simile ad un Cupido – colpiscono la donna, per infonderle l’amore per Dio. Nessun bene terreno dona un appagamento tale da legare il dolore con la dolcezza. Se l’artista associa idee cristiane a principi atei, forse il messaggio che intende trasmetterci è che il cuore deve saper conciliare le ragioni e guidarci rafforzando in noi la fiducia anche di fronte all’invisibile. In conclusione èl’ideale che deve spronarci ad agire, la bellezza non solo estetica inonda gli occhi e rafforza i concetti. Grazie all’arte, nettare ed ambrosia dei cuori ardenti, riusciamo a trovare uno sprone per agire ed a trovare il senso segreto delle cose, anche dove ogni spiegazione razionale sembra cadere.

Jan Fabre
Installazione permanente di quattro sculture in corallo rosso
a cura di Melania Rossi
Cappella del Pio Monte della Misericordia, Napoli