ARCO Lisboa
Santa Sede
Marina Otero

Intervista a Marina Otero, curatrice del padiglione Santa Sede a Venezia

Il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice ospiterà, per i prossimi 4 anni, il Padiglione della Santa Sede a Venezia.
Collocato a pochi passi dalle due sedi della Biennale, nel corso di sei mesi lo spazio sarà sede di un’iniziativa collettiva di restauro. Al centro di questa trasformazione c’è la competenza dei restauratori: artigiani locali e specialisti nel recupero di opere in pietra, marmo, terracotta, stucco, legno e metallo.
Dal lunedì al giovedì, i lavori di restauro da loro condotti saranno visibili a chiunque sia interessato, offrendo una rara opportunità di assistere all’operato artigianale.
Abbiamo ascoltato le parole della curatrice spagnola Marina Otero

Da dove viene l’idea di Opera Aperta?

Il padiglione Opera Aperta raccoglie il titolo e il concetto di Umberto Eco, su come le opere d’arte appartengono al di là dell’autore e possono essere continuamente ricostruite e riconcettualizzate. Pensiamo che l’architettura non sia opera di un solo architetto, nemmeno delle persone che lavorano in uno studio di architettura, né di coloro che lo costruiscono, ma è un processo continuo che gli edifici vengono fatti e disfatti continuamente per l’uso che hanno, dalle persone che lo abitano, ma anche da tutti i processi ambientali, gli esseri che lo abitano, dal sale veneziano che mangia il marmo, agli insetti che mangiano il legno, e alle persone che lo abitano e lasciano la loro impronta. E tutto questo rende l’architettura: come la intendiamo, la sua impronta e come fa parte della storia.

Come si inserisce questo discorso con il tema della Biennale?

In questo progetto ciò di cui ci occupiamo è come pensare a questi processi metabolici come parte fondamentale dell’architettura, e come gli architetti possono intervenire in quel processo attraverso. Non è necessario costruire qualcosa di nuovo, ma anche prendersi cura di ciò che già esiste.

In che direzione si muove l’architettura contemporanea?

Ci sono molte discussioni specialmente ora, ad esempio, in Europa, sulla necessità di costruire di più o cercare di non demolire per questioni di decarbonizzazione. Noi troviamo interessante questo dibattito e abbiamo usato l’esistenza di questo edificio nel centro di Venezia per pensare a come l’architettura possa essere una pratica di cura e riparazione, oltre a generare nuovi edifici. Ogni volta che facciamo un intervento su di esso, è un posto nuovo. Quindi, questa è una pratica di cura collettiva dell’edificio, delle sue crepe, della sua umidità e di tutti gli ecosistemi circostanti, compresi i vicini circostanti.

Quindi la vostra proposta è un intervento sociale?

Quando parliamo di riparazione, non parliamo solo dell’edificio, ma anche delle relazioni sociali che ci sono intorno. A Venezia, alla Biennale, è molto difficile fare un padiglione che sia veramente partecipativo, e qui abbiamo la fortuna di avere una commissaria (Giovanna Zabotti) molto connessa con le comunità locali, e anche il Dicastero della Cultura con una grande rete. Siamo stati in grado di collaborare con una moltitudine di persone per rendere questo edificio uno spazio collettivo in cui tutti si sentono parte di quest’opera e autori di quest’opera. C’è un processo di riparazione che durerà per almeno altri 6 mesi, in cui ci sono alcuni restauratori professionisti che guarderanno, in particolare, al marmo, allo stucco, agli affreschi, al legno. Ma poi, c’è anche un processo di riparazione su larga scala, in cui diversi gruppi faranno attività. Ci sono dei laboratori di restauro, a cui tutti possono partecipare e imparare le tecniche di restauro. C’è anche la possibilità di utilizzare lo spazio come spazio di pratica musicale.

Come siete riusciti ad ottenere questo?

Parlando con diversi gruppi ci siamo resi conto che molti studenti di musica di Venezia non riescono a trovare un posto dove esercitarsi con i loro strumenti. Quindi, con il conservatorio abbiamo abilitato luoghi in modo che le persone possano usare alcuni strumenti, non solo musicisti professionisti o studenti, ma chiunque, nel quartiere, può avere gratuitamente le stanze per esercitarsi e anche generare una nuova atmosfera nell’edificio. Infine abbiamo anche organizzato un tavolo collettivo che crediamo sia come una mensa sociale in cui i lavoratori e le lavoratrici che stanno restaurando l’edificio, i musicisti, le persone che fanno i laboratori, mangeranno. Ma anche chiunque partecipa alla Biennale o chiunque del quartiere potrà anche far parte di quei momenti, e quindi cercare di creare relazioni più forti nel quartiere.

Roberto Sala

Editore, graphic designer e fotografo d’arte, dal 2012 è docente di Metodi e tecniche dell'arte-terapia presso l'Accademia di Brera nel corso di laurea specialistica di Teorie e pratiche della terapeutica artistica. Direttore della casa editrice Sala Editori specializzata in pubblicazioni d’arte e architettura, affianca alla professione di editore quella di grafico, seguendo in tempi recenti l’immagine coordinata delle più importanti manifestazioni culturali della città di Pescara fra le quali si segnalano: Funambolika e Pescara Jazz. Dal 1992 è Art Director della Rivista Segno per la quale dal 1976 ha ricoperto diversi ruoli e incarichi. Dal 2019 è Direttore Editoriale di Segnonline per il quale traccia la linea politica e di sviluppo del periodico. roberto@segnonline.it

×