Giuseppe Penone  Abete, 2013 acciaio inossidabile, bronzo / stainless steel, bronze 2240 × 600 × 600 cm Photo by Ela Bialkowska, OKNOstudio Photo Courtesy Associazione Arte Continua APS

Il Paradiso può attendere

L’Abete di Penone a Firenze? Per Sgarbi è peggio di ‘Spelacchio’, per l’artista uno specchio dei tempi. Non ci resta che acquistare, se davvero vogliamo goderci un po’ d’arte in santa pace, il Legendary Ticket: un biglietto d’ingresso per il Maxxi valido i prossimi cent’anni.

Nel 1559 Cosimo I bandì un concorso per realizzare una fontana pubblica in Piazza della Signoria. Vinse l’Ammannati, con il suo Nettuno. Quando i fiorentini lo videro, non tardarono ad affibbiargli, per il suo marmo candido come lenzuola di bucato, il gentile appellativo di “Biancone”. E che dire di quel “saccaccio pieno di poponi” che è l’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli? 

Gareggiare col David di Michelangelo – e con le altre sculture della Loggia – non è in effetti impresa facile. Chi ci ha provato come, qualche anno addietro, Urs Fisher, il cui Big Clay #4 è parso ai più la gigantografia di un coprolite, o Jan Fabre col suo “Tartarugone”, è stato oggetto di irripetibili improperi. Che, ovviamente, non sono stati risparmiati all’Abete di Penone: la gigantesca scultura metallica – è alta 22 metri – collocata l’altro giorno nel cuore cittadino per il settecentesimo compleanno di Dante. 

Tra i più risentiti, il Vittorio nazionale: “È una forma autoreferenziale che dimostra una totale mancanza di rispetto per i fiorentini, per piazza della Signoria e persino per Dante. Con questo legno grezzo, sembra una specie di Geppetto mancato con un Pinocchio morto, senz’anima”. E ancora: “Più brutto dello ‘Spelacchio’ della Raggi a Roma. Nardella ha voluto batterla, con un albero in piazza Signoria che si potrebbe chiamare ‘Rinsecchito’ e che proprio non si può guardare”. 

Ma, un momento, il sindaco Nardella non è lo stesso che, in compagnia di Sgarbi, aveva presentato, quattro anni addietro, la Maestà tradita di Gaetano Pesce in Piazza Santa Maria Novella? Portare l’arte contemporanea nei luoghi pubblici in un dialogo costante col passato non significava, in quella circostanza, rinnovare l’identità di Firenze e proiettarla nel domani? 

E tuttavia, prescindendo dalla scarsa simpatia che solitamente mi ispirano le scelte di Vittorio, gli concedo, stavolta, il beneficio del dubbio. Almeno quando parla di autoreferenzialità. L’opera si iscrive infatti nel coerente – e potente – percorso neobarocco di emulazione della natura attraverso l’artificio cui Penone si dedica da anni, ma con “l’albero che vive de la cima / e frutta sempre e mai non perde foglia” del Paradiso di Dante non sembra avere alcun rapporto. 

Se proprio dovessi indicare un referente, a me sovviene piuttosto di un dipinto tardo quattrocentesco: il San Sebastiano di Antonello da Messina. In quel capolavoro, il corpo flessuoso del santo, legato appunto a un albero, sembrava sorgere dal nulla nel mezzo di una piazza veneziana, per proteggerla dagli strali della peste. Ma i veneziani – distratte comparse sullo sfondo – non se ne accorgevano. Sembrava quasi non lo vedessero, neanche il santo fosse una privata apparizione del pubblico pagante, oltre i confini del quadro. 

Ora, nell’istallazione di Penone, il santo è davvero scomparso e la piazza, a causa della nuova peste che viene dalla Cina, è tristemente vuota. Rimane solo il tronco a suggerire la desolazione e il silenzio di un uomo che ha rinnegato la sua storia e di una natura che ha rinnegato l’uomo. 

Ho un tantino esagerato? Dissacrando Penone ho metaforicamente abbattuto l’Axis mundi, la scala per le stelle? 

Neanche per idea! Intervistato da Emanuela Minucci per “La Stampa”, l’artista ha candidamente confessato che “la scultura è stata fatta nel 2013 e quindi non c’era alcun legame con l’anniversario dantesco né con Piazza della Signoria” e che, con la sua superficie scabra, l’albero non si limita a tradurre “lo sviluppo del pensiero che è simile alla spirale di crescita del vegetale”, ma “il tempo che stiamo vivendo”. Il Paradiso, insomma, può attendere. 

Per chi non si rassegna, il Maxxi ha appena messo in vendita alla modica somma di 15 euro il Legendary ticket (qui il link per acquistarlo), un biglietto valido per un ingresso al museo da oggi sino ai prossimi cent’anni. 

Ne avremo di tempo per ammirare l’arte contemporanea, a cominciare dai pezzi di Penone. E se il biglietto leggendario non ci guarirà alla prima visita dalla nostalgia del cielo, sarà almeno la scusa, di passaggio per Roma, per tornare a visitare un fantastico museo.

Giuseppe PenoneAbete, 2013
acciaio inossidabile, bronzo, 2240 × 600 × 600 cm
Photo by Ela Bialkowska, OKNOstudio
Photo Courtesy Associazione Arte Continua APS