Il metaverso dell’Aquario Romano

Mentre l’idea di un unico metaverso è probabilmente ancora lontana, sono numerosi gli esempi di ambienti virtuali in cui le persone possono immergersi in una realtà alternativa, accrescere le proprie conoscenze e interagire attivamente. Un esempio che mi ha visto coinvolto è il metaverso progettato dalla Why per l’Acquario Romano-Casa dell’Architettura di Roma, dove ho curato una serie di eventi; un’infrastruttura immateriale ideata per la Giornata Nazionale Giovani e Memoria, ma destinata a crescere con tutte le mostre che verranno via via allestite in quello spazio: a ciascuna di esse corrisponderà infatti una rassegna virtuale. In questo intervento ricostruisco le origini e rifletto sulle funzioni del metaverso dell’Acquario Romano attraverso le testimonianze di Remo Tagliacozzo, amministratore unico di Acquario Romano S.R.L., di Filippo Bonifati, presidente di Why, azienda leader nella realizzazione di ambienti digitali, del professor Gianluca Duretto, docente presso la Unint di Roma, esperto in Blockchain e criptovalute, e dello scultore Fulvio Merolli.

Chiedo a Remo Tagliacozzo: Che cos’è il progetto metaverso, in che cosa consiste? 

“Nel piano industriale di quest’anno”, mi spiega, “il metaverso è stato pensato come una sorta di web evoluto. E tuttavia, quando l’Acquario Romano è stato scelto come una delle sedi principali della Giornata Nazionale Giovani e Memoria, un nostro cliente ha creduto nel progetto e ne ha finanziato la realizzazione. Si tratta, in estrema sintesi, di una rappresentazione multimediale delle installazioni che sono state realizzate nella corte esterna dell’Acquario. Entro fine gennaio sarà fruibile online”. 

Il metaverso dell’Acquario Romano nasce dunque come prosecuzione di un evento espositivo. Le opere presentate nell’Acquario fisico, rimangono in permanenza nell’Acquario virtuale. 

“Il metaverso non è una semplice vetrina, ma un sistema interattivo, che ci racconta dell’opera pittorica, scultorea, digitale di cui andiamo a fruire in una dimensione parallela a quella in cui l’opera stessa viene presentata”. 

In un’ottica curatoriale, è questo l’aspetto che mi interessa maggiormente: una visione integrata che non sostituisca lo spazio fisico, ma lo arricchisca di contenuti

“Sono, non da ora, un fautore della fruizione ibrida. Il metaverso non prende il posto dello spazio fisico. Consente, al contrario, di attrarvi chi lo frequenta. Quando Balic riprodusse presso l’Auditorium della Conciliazione la Cappella Sistina [The Sistine Chapel Immersive Show, N.d.R.], chi partecipava al suo spettacolo non pensava minimamente che, a spettacolo finito, non valesse la pena visitare i Palazzi Vaticani”.

Sono due esperienze completamente diverse

“Esatto. Un’esperienza virtuale serve a incuriosire in relazione a un oggetto presente nella vita reale, o ad approfondirne la conoscenza. A volte, come nel caso delle installazioni, è fondamentale per la sua conservazione. Pensa alle installazioni presentate in occasione della Giornata Nazionale Giovani e Memoria nel giardino dell’Aquario. In quale altro modo avremmo potuto preservarne il valore etico, morale, storico legato alla formazione ed educazione delle nuove generazioni alla legalità, se non attraverso una memoria digitale?”. 

L’installazione, infatti, è legata al contesto, al luogo in cui un certo lavoro è presentato. Il metaverso ricostruisce entrambe.

Ci sono modelli di metaverso cui vi siete ispirati?

“In realtà, al di là del solito battage pubblicitario, sono pochissimi gli esempi di imprese culturali che hanno prodotto spazi di questo tipo con le caratteristiche del metaverso dell’Acquario Romano, che fa riferimento ad ambiti molto eterogenei, dalle mostre d’arte, ai convegni, ai seminari, agli incontri di formazione. Il nostro è un lavoro on board, sperimentale”. 

Immagino anche piuttosto costoso.

“I costi maggiori, almeno sin ora, hanno riguardato la riproduzione in 3D. Ma la situazione è in continua evoluzione. Stiamo pure producendo una scansione dell’interno dell’Acquario Romano”. 

Quindi, chi visiterà il metaverso, avrà l’impressione di entrarvi all’interno?

“Sì, anche se probabilmente non si imbatterà in una riproduzione degli spazi fedele al cento per cento, ma piuttosto in un look like. Non sarà una restituzione, per così dire, scientifica, come si trattasse di un monumento di età romana, ma sarà comunque realistica”.

Relativamente a questi aspetti, cedo la parola al fornitore dei servizi, Filippo Bonifati, cui domando come è progettato il metaverso di Acquario Romano e come si articolano i servizi che esso offre. 

“Principio guida del metaverso è l’interoperabilità, vale a dire la possibilità di fruirlo nel modo più trasversale possibile. Una volta, per vedere qualcosa sul computer era necessario installare un software; oggi, grazie ad internet, questa barriera è caduta. La stessa libertà e larghezza di diffusione sono perseguite dal metaverso. In un certo senso, stiamo rivivendo quella che fu per internet la stagione dei grandi portali. In quell’epoca, ognuno intendeva creare il portale definitivo”. 

Ciò che prova oggi a fare Meta

“Propri così. Meta è il leader nella produzione di visori main stream, non i migliori ma di sicuro i più economici, e ha perciò la pretesa di imporsi come l’unico metaverso possibile. Si tratta evidentemente di una forzatura ideologica, di un’operazione speculativa e di marketing. Non a caso, tutti gli altri soggetti stanno seguendo attentamente la vicenda per imparare dagli errori di Zuckerberg e prendere il suo posto. Noi, piccoli piccoli, non abbiamo mai pensato di creare il metaverso universale. Abbiamo visto piuttosto cosa c’era in giro e, tra le tante piattaforme esistenti, ci siamo orientati su Spatial”.

Che caratteristiche ha?

“Spatial consente di costruire mondi, microversi all’interno di una macro piattaforma che ne contiene tanti. L’utente che si registra può saltare dall’uno all’altro. Una peculiarità di Spatial è l’esser stata concepita per ospitare opere d’arte, in principio esclusivamente digitali, poi anche di natura tradizionale. Queste sue specifiche, unite al fatto che Spatial è raggiungibile in mille modi, dal visore più complesso al telefonino, ci hanno convinto ad adottarla. Quanto all’architettura del metaverso, gli spazi sono quelli dell’Acquario Romano. Come sai bene, l’Acquario Romano, che è di proprietà del Comune di Roma, è la Casa dell’Architettura, sede dell’Ordine degli Architetti della capitale, che ha un ruolo importante nella divulgazione delle attività legate ad essa ed alla cultura in genere. Comunque sia, la fruizione del metaverso è vincolata alla presenza di opere”. 

Quindi non tanto al luogo quanto a ciò che in esso viene mostrato. L’ambiente viene attivato dall’opera.

Ciò che conta è il concetto. Abbiamo iniziato realizzando una fotogrammetria dell’esterno, in modo da ambientare nel metaverso le opere che sono state fisicamente esposte nei giardini dell’Acquario Romano. Ovviamente creeremo tante repliche dello stesso spazio, ognuna diversa dall’altra, in quanto ciascuna si riferirà a un momento, a un singolo episodio espositivo. Ogni visitatore potrà quindi accedere col suo avatar, o potrà crearne uno sul momento, per fruire opere e spazio in maniera interattiva. Se l’artista o il curatore lo ritengono opportuno, sarà di volta in volta possibile aggiungere testi, immagini, contenuti audiovideo scaricabili. Sarà un po’ come leggere un libro. Ma a tre dimensioni. Si potrà decidere di limitarsi a sfogliarlo, o di spulciarlo sino all’ultima nota”. 

Si potrà anche decidere di acquistare un lavoro, un NFT.

“L’eventuale acquisto di un’opera prescinde completamente dalla struttura di metaverso dell’Acquario Romano Casa dell’Architettura; nessuno di questi, incluso l’Ordine degli Architetti né tantomeno il Comune di Roma, è un mercante d’arte. Se le opere esposte in uno spazio museale vengono acquistate, questo è un fatto privato, che riguarda l’artista, o il suo rappresentante, e l’acquirente. Detto ciò, nulla vieta che tra i vari contenuti dell’opera vi sia un link che rimandi a un marketplace esterno, in cui si possano effettuare transazioni.” 

Delle eventuali prospettive di divulgazione e di guadagno per gli artisti mediante la vendita di NFT, discuto brevemente con Gianluca Duretto. 

Come deve procedere l’artista per realizzare un NFT e metterlo in commercio? Che vantaggi ne trae?

Il procedimento è semplicissimo. L’artista, anzitutto, crea un lavoro digitale, o una copia unica digitale di un suo lavoro fisico. Quindi si rivolge a un marketplace, come SuperRare, OpenSea o Rarible, dove tale elaborato viene legato a un codice che non ne permette la contraffazione e la copia: di qui il nome NFT, che significa letteralmente gettone non fungibile. Da allora in poi l’NFT della sua opera è acquistabile online. I vantaggi per l’artista sono enormi. Anzitutto, l’ampliamento del proprio bacino d’utenza commerciale e non: una platea praticamente infinita. In secondo luogo, la possibilità di legare all’NFT una molteplicità di dati (foto, video, testimonianze d’autore) rendendoli unici e intoccabili.   

Dò quindi la parola a Fulvio Merolli, uno degli artisti che hanno esposto presso l’Acquario Romano, le cui opere saranno quanto prima fruibili nell’ambiente digitale. 

Alcune tue sculture sono state già “lavorate”, cioè scansionate e animate, per essere inserite nel metaverso. Che impressione ne hai tratto? Quali prospettive scorgi in questa infrastruttura per la diffusione del tuo lavoro?

Provengo da un ambiente molto scettico rispetto al virtuale, che è quello della scultura. Volumetrica, pesante, la scultura è l’anti virtuale per eccellenza. Tuttavia, è proprio questa sua natura a rendere il virtuale utilissimo alla sua divulgazione, che sinora si è svolta, con tutte le difficoltà del caso, attraverso foto o video, oppure attraverso l’esposizione fisica, con relativi oneri sovente gravosi”. 

O tramite i multipli, oggi passati di moda

“Giusto. Multipli non solo passati di moda, ma che ne vanno a inficiare l’originalità. Chi li acquista, sa di non possedere un pezzo unico, che nell’arte è il plusvalore per eccellenza, e ciò senza contare come la copiatura vada spesso a detrimento della qualità, lasciando campo aperto all’agire fraudolento dei falsari. Di contro, le riproduzioni digitali delle opere hanno raggiunto livelli qualitativi davvero ragguardevoli. Io stesso non riesco a distinguere, su uno schermo, la scultura vera dalla sua ricostruzione grafica in 3D. Questa eccellenza dello strumento informatico spalanca una finestra di opportunità: offrire ai clienti o ai committenti, anche a migliaia di chilometri di distanza, render assolutamente convincenti, in cui le opere possono anche essere collocate nello spazio che le andrà a ospitare.

Senza dire che all’NFT del lavoro può anche essere accluso un file che consenta di riprodurlo, sempre a distanza, con una stampante 3D.

Esatto. Questo sistema consente agli artisti di fare – perdonami la parola – un merchandising etico. Nella società di oggi, tutti vorremmo l’opera di un artista che ci piace, ma non tutti possiamo permettercela. Con un file da riprodurre in 3D, anche chi possiede risorse limitate può aspirare a portarsi a casa un lavoro ben fatto, la cui stampa costa meno di un paio di scarpe alla moda; una produzione che l’artista può anche contingentare”. 

Potrebbe anche limitarla, se volesse, a un unico esemplare

“A mio avviso, l’NFT unico è un errore. Il virtuale dovrebbe facilitare la conoscenza dell’opera, ma la sua unicità fisica andrebbe preservata”.

Tu quindi non sei per distruggere le opere fisiche, lasciando in vita il solo NFT? 

Il gesto confina col ridicolo ma andava fatto, per attirare l’attenzione sull’argomento. Per fortuna è stato fatto con lavori di Hirst e di Banksy, e non di Caravaggio”. 

Riassumendo, il metaverso dell’Acquario Romano offre agli utenti la possibilità di vedere a distanza mostre e installazioni ospitate nell’ambiente, anche a porte chiuse, o a esposizioni terminate; permette di fruirne in modo immersivo e potenziato; favorisce, indirettamente, la frequentazione fisica dell’Acquario Romano mentre si rimanda ad un marketplace esterno, posto al di fuori, per l’acquisto di NFT. È, in altre parole, un esempio pressoché unico di tecnologia al servizio dell’arte in un settore che non è ancora diventato oggetto, se non sommariamente, di valorizzazione culturale. Certo gli strumenti possono essere la peggiore schiavitù, e il bello digitale, se svincolato dal reale – ma non è il caso del metaverso dell’Acquario Romano, che della fruizione ibrida fa la sua bandiera – può tendere pericolosamente ad appiattirsi in strisciante autoerotismo.[1] E tuttavia, in un mondo in cui il digitale si appresta a diventare, in un certo senso lo è già, lingua di tutti, le opportunità sono di gran lunga maggiori dei rischi. Come ha ben scritto Baricco, “Non è il Game”, vale a dire il mondo digitale, “che deve tornare all’umanesimo. È l’umanesimo che deve colmare il ritardo e raggiungere il Game. Una restaurazione ottusa dei riti, del sapere e delle élite che colleghiamo istintivamente all’idea di umanesimo, sarebbe una perdita di tempo imperdonabile. Abbiamo invece fretta di cristallizzare un umanesimo contemporaneo, dove le orme lasciate dagli umani dietro di sé siano tradotte nella grammatica del presente e immesse nei processi che generano, ogni giorno, il Game”.[2] Il metaverso – come negarlo? – è parte di questo lavoro necessario: “finire di costruire il Game in modo che sia adatto agli umani. Non solo prodotto dagli umani: adatto a loro”.[3]


[1] Cfr. Byung-Chul Han, La salvezza del bello, Milano, Nottetempo, 2020, pp. 34-38.

[2] Alessandro Baricco, The Game, Torino, Einaudi, 2018, pp. 325-326 

[3] Ibid.