Se siporex, cemento e indumenti riportano al concetto della casa, la cura di sé è intercettata da quel senso puro di apparenza esteriore che accomuna il vissuto di ognuno di noi.
L’apparenza esteriore può essere un aspetto della cura di sé, riflettendo il desiderio di presentarsi al mondo in modo che rispecchi il proprio benessere e la propria identità. Tuttavia, è importante bilanciare questo aspetto della cura del proprio essere interiore, della salute mentale e delle relazioni personali da quell’esteriorità che in alcuni casi sfocia in qualcosa che non ci appartiene. Dalle opere presentate a Spazio Sei si percepisce quell’equilibrio, quello che Giulia Spernazza riporta tramite le proprie emozioni e nella coltivazione, in maniera attenta e esperenziale, delle relazioni significative che la appartengono.
C’è qualcosa di familiare tra materiale da costruzione (quale siporex e cemento), indumenti come abiti e il concetto dell’abitare. Nei pezzi di abiti, troviamo il tessuto dei ricordi familiari, intrecciati come fili di affetto e tradizione. Guardando questi abitanti del nostro passato, ci avvolgiamo in un calore familiare che va oltre la semplice vestizione. È un atto di cura, oltre l’apparenza esteriore, riconosciuta dall’importanza di portare con sé radici e identitá. Questi indumenti diventano così qualcosa di più di semplici tessuti, rappresentando un modo di abitare il presente con una consapevolezza intima e una celebrazione di chi siamo.
Negli abiti si intravedono più di semplici stoffe, sono come abbracci che ci avvolgono con la tenerezza di qualcosa di familiare. Come madri che curano e proteggono i loro figli, gli abiti custodiscono e avvolgono il nostro corpo. Indossarli diventa un rituale di cura, un richiamo alle coccole della maternità, dove calore e sicurezza si fondono nella trama dei tessuti offrendo un senso di appartenenza e comfort, simile a quello che si sperimenta nel grembo materno.
Michel Foucault, citato nel testo critico a cura di Maila Buglioni, nei suoi studi esamina il concetto di struttura sociale sostenendo che, il potere è solo questione di istituzione anche se permea all’interno di tutti gli aspetti della società (tramite norme, regole, schemi, interazioni programmate). Foucault nella relazione tra struttura e cura di sé, nella sua tecnologia del sé per intenderci, spiega come la società produca concetti di identità e come la cura sia parte di tutto quello che ci circonda.
L’invito che emerge da questo parole, è quello che Giulia Spernazza, in maniera lineare e con eleganza rappresenta con le sue opere, cioè quello di considerare la cura di sé non solo come una pratica individuale isolata, ma come parte integrante di un contesto sociale più ampio, modellato dalle dinamiche del quotidiano del vissuto e della società, presa nel senso più intimo.
In tal caso, quel qualcosa di familiare Giulia Spernazza lo costruisce definitivamente nell’installazione Sacri resti, concepita appositamente per lo spazio, dove tre colonne rese erette da scarti di lavorazione, come in un cantiere in corso, si riempiono di ricordi leggeri e appesantiti, da tutto ciò che l’abitare restituisce se tracciato in tutto il suo percorso. Costruire qualcosa comporta partire dalla base e dalla polvere, dagli scarti che produce.
Le opere presenti a Spazio Sei, sottolineano l’importanza di una bellezza e di un’armonia, in completo dialogo con il luogo che accoglie e una necessità di relazione dopo un isolamento. Spernazza ricerca un dialogo con il panorama affinché quello che si è indossato sia non solo un archivio per se stessa ma un punto di partenza per chi ne fruisce.
Essere fermi a guardare le opere permette di inquadrare quel linguaggio forte e gentile, come se il territorio portasse un energia positiva nell’artista e convogliasse in un metodico allestimento fatto apposta per non disturbare ma accogliere, come la casa che vorremmo avere tutti i giorni alla fine di una giornata.
Giulia Spernazza
Qualcosa di familiare
a cura di Maila Buglioni
Spazio Sei, Pescara
dal 11 Novembre al 10 Dicembre 2023