Vuoi delineare la figura artistica di Giacomo Verde?
Mi ha sempre colpito la sua personalità eclettica, la sua capacità straordinaria di trasformare qualunque tecnica in linguaggio creativo ed espressivo (dalla videoarte alla Computer e Net Art fino all’Arte con l’Intelligenza Artificiale), di indirizzare l’arte nell’unica dimensione per lui possibile, quella sociale, comunitaria, condivisa. Dice la studiosa di media Sandra Lischi che con lui se ne è andato l’ultimo artista che ha unito arte e vita, e avendolo conosciuto bene, posso dire che nella sua arte effettivamente c’era sempre l’obiettivo di creare contesti umani partecipati, esperienze cognitive ed emotive importanti, trasformative addirittura, piuttosto che oggetti da collocare nel mercato dell’arte. L’interattività progettata da Verde non a caso metteva in luce la sostanza dei rapporti umani prima ancora delle caratteristiche tecniche dei media digitali.
Verde si inseriva comunque in un contesto di ricerca condivisa, anzi spesso lo costruiva.
Sì, il connubio etico-estetico della sua arte trovò il suo coronamento dagli Anni Zero in riferimento anche alle varie declinazioni delle attitudini hacker. Era in discussione la decostruzione di alcuni temi cardine dell’arte, dall’autorialità al primato del creatore unico, dal decorativismo digitale all’interattività di superficie (da sostituire con una convinta e organizzata socializzazione dei saperi tecnologici) alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo (economici e artistici) alternativi. Verde ha operato da pioniere in un’epoca in cui Internet rappresentava la speranza di rovesciare dal basso i centri di potere, le leggi economiche imposte dal profitto delle multinazionali. Una lotta che lui ha perseguito con convinzione fino all’ultimo. Nella consapevolezza, disse in un’intervista, che “le tecnologie cambieranno il mondo ma solo se saranno usate con un’etica diversa da quella del profitto personale incondizionato”.
Vuoi dire qualcosa sul suo rapporto col teatro?
Sì, la lunga linea trasversale della sua ricerca a partire dal teatro di strada si è portata nella direzione dell’arte elettronica analogica e digitale, esplorando ambiti nascosti dell’arte tecnologica ma sempre in una versione “povera”, senza l’esposizione del meraviglioso tecnologico a cui siamo abituati. Pensiamo all’invenzione del Teleracconto, il racconto teatrale con la Tv creato per i ragazzi: il teatro era al cuore della sua ricerca che ha re-inventato con monitor, con schermi, con uso di immagini live (i videofondali ideati per Luigi Cinque e Nanni Balestrini), con dispositivi interattivi (con Andrea Balzola crea il primo ipertesto drammaturgico, Storie mandaliche) e web (il primo spettacolo telematico italiano è il suo Connessioni remote) fino alle sue ultime performance e spettacoli con uso di ologrammi. È possibile avere un’idea della varietà dei materiali artistici creati in 40 anni consultando il sito che stiamo tenendo in vita su YouTube, contenente i materiali che stiamo digitalizzando dall’archivio. È importante sottolineare che Giacomo Verde condivideva sempre queste “scommesse” di ricerca con gruppi, con compagnie, con associazioni, con altri artisti. Il suo “fare mondo” nell’arte creava luoghi molto abitati e divertenti!
Da qualche tempo si parla del cosiddetto Artivismo. Verde è stato un protagonista di questa declinazione dell’impegno artistico.
Diceva Verde che l’artivismo si ha quando la creazione artistica si accompagna consapevolmente a un’azione politica, o quando l’artista è consapevole del valore politico che mette in campo. Verde inizia ad autodefinirsi Artivista dai primi anni Duemila quando la nota studiosa di media art e hacking Tatiana Bazzichelli organizza una mostra dal titolo AHA (Activism, Hacker Art, Artivism) che, ricordo, aveva come immagine grafica un tubetto di colla molto famoso all’epoca che aveva proprio quel nome! Probabilmente quella fu la prima volta che Verde sentì parlare di artivismo: si riconobbe immediatamente nel movimento, e lo “personalizzò”. Verde è stato un artivista ante litteram: pensiamo alle sue performance e azioni pubbliche con la Banda Magnetica negli anni Ottanta, con le incursioni poetico elettroniche che creavano scompiglio nei luoghi cittadini, il “trattamento” artigianale delle immagini televisive in funzione critica rispetto ai media generalisti in Fine fine millennio, la sua volontà di creare un’arte con tecnologie domestiche affinché gli utenti potessero rifarla a casa, i suoi numerosi workshop in tutta Italia per insegnare video e per promuovere l’open access, il software libero e provare a usarlo nell’arte e persino nel teatro.
Quindi il suo percorso toccò anche la Videoarte, intesa anche come critica della televisione?
A questo proposito voglio ricordare l’invenzione, insieme col gruppo Quinta parete, della Minimal Tv ovvero l’invenzione della “televisione più piccola del mondo”, quella creata con pochi mezzi direttamente da casa senza bisogno di uno studio professionale, per divertire ma anche per immaginare di rovesciare l’informazione o mettere in ridicolo il potere dei media conoscendone le regole “mettendoci mano”. Era la versione “verdiana” ossia popolare e ludica, del fenomeno delle tv via cavo che diedero inizio alla militanza antagonista armata di media di cui aveva parlato Roberto Faenza nel libro Senza chiedere il permesso (1973). Ricordo poi i suoi interventi legati ad ambiti sociali, a momenti e motivi urgenti della società: prendiamo tra tutti il documentario sul G8 di Genova, alla sua diffusione in proiezione in molti luoghi per far conoscere quello che era accaduto. Dal movimento del Media attivismo collegato con Seattle e dopo Genova ha intrapreso una strada sempre più votata all’artivismo. La posizione politica chiara e netta, la riformulazione di una visione antagonista, il mettersi a disposizione di battaglie civili e sociali divenne sempre più il suo marchio estetico.
Mi sembra di cogliere una venatura polemica nelle tue parole…
Ovviamente per me Giacomo dovrebbe stare sul gradino più alto dell’artivismo italiano perché è la figura che meglio lo ha rappresentato, che lo ha addirittura incarnato, che ne ha persino dettato regole che altri hanno seguito. Sarebbe lungo l’elenco delle sue azioni artivistiche che si sono susseguite e vanno dai Net Strike ai Virtual Sit alla creazione di un’opera di Net Art (che mostreremo alla Spezia) creata per far conoscere i siti delle Organizzazioni non Governative. Quest’ultima fu installata a Techné di Milano nel 1999 all’interno di una mostra d’arte interattiva in cui esponeva anche Steina Vasulka. Negli ultimi anni insieme con il collettivo Dadaboom si era adoperato per una difesa “artivista” del Parco della Pineta di Viareggio minacciata dal piano urbanistico di un asse viario di attraversamento. Ma l’elenco sarebbe lunghisismo.
Per questo mi fa “strano” che Verde non sia stato inserito nel volume di Vincenzo Trione sull’ Artivismo: basta digitare questa parola chiave sul web e il nome di Giacomo esce immediatamente in tutti i motori di ricerca, avendo lui scritto, tra l’altro, nel 2005 una raccolta di scritti proprio su Artivismo tecnologico (oggi scaricabile in rete). Credo che il problema sia, in generale, la confusione tra arte politica e artivismo vero e proprio: se l’artivismo è sicuramente arte politica, non tutta l’arte politica è artivismo. Aldo Mihlonic, forse il più lucido teorico del movimento in Europa, lo definisce un “interventismo” che utilizza tecniche proprie delle manifestazioni culturali e performative per costituirsi nel campo della politica (nel numero 1 della rivista Connessioni Remote abbiamo raccolto diversi esempi chiarificatori). Zero Calcare non è certo un vero artivista, specie se lo troviamo citato insieme alla cubana Tania Bruguera, più volte incarcerata per la sua attività antigovernativa! L’importante è non far diventare l’artivismo l’ennesima “moda” o tendenza fagocitata dal sistema dell’arte contemporanea.
Vuoi ricordare qualcuno fra gli artisti e gli intellettuali che Verde coinvolse nei suoi progetti?
Ad esempio, nei primi anni Novanta fu tra i compilatori con Paolo Rosa e Antonio Caronia (altri due personaggi straordinari, prematuramente scomparsi) del Manifesto per una cartografia del reale. Erano gli anni in cui esplodeva il fenomeno delle realtà virtuali, e Internet era ancora una promessa in via di attuazione. Già in quel testo c’erano le indicazioni per una riconfigurazione del fare artistico che a mio avviso ancora oggi sono valide. Idee poco considerate, o travisate, dalla “comunità” artistica e intellettuale italiana. La mostra è l’atto di inizio per un inventario delle idee, dei pensieri e delle opere di un artista che merita di essere conosciuto e riconosciuto.
Qualche informazione sul progetto espositivo dedicato a Verde?
Considerando la molteplicità degli interessi di Verde, la mostra è divisa in tre fasi. Propone tre percorsi in cui sono stati suddivisi i materiali d’archivio, cercando di sviluppare una “narrazione” contemporanea, fuori dall’archeologia dei media, azzardando a “performare” l’archivio forzandolo a dialogare con l’oggi attraverso artisti, nuovi formati e nuove tecnologie. Dopo l’Artivismo con cui abbiamo aperto il 25 giugno davanti a una folla straordinaria, il 9 settembre sarà la volta di Tecnoarte e Interazione. La terza fase a novembre si concentrerà sul Teatro, sezione che vedrà come “guida” Carlo Infante che forse è stata la persona che ha seguito più da vicino e per più tempo l’attività artistica di Verde, diventando non solo testimone ma anche produttore delle sue opere dai primi anni Ottanta.
Nella sezione che inizierà il 9 settembre ci concentreremo più che sul prodotto artistico sul processo creativo che sta alla base della realizzazione delle video-opere analogiche e interattive, ideate e realizzate da Verde a partire dagli anni ‘90, grazie all’esposizione inedita dei disegni preparatori, dei materiali di studio, dei progetti e delle grafiche che correderanno le opere in mostra. Abbiamo ripristinato un’opera interattiva del 1997 Reperto Antropo-logico che è di proprietà del Museo MA*GA di Gallarate. Sarà esposta grazie a un prestito temporaneo al museo CAMeC . Ci sono anche omaggi di studenti, artisti, ex colleghi di Accademia che hanno “riletto” le sue opere. Questa parte è la più “vivace”. Devo ringraziare il Comune e il Museo della Spezia per averci dato la possibilità di realizzare una mostra non convenzionale, aperta e “trasformista”, rispettosa al massimo dell’estetica politica e poetica di Verde.
L’arte non può avere una funzione rassicurante e normalizzante, specie nei tempi che stiamo vivendo. Il mio augurio è che la mostra possa suggerire nuove politiche culturali e nuove pratiche curatoriali.
Una curiosità: Lorenzo Antei, giovane studente dell’Accademia di Carrara ma già artista digitale professionista, ha recuperato per gli utenti l’opera di Net Art X-8×8-x.net del 1999 di Verde. Questo è un tema nuovo: come intervenire su opere d’arte che girano ancora in rete ma non sono navigabili come un tempo. Il “restauro” (non solo “restyling”) non ha intaccato il codice che era di fatto, parte integrante dell’opera. Così l’allestimento al CAMeC si è trasformato in un vero laboratorio di idee e nuove pratiche e teoriche d’arte digitale.
