La contraddizione e il paradosso sono l’identità profonda del Castello. Intensamente medievale, eppure grande architettura rinascimentale. Gotico eppure razionale. Cupo eppure luminoso. Poderoso strumento da guerra, eppure palazzo signorile principesco. Sobrio, severo, a tratti aspro, eppure decorato da affreschi manieristi densi di cultura classica e da grottesche cariche di capriccio e di immaginazione libera.
Il viaggio di scoperta è iniziato alle 9.30 con il raduno di tutti nella Corte Grande, lo spazio più ampio del Castello, circa 400 mq, che separa e contemporaneamente unisce l’ala sud e nord. La prima è in un certo senso la testa del Castello – nella sua rappresentazione zoomorfica è la testa o dell’aquila o dello scorpione – e la seconda, la parte palazzo, era quella destinata alla vita di corte e al bel vivere del cortigiano.
Da lì poi verso le Sale del Castello, ognuna con collezioni e oggetti singolari che ne raccontano l’identità. A cominciare dalla Sala Grande, detta anche la Sala delle Parche, lo spazio interno più grande del Castello che apre su un lungo cannocchiale di 80 mt. e che, insieme alle 7 stanze che vi si affacciano, rappresenta l’anima delle metamorfosi e l’anima ovidiana del Castello. Qui gli affreschi a parete sono i più recenti e risalgono al 1712-20 circa. Al centro della stanza le tre Parche di Marcos Cei, figure alte oltre 2,5 mt., che rappresentano tre entità che sorvegliano nel loro modo, al tempo stesso malevolo e persecutorio ma anche amichevole a volte, tutto il piano nobile.
A seguire la Stanza dei Libri in qualche modo sintesi della profonda identità del Castello, in cui si fronteggiano Illuminismo e Romanticismo insieme, luce e tenebre, inconscio e il desiderio. Ci sono reperti molto importanti, come ad esempio, una delle pochissime edizioni complete dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert ma anche le opere complete di Voltaire pubblicate a Ginevra intorno al 1790 e quelle di Rousseau. C’è anche quel monumento alla razionalità scientifica che è la Storia Universale Naturale di Buffon, in quasi 130 volumi, insieme a opere cruciali del Rinascimento e di Cartesio.
E poi lungo la Stanza della Memoria con i suoi affreschi che animano la parte alta delle quattro pareti, e che giocano con due temi evidenti. Il primo è il desiderio del passato, un passato reinventato per costruire il futuro, con scene di battaglia che riguardano la mitologia della famiglia nobile proprietaria del Castello e soldati di epoca romana che affrontano elefanti ed eserciti esotici. L’altro è quello degli angeli che scrivono su grandi scudi, in una variante bizzarra della raffigurazione classica della Vittoria Alata che scrive sullo scudo.
La Stanza dello Sciamano in cui ci sono 19 maschere, che rappresentano ognuna una identità diversa. Lo sciamano non è una cosa sola, è tante cose diverse, e per ognuna di queste deve indossare la maschera appropriata. Le maschere sono state realizzate da tribù della costa del Nord Ovest del Pacifico, dal Canada e dall’Alaska. Maschere di uccelli cannibali, maschere di grandi capi, maschere dell’uomo selvaggio e della donna selvaggia, maschere di guitti e maschere di narratori, maschere che devono spaventare e maschere che devono far ridere: le mille facce dell’identità impossibile dello Sciamano.
La Stanza del Criminale, una stanza vuota, lineare, con un grande tappeto, un monolite di luce in un angolo, e un grande corpo nero che domina la scena – un vestito di donna, affusolato e alto, montato su un’intelaiatura di ferro. Si tratta di una scultura di un’artista di New York, realizzata con pezzi di ombrelli neri.
Fino al grande Salone del Totem bianco e poi giù nei sotterranei, nella lunga cantina che percorre tutta l’ala nord del Castello. Qui si trova la Stanza del Terapeuta, non propriamente un luogo ma piuttosto un percorso per arrivare a un luogo, che si snoda attraverso una installazione realizzata qualche anno fa dall’antropologo e artista Vincenzo Padiglione. Il Terapeuta si trova lì in fondo, e lo si vede subito quando si scende ma non si capisce cosa sia, come un’ombra controluce che ti aspetta immobile, alla fine del percorso. Arrivare al Terapeuta è già parte del viaggio, perché bisogna attraversare molte stanze, una dopo l’altra, passando attraverso sculture che rappresentano pezzi di corpi scomposti su letti ospedalieri, maschere, spose abbandonate, altri corpi mutilati, e gabbie che pendono dal soffitto. Una rappresentazione onirica e spaventosa dei residui dei rituali sociali.
Chiamati a confrontarsi in questa edizione con la pratica antica e diffusa dell’Incubatio, gli artisti hanno cominciato a ragionare sull’incubazione di nuovi mondi possibili, ciascuno in totale libertà secondo modi e linguaggi che da domani cominceremo a raccontarvi dando voce alle singole personalità.
Endecameron 21 Incubatio | Incubazione
31 giugno – 7 luglio 2021
Castello di Rocca Sinibalda
Siti: www.endecameron.it, www.castelloroccasinibalda.it
Social media: Facebook Endecameron | Instagram @endecameron | Twitter endecameron