Bad Trip Surface … The «naked lunch» e l’ipermedialità …

Controllo, modulazione e algebra del male nel Pasto Nudo. Sono le «società a tossicità generalizzata» che stanno sostituendo le società disciplinari. «Il nudismo tossico» è il nome che Burroughs propone per designare il nuovo mostro e che i foucaultiani riconoscono come il nostro prossimo avvenire. L’autore di questo lavoro analizza l’attività di reificazione in atto in ogni processo di creazione. Partendo dagli aspetti antagonistici e complementari dell’intimo e dell’universale egli rilancia il dibattito dell’arte del fumetto, della letteratura e della realtà del capitale. Infine la ristampa de Il Pasto Nudo illustrata da Bad Trip (Gianluca Lerici) – a cura della Shake edizioni – ripropone una problematica complessa tra il testuale, il biografico e l’esistente nell’opera, e non solo in essa.

1. Avevo chiesto al mio gigantesco archivio visuale di chiamarmi prof. Bad Trip! Il cervello dell’uomo differisce da quello di tutti gli animali, prima per la sua figura sferica e non appiattita; inoltre, nessun animale lo possiede così voluminoso. Ed il professor Bad Trip, il quale fece tanta grafica intorno a questa immagine mediale, provò che, per arrivare ad esatti risultati Psycho, conveniva paragonare la massa dell’encefalo non già a quella di tutto il corpo, ma soltanto a tutti i nervi uniti insieme. Seguendo questo delirio grafico post-Haring, si riconosce subito che, nella sua serie degli animali cyberpunk, il volume del cervello si digitalizza a norma di un segno che diviene più teso e timbrico. D’altronde è questo organo che, a differenza di ogni altra mediamorfosi, ove lo si raffronti al Piano sequenza delle tavole della memoria, ed al midollo spinale dei segni cyberpunk, arriva all’universo totale di Psycho. L’ultimo carattere scritto.grafico del fumetto del Professor Bad Trip è l’unico solcato da così numerose e profonde circonvoluzioni; su di esso le sole filiformità si avvicinano alle mappe delle memorie digitali e alle trascrizioni di viaggio umano, consegnandoci una degna sostanza carnosa, in ragione dell’intensificarsi della stessa midollosità.

Giordano Bruno, Il sigillo dei sigilli

Giordano Bruno, oltre che filosofo, volle anche essere pittore. Bruno, offrendo al suo lettore tre strumenti. Uno è Il sigillo dei sigilli, una delle sue opere teoriche più importanti, dedicata alla costruzione di un modello della mente e dei suoi straordinari poteri. Il celebre Nolano ha provocato, nelle pratiche eretiche della mia generazione artistica, l’esplosione del sigillus cyber, sigillo visionario recuperato da prof. Bad Trip. Proiezione subliminale della mediamorfosi, il pensiero e l’attività di Giordano Bruno rappresentano un altrove invidiabile, un di fuori, rispetto all’attuale alienato mondo del capitale, in grado tuttavia di denunciarne non pochi espedienti: la sua  arte delle immagini, della memoria, della fantasia, può provocare ancora oggi certi procedimenti tecnologici ed esorcizzare la magia nera del potere e le conseguenze, non meno nefaste, della fede tradizionale, ormai ridotta a profitto sulla pelle dei manipolati.

I fumetti migliori e i temi prediletti (tossicità, allucinazione, illusione, delirio), Gianluca Lerici li inquadra nello spazio espressivo di un segno proto-tecnico, nelle citazioni di libri di una babelica biblioteca Psycho, li vive fino al punto da esasperare la sua stessa tossicità interpretativa: rispetto alla droga assume un’identità mimetica, così come fece William Burroughs. Forse il più bello dei suoi racconti, riprende quei motivi, narrando una mortale disputa sull’unicità del terrore, la ripetizione e l’eterno attuale dell’orizzonte mediale. Ma cos’è il sigillo per prof. Bad Trip: è un marchio destinato a garantire l’autenticità di un documento, per rendere esplicita la sua eventuale divulgazione, o la sua alterazione mediale. Con lo stesso termine è indicata anche la matrice, sulla cui superficie vengono incisi simboli e iniziali, da cui si ricava l’impronta. Ebbene, l’iconografia ufficiale del nuovo fumetto underground è l’ultimo Psycho, che vede prof. Bad Trip senza maschere, senza segni nascosti al cospetto di memorie toccate da celesti dannazioni che spiegano con la semplice evidenza il “maledetto sigillum”, di cui ognuno tace nella commedia quotidiana (verificabile nella diffusione di massa del tatuaggio). Nella scuola dell’Italian Post-Punk Hardcore, egli è il disegnatore della doppia convivenza segnica, camuffato da pallido cyberpunk nostrano; in realtà, il pennarello che gli vibrava nelle mani, tagliava più a fondo della scintillante bomboletta spray e di quell’estro free che aveva scelto il ritratto efficace, la forma forte, l’estetica riconoscibilissima, la contabilità schermatica, al limite tra il segno della narrazione-cartoon e l’opera pittorica.

La letteratura mediale da tempo ha individuato nel doppio spessore espressionista e writeristico, fotografico e lisergico il tratto saliente di Gianluca Lerici. La smorfia che apre l’occhio di Psycho è, in effetti, l’attenzione profondamente umana di cui un giorno William Burroughs ci ha rivelato l’essenza: gesto portentoso, carico di significati, che non procede per suggestioni, ma per cut-up, indossando il necessario mantello di segni orchestrati ad hoc. In questo senso, la filosofia di Lerici è deliziosamente Kathodik Karma; il guasto individuato tra le pieghe della vita (la cui testimonianza è segno distintivo dell’artista consapevole, non consumato e consumabile) viene appassionatamente commentato, innaffiato, portato alle estreme conseguenze, perché possa servirsi dell’effimera forza. “Ansia punkzine”, già insidiata dalle cerbottane delle etichette indipendenti maggiori, viene qui costretta ad una strategica partita a scacchi, alla fine della quale, stremata, consegnerà il proprio segno e il proprio cuore. I segni di Almanacco apocalittico (2002); I fumetti del Prof Bad Trip (2008); A Sarceful of Colours (2016) e il postumo Psycho (2017), rivelano il meccanismo operativo di Gianluca Lerici e, in buona parte, del suo personaggio ormai eroico, ma veramente eroico, visto che immergendosi nel Naked Lunch ci ha rimesso la vita. 

Incalzato da ogni dove, il segno del suo fumetto parla al mondo con una voce doppia, scaldandosi al fuoco della tradizione underground, recuperando serietà glaciale, volgendo all’aspra decorazione e alla medialità esplicita. Le spigolosità si consumano e si alternano nella vicenda, che ha un trip acido e una critica e disperata lisergicità, che offre certezze anarchiche insieme ad un dubbio maudits sfrenato. Il Prof ricorda, trascrive, traduce, cartellonizza e cartoonizza, miscela d’azzardo e per sfida, lascia pensieri in sospetto, penetra nelle superfici visive, nel tessuto del virtuale sino a toccarne un senso esasperato. Il suo esorcismo nei confronti del banale inizia e termina nel nome della Shake edizioni, con la minuziosa catalogazione di fremiti, sospiri, suoni e parole che hanno conquistato altri arricchimenti e altre potenzialità. Ma l’adulatore dello standard, di fronte al gioco perverso del fumetto underground (e non solo la démarche sonnambula del mainstream; animato da visionarietà acide, colpi di viaggi stupefacenti, rumori di metallofoni post-punk; colori e riproduzioni, magnetismi d’ogni alterazione) perde il senno fino a capire ed empatizzare. Una mano impietosa ha strappato le maschere, mutato la segnaletica, rifiutando le regole del gioco; dopo l’infrazione di tutti i medialismi possibili, tutti gli oggetti, che componevano la rassicurante tavolozza digitale, giacciono al fondo della sua stessa memoria visiva, mostrando una testimonianza viva della cultura, post ‘77, degli anni 80-90 e 2000. Gianluca Lerici capovolge così il comandamento di Andrea Pazienza e, dai residui di Stefano Tamburini, cava un’arma inquietante. È bene intendersi. Sulla tavola del pantografo non giace solo la tradizione mediale, quanto l’uso obliquo di essa: il principio dell’underground (che qualcuno ha voluto far discendere) vive entusiasticamente nella deriva e nella metamorfosi continua del segno.

L’artista non disconosce certe eredità, ma si cura di prendere le distanze da ogni sorta di lettura chiusa e maldestra del diverso: schemi, formule, letterature forzate, ammiccamenti all’industria culturale (il codice attuale della fumettocrazia) lo affannano e gli paiono gravare sul corpo della sua autentica segnicità, sino allo strangolamento, fino alla profezia di un futuro catastrofico. Sentenziava un inquietante maschera di una sua famosa strip: “Tutti a parlar male degli anni 80…vedrete nel 2020”. Di qui, una portentosa performance per vedere come siamo mediali, di qui un combattimento per un’immagine riconoscibile per esprimere e contenere autori come Burroughs, Dick, Ballard eccetera. In Psycho, la vicenda segnica e autentica di realtà underground e mediale, è una sintesi contro qualsiasi impostore della fumettocrazia: A Successful of Color. L’evidenza della lunga linea post-punk, del grido dissidente supera il limite di guardia tra decori liberty e trasforma la cellula Bad nella molecola Trip: nelle splendide sequenze gli strumenti della visione interpretano il proprio ruolo con provocazione, fino allo scoppio. In almanacco apocalittico, infine, il meccanismo catastrofista che sintetizza su quel tempismo, su quell’ago della bilancia, su quell’immagine metaforica della flebo, mozzando la lingua e allucinando gli occhi a chi già aveva intuito gusti da surrealistic pillow e di malizioso easy listening. La penna che segna, fino a perdersi nel magma della visione totale, l’assolo di un punk baritato, che insegue il proprio viaggio nel proprio destino, con velenoso puntiglio. Gianluca, prima di lasciarci, ha visitato la stanza dei sotterranei infiniti, premurandosi di non risparmiare dallo sfregio nemmeno un luogo comune. La passionalità del suo segno è necessariamente visionarietà, il guizzo ironico non sempre scivola tra le vene della storia morta per fare buon sangue. Al di là del museo, di qualsiasi museo, proprio perché musei e underground saranno sempre in conflitto, ricorderemo per sempre come Psycho sarà «nuda vita».

Cronenberg, Il pasto nudo

Suggestive quanto complesse sono le pagine che Lerici dedica a Il Pasto Nudo nella sua edizione della Shake, così intricate e dense da rendere quasi irriconoscibile la sua versatilità grafica. Tuttavia, i diversi interventi che Lerici opera sul corpo degli scritti di William Burroughs sono per noi preziosi, per avvicinarci a quanto di oscuro vi è nell’anima del tossico e del Capitale, che gli fornisce la follia e il delirio della morte. Di particolare interesse ci sembra la deduzione morale che D. Cronenberg rintraccia nell’esigenza, per Burroughs, che l’anima abbia un corpo. Io devo avere un corpo perché c’è qualcosa di oscuro in me: è questo per Burroughs il primo argomento circa la deduzione morale della tossicità! Non vi è distinzione reale tra il consumo dell’immagine, ovvero il consumo spettrale, e il consumo fisiologico, ma distinzione modale: l’assunzione dell’immagine non passerebbe semplicemente per la bocca o per i sensi, intesi organicisticamente. Non passerebbe neanche in modo esclusivo per la visione, perché, come nota Aristotele (cfr. De anima 424 a5-20), c’è immagine anche ad occhi chiusi: la visione non le è essenziale. A far precipitare il consumo dell’immagine nel metaforico, è certo la centralità data alla bocca, al consumo orale. Ma, come giustamente fa notare il parossimo tossico attuale: l’introiezione o l’incorporazione dell’altro, si sa, ha tante risorse, riusi e sotterfugi… Essa può inventare tanti orifizi, al di là di quelli di cui si crede di disporre naturalmente, come per esempio la bocca. Cronenberg sfrutta abilmente i temi burroughsiani, immergendoci, profeticamente, in una dimensione politica altamente scomoda e realistica. Il regista canadese, padre del Body Horror, trova espressione tramite il fantarealismo attualistico, che mette all’angolo la dimensione, prospettata da Gilles Deleuze, sulle società di controllo. Un elemento, questo, che assume naturalezza, grazie all’espediente del viaggio sotto gli effetti allucinatori della droga. Tutto viene portato all’esagerazione, sfociando nell’assurdo, provocando un senso di disagio nello spettatore, senza però sembrare mai troppo. Il dialogo fra gli insetti e l’uomo, la comunione fra l’uomo e la macchina, la sessualità, che ritorna in modo osceno e prepotente insieme all’omosessualità, mettono a rischio anche l’analisi di Felix Guattari sui media, che si vuole profezia della nostra attualità. Infatti, l’amico Guattari nel 1992, accolto da Le Monde Diplomatique, scrivendo un intervento sulla rifondazione delle pratiche sociali, parla di una crisi dei media e dell’inizio di un’era post-mediatica, come una catastrofe più profonda (Pour une refondation des pratiques sociales, in Le M.D., ottobre 1992, pp.26-27). Ma gli elementi esplorati sotto la luce più perversa possibile, che dall’imbarazzo ci portano al disgustoso, non esprimono la catastrofe o la fine dei media, bensì la crescita, il vantaggio, ciò che già dal 1984 chiamavo ambiguità funzionale del medialismo (qui non mi faccio, e non mi sono mai nemmeno proposto, come apologeta dei media, bensì da critico riconosco l’attualità e la crescita del loro potere). Queste sono tutte tematiche che ci parlano di un’urgenza espressiva, sia da parte del regista che dell’autore e che ci narrano della violenza e della devianza dell’immaginazione. Della loro potenza, della loro complessa deformazione, del loro labile confine tra irreale e reale, dove è semplice smarrirsi: ci dà testimonianza proprio Cronenberg (Il Pasto Nudo, pellicola del 1991, diretta da David Cronenberg e interpretata da Peter Weller e Judy Davis). “Ho smesso di scrivere a dieci anni, è troppo pericoloso” dirà all’inizio Bill, divenendo manifesto della poetica del film. 

La mente, lo scrivere, l’immaginare, sono prerogative che possono portare male se non si sa bene come adoperarle. L’opera cinematografica di Cronenberg permette di vederlo bene, spalancando le porte di una terra senza confini e senza limiti, quella della fantasia, quella fantasia che, con il filtro della droga, può portare a risultati mortiferi o sollecitativi, risultati in cui attualmente è piombata tutta la realtà politica della sinistra globale. Qui, in questa sublimità pianificata, non è capitato quello che profetizzava Guattari, ma piuttosto hanno arrestato Assange e controllano qualsiasi azione hacker, ovvero, come dice Cronenberg: diviene tutto possibile (nell’impossibile o viceversa). Tutto ciò che è indicibile e tutto ciò che non è realizzabile riesce a prendere forma e concretezza, diventando parte di un’irreale realtà che si palesa davanti ai nostri occhi. È stato lo scrittore William S. Burroughs ad accostarsi a questo primato, soprattutto nella sua opera più celebre, non a caso intitolata Naked LunchPasto Nudo, parlando di organi che diventano bocche, a cominciare dalla pelle, dagli occhi. Un corpo, quello narrato da Burroughs, intrinsecamente famelico e doppio, del quale non manca di elaborare un’algebra del Bisogno, del Nutrimento, dello sfogo e dell’accettazione dell’alienazione tossica, svincolata da ogni riduzione organicistica e che, ovviamente, permette di pensare la distinzione d’approccio del consumo dell’immagine. Tale distinzione prevede, inoltre, la non assimilazione dell’immagine rispetto agli altri cibi. Il consumo dell’immagine sarebbe il consumo di ciò che, anche se introiettato, resterebbe indigeribile: la droga. Resterebbe, semplicemente nel suo culmine. Rientrerebbe nella sfera di ciò che Marx ha chiamato il reificato, o il boccone tossico, come qualcosa che, benché mangiato, resta nella bocca, e il suo consumo sarebbe «l’impossibile consumo dell’eterogeneo», un consumo non assimilante. Piuttosto, un consumo costituente, un consumo che non mira al mantenimento di un sé, ma precisamente ad introdurre dell’altro in sé, secondo un’estensione non omogenea dell’anima e del valore artistico.

2. L’illustratore novello, interessato all’approfondimento critico del problema dello stile all’interno della sua pratica, non può tuttavia trascurare un fenomeno che ha investito, soprattutto negli ultimi decenni, la cultura artistica italiana contemporanea nel suo complesso. Molti ricercatori (fossero essi novellisti, fumettisti, antesignani dell’illustrazione, semiologi della nuvoletta, cyberpunk o post punk, antropologi della visione o scrittori della trama visionaria, storici, esponenti della post-autonomia; ma anche ribelli, hackers, esperti di sostanze psicoattive, allucinatori, allucinati ed allucinogeni e quanti altri ancora), all’avanguardia nelle loro rispettive discipline e alla ricerca di nuovi segni, si sono interessati al modello del prof. Bad Trip. Tale segnicità, pur se estrapolata dalla cosiddetta situazione clinica de Il pasto nudo, da cui trae costante alimento e guida, dimostra tuttavia un suo potenziale visionario di portata generale e la sua applicazione ha dato luogo a una ricca messe di tavole e concettualizzazioni burroughsiane, sia pure con gradi molto diversi di implementazione ed efficacia. Prof. Bad Trip, con molta libertà e a più riprese, si esercita, con le sue strisce metaforizzanti, a compiere incursioni in altre discipline (metafore psicobiologiche, fisiche, sociologiche, storiche ecc., nonché iniziative per viaggi nell’inferno), quando non addirittura dedica a queste incursioni intere sue stringhe di graphic novel, impegnate nella loro apparenza, a esplorare pezzi di storia de Il pasto nudo, immagini grondanti di ironia e drammaticità, e pertanto presi in considerazione da pochi e prudenzialmente schedati come “semiosi del segno tossico”. Oggi, alla luce del significato dei segni intrisi di eroina, essi ci appaiono in tutta la loro conflittualità, non tanto perché “testi nel testo”, quanto perché il libro è paradigma del nudo pasto, dell’ultimo pranzo tossico. Questo anche perché, dopo la ristampa di Shake edizioni, alla fine del 2022, tutto questo humus e il suo stesso segno “bulimico e xilografico”, digitale e protomediale, ritorna ai suoi assunti iniziali arricchito e potenziato, per verificarli o correggerli, e la ricerca ne riceve nuovo impulso. Questo non impedisce, tuttavia, alla cultura visiva e benpensante di considerare tutto questo tuffarsi nella poetica del Pasto Nudo di Burroughs, come segno di dispersione volontaria, di un percorso senza ritorno, di un segno e di un’esistenza alla deriva. Ma proprio il termine deriva può significare molte altre cose e per questo lo abbiamo scelto come titolo della nostra rilettura di Gianluca e forse del perturbato uxoricida William! Francia, 1959. Lo scrittore beat americano W.S. Burroughs pubblica il romanzo sperimentale The Naked lunch. In America sarebbe uscito solo nel 1962 per i tipi della Grow Press. Sia prima che dopo la pubblicazione in America, il libro fece rumore e fu bandito e processato. L’introduzione è il resoconto della dipendenza da oppio e oppiacei, in cui Burroughs ha navigato per anni. La porzione centrale del “lungo racconto drogato”, poi, è la storia di William Lee, un tossicodipendente. William e il suo doppio Bad Trip vagano per diverse città e paesi testando stupefacenti e rapporti sessuali «senza confine». L’appendice, infine, è una specie di metaguida mixata ai vari tipi di droghe, per quelli che non riescono a stare dentro alle mappature della tossicità. II romanzo di William Burroughs affrontò due processi, il primo con velocità, il secondo conquistò il primato dell’ultimo processo per oscenità di un romanzo americano. Il giudice concluse dicendo che William Burroughs “doveva essere un malato di mente”: il libro – secondo la giustizia – era “osceno, indecente e impuro”. Nella dimensione burroughsiana è fondamentale una sorta di realismo allucinato, concreto ma non proprio empirico, alla ricerca di una schiettezza che a suo modo rimane emblematica della letteratura visionaria. Dunque, sia per William Burroughs che per il Prof Bad Trip creare, è dire l’intimità dello stato tossico. Ogni opera, qualunque sia il suo grado di elaborazione, qualunque sia il suo livello di estetizzazione, si presenta innanzitutto sin dal primo istante come un’espressione vissuta, come un referto medico di una morte dilazionata (per lo scrittore uxoricida) e giocata nell’ultimo respiro per Lerici. Così Bad Trip, forte di quelle migliaia di chimicità di cui si sente partecipe, anzi ha la certezza di essere, il portavoce dal segno “Nudo”, della riproduzione svestita, lanciato di getto nella nervosità della scrittura di The Naked Lunch. E la graphic-novel rappresenta per lui un investimento tale, che è capace di lasciarsi andare all’esplosione interna del segno, senza perdervi la propria integrità umorale. Un sintetico testamento sull’inferno interiore, che tutti noi viviamo ai confini della tossicità sociale, un organismo senza biologia, un pasto limitato all’immagine e senza digestione, capace di lasciarsi andare all’esasperazione interna del segno dopato e pronto a rischiare la vita, fino a contribuire al potenziale azzardo di una molecola di morte. L’attività grafica di Bad Trip è così contenitiva, la sua funzione di sostegno così sviluppata e antibiotica, l’area potenziale del Pasto Nudo così generata dal gioco elettrico del segno e così “icastica”, che Lerici si lascia andare senza grande rischio all’esperienza della traduzione visionaria e osmotica. Prende tutte le precauzioni necessarie per dire che non è solo sotto l’influenza della tossicità, né sul punto di impazzire che si incontra la nausea e il vomito, la febbre e le vertigini, gli acufeni e le allucinazioni, ma che tutto questo circola in un ciclo di esistenza ritmica! Certo, vive totalmente i suoi stati di sdoppiamento, li prova nella sua esistenza segnica, nei suoi sensi alterati, ma conserva sempre questa parte auto-osservante del segno, che differenzia il suo vissuto ispirato dallo stato oppiaceo e dalla sua insistenza. Ma se Bud Trip assiste ne Il pasto nudo alla metamorfosi che “artera” (sì perché l’arte sa “arterare” soltanto), in un certo senso come spettatore del proprio segno, non solo per questo padroneggia la situazione. È cosciente che tutto si svolge all’interno della «cucina scoperta», del corpo tossico, esposto, nel pranzo di un vissuto, nella messa in immagine e nell’opera della sua nudità!

Come sappiamo, l’equilibrio in natura non esiste e a questa inesistenza il Capitale aggiunge un surplus fiabesco, per cui i sistemi del Controllo, così come i corpi che vivono nel suo inferno, sono attraversati da uno scompenso perpetuo e costretti ad una pragmatica ed una euristica quotidiane. Allo stesso tempo si deve registrare un’asimmetria tra Controllo e Droga e il suo effetto: la crematistica tossica. Controllo e Droga non hanno gli stessi obiettivi e quindi divergono nelle strategie e nelle pianificazioni biologiche. Per la Droga meno Controllo è presente nel Sistema e più è possibile creare quel set di condizioni che permettono la circuitazione superiore dei capitali e l’autonomia logistica degli stessi, da cui discendono i margini di manovra dell’agiatezza, ovvero l’arte del guadagno derivante dalla manipolazione dei mercati dell’intera economia mondiale (https://segnonline.it/contro-il-lavoro-rensi/ ). Situazione che il Controllo non permetterebbe all’interno di un quadro istituzionale stabile e tendente all’ipotetico Equilibrio di Sistema. Le contemporanee società di controllo si muovono dunque in una dimensione di stabilità incrinata, di caos imminente, o di crollo regolato tra pressioni verso un maggiore Controllo o sviamenti rapidi verso Droga e Ricchezza assolutistica. Per Burroughs, in ogni caso, si può essere drogati e pessimisti, dato che nella seconda metà del ’900 un arretramento modulato del Controllo c’è stato e il merito è da ascrivere a una rivoluzione dell’industria culturale – figlia di lunghi equivoci civilistici – che ha allargato la figurazione degli spazi di libertà stringendo sull’imposizione di tossicità. È a questo punto che il gioco del controllo diventa più oscuro e i suoi contorni diventano aleatori. Le concessioni diventano problematiche per il Controllo e per il consumo di morte autorizzata, lavoristica e creativa. È pur vero che il Controllo può ritrattare ogni concessione in qualsiasi frangente, ma è altrettanto vero che la reazione che susciterebbe potrebbe generare altro conflitto di subliminalità, se non aperta conformazione (come è lo stato temporale presente), che a sua volta potrebbe generare una stagnazione. D’altra parte, un eccesso di Controllo potrebbe comportare uno scivolamento verso uno stato di polizia reale e biopolitica e poi a una ulteriore militarizzazione della società avvelenata, che a sua volta potrebbe peggiorare, come nel nostro caso, in fascismo: in effetti l’uso di droghe da parte dei movimenti di liberazione si è ormai trasformato in bisogno di istituzionalizzazione dell’alternativa alienante, l’alternativa come strategia fatale, con la collaborazione radicale della pratica artistica. Gli esiti di ambedue le situazioni risulterebbero perniciosi per il governo di uomini liberi da parte di uomini liberi e quindi hanno bisogno dell’arte e della droga. Ogni passo verso il rafforzamento del ruolo della distribuzione creativa, e quindi verso una modulazione forte a favore del Controllo, troverebbe la Droga e le forze che la muovono del tutto riluttanti, ma esasperatamente liberali. Di qui il ruolo attuale della Droga, la sua nocività, derivante dall’equazione, che il Sistema ha tentato di instaurare nel periodo del collasso comunista e poi reiterata durante la rivoluzione tecnologica digitale: circuitazione accelerata e infinita dei capitali, sommata a mobilità perpetua di cose, persone e flussi di spaccio, globalizzazione dei mercati e globalizzazione degli algoritmi della medialità drogata. Droga infinita e accelerata contro arretramento del Controllo e collasso del Comune e del Locale. La scommessa della Droga e della sua Ricchezza Artificiale – il divenire simulacro della narcosi di massa, puro Artificio – è dunque riassumibile nella totalità della nuova gesamtkunstwerk del Capitale. Nell’attuale fase incerta e pericolosa, in cui la Droga è debole come il pensiero debole, soggiogata quasi ovunque dai circuiti forzosi dei tassi negativi e dal crollo della manipolazione monetaria nelle classi medie, le forze del Controllo Assoluto possono ritornare con vigore e proporre il rientro alle vecchie sovranità, questa volta potenziate dalle nuove frontiere di cibernetica e intelligenza computazionale. Il processo creativo è attraversato da due momenti inversi: una forza di velenosità massificata, che tende a conferire il titolo di realtà alle espressioni interne, che abitano il soggetto e che hanno bisogno di essere esorcizzate negli atti dopati, nelle parole e nelle opere che accompagnano la reificazione; e una forza di onirizzazione generalizzata che inietta la dimensione anticritica (o acritica) nell’operativo e nel quotidiano, che ridinamizza pulsionalmente l’attinenza con il reale e con gli altri, derazionalizzandola. Siano esse complementari o si oppongano queste due tendenze sono i vettori del «processo creativo attuale», a qualsiasi livello lo si concepisca, e corrispondono alle espressioni possibili del paradosso barbiturico di The Naked Lunch. L’analisi di Gilles Deleuze, basata sulle agenzie di Controllo di Burroughs, suona sempre più errata e distorta; così come è distorto quel pensiero post-strutturalista e post-moderno caparbio che accecato dal post non vede nessun orizzonte neo, nessun fenomeno storico che possa spingersi «al di là dell’eterno ritorno dell’uguale»(vedi: W. S. Burroughs, (2013). “The Limits of Control”. In S. Lotringer (Ed.), Schizo-culture. The Book-Semiotext(e),Los Angeles, CA, pp. 38-42; e poi: A. Negri, (2000). “Controllo e divenire”, in G. Deleuze, Pourparler. Quodlibet, Macerata, pp. 223 – 233.). 

Ora che ignuda è la Droga del Capitale e della Finanza, e non solo il Pasto e il sex appeal dell’inorganico o il corpo senza organi, cosa rimarrà nel piatto unto di sugo e di avanguardie che sanno di rancido?