Ritratto di Andrea Granchi - foto Carlo Cantini 2014

Andrea Granchi. Quando l’Arte é una questione di Famiglia

La figura imponente, baffi e barba nascondono quasi del tutto il volto dai bei lineamenti classici, il sorriso misurato infonde fiducia, una forte empatia promana dalla sua persona accompagnata dalla pacatezza o meglio dalla disponibilità tipica delle persone di grande spessore. Questo il mio veloce ritratto di Andrea Granchi, ritratto sicuramente incompleto, ma già così entra a vele spiegate nella nostra galleria Arte e Committenza.

Dotato di ingegno multiforme, vive da sempre vite parallele, vite che ogni tanto si sovrappongono. È cineasta, musicista, scultore, pittore, raffinato restauratore, professionista, manager, curatore. Ricopre inoltre cariche istituzionali, figlio d’arte e padre d’arte, lo so lo so non esiste nel nostro lessico ma lo è. Suo figlio Giacomo, valentissimo violinista è riconosciuto restauratore di Beni Culturali ed è a sua volta un artista eclettico. 

Una volta di più non possiamo che constatare che la poliedricità è strutturale all’artista vero che, come in questo caso, è messaggero di un’arte senza tempo. L’arte ha permeato la vita di Andrea Granchi e gli ha  aperto strade, difficili, che ha iniziato a percorrere fin dall’infanzia.

Grande padronanza delle tecniche, creatività infinita, introspettivo al massimo, interpreta l’anima mundi.

S – Il tuo primo ricordo con i colori?

Probabilmente nello studio di mio padre Vittorio (Firenze 1908-1992) situato in un antico edificio al 111 di via dei Serragli a Firenze di cui conservo un ricordo vivido. Era il suo spazio fin dagli anni Trenta del Novecento. C’era un odore inconfondibile, di mestiche, di vernici, di materiali per la pittura e per il restauro e repertori di oggetti e strumenti misteriosi e affascinanti ai miei occhi di bimbo.

S – Essere figlio di cotanto padre è stato un aiuto o un problema?

Né l’uno né l’altro. Mio padre, pur essendo un uomo severo e con una cultura enorme nelle varie tecniche che impiegava con estrema padronanza, evitò di entrare nella mia formazione anche perché durante il giorno era sempre impegnato come restauratore di opere d’arte al Gabinetto Restauri della Soprintendenza alle Gallerie oppure al suo studio, e rientrava quasi sempre tardi la sera. Dei miei studi, della scuola, si occupava con affettuosa e costante premura mia madre Noris. In ogni caso frequentando il suo studio di pittore novecentesco e restauratore fin da piccolo, ho imparato a veder convivere opere moderne con opere antiche. La qualità artistica “alta” mi è sembrata sempre una costante ereditaria e imprescindibile.

Come hai vissuto il tuo affacciarti alla vita professionale?

Come una cosa assolutamente naturale legata ad un destino “segnato” di cui non ho mai dubitato. D’altronde vengo da una famiglia di “artieri” fiorentini attiva, e con botteghe, da generazioni, e nota sin dalla metà del XIX secolo.

S – Andrea Granchi avrebbe potuto nascere in un’altra città?

Non saprei. Però sono molto lieto di essere nato e cresciuto in una città come Firenze in cui il “saper fare” ha una storia plurisecolare.

Quanto ha influito Firenze nelle tue scelte?

Fu fondamentale un viaggio a Venezia, nella città della musica e del colore che incontrai dal vivo per la prima volta. Ero appena adolescente e mi commosse profondamente. Al mio ritorno rividi la mia città con altri occhi, ne scoprii il carattere e le peculiarità. Compresi allora come fosse essenziale il “confronto” per capire fino in fondo chi siamo e dove vogliamo andare.

Ho vissuto per diversi anni lontano da Firenze in particolare dal 1973 al 1978 per la cattedra che mi assegnarono in Piemonte. Ho anche viaggiato molto, in particolare nel nord Europa, in America e più recentemente anche in Cina, ma non ho mai pensato di lasciare questa città alla quale mi legano non solo una profonda storia familiare ma anche vicende culturali e professionali che mi hanno portato ad avere ruoli e responsabilità che ancora mi coinvolgono fortemente.

S – La tua prima passione il cinema, ma come ti sei avvicinato al mondo della celluloide?

Attualmente sto proprio riordinando i miei scritti per una prossima pubblicazione in merito. In realtà la prima passione è sempre stata, da fiorentino, il disegno. Conclusa la mia formazione da pittore all’Accademia di Belle Arti di Firenze frequentata in anni cruciali come il 1966 – l’anno della tragica alluvione – e il 1968-69, gli anni del rinnovamento, dei movimenti giovanili, dell’insofferenza per tutto quanto fosse “bloccato”, emerse forte l’insoddisfazione per l’opera “chiusa”, bidimensionale, ferma. Determinante per me fu l’uso della macchina fotografica, mia fedele compagna sin dai miei viaggi giovanili che documentavo fittamente con scritti e foto in bianco e nero, e poi via via nelle scelte operative che progressivamente si orientarono verso una immagine sempre più tridimensionale e mobile. A partire dal 1968-69 e per tutto il decennio dei Settanta e oltre, il film a super 8mm e a 16mm divenne un mezzo efficace e indispensabile per “raccontare” animazioni e idee altrimenti non esprimibili con i mezzi tradizionali.

Il lavoro nello studio proseguiva però parallelamente appunto, e in qualche caso i risultati si sovrapponevano: dal film scaturivano sequenze e costruzioni mentre immagini dipinte o assemblate venivano utilizzate come scenari nei film. Tra i miei Committenti, negli anni ’80, per il cinema documentario, che realizzavo in collaborazione, anche con la RAI o altri Enti e Istituzioni pubbliche.

Già attratto dalle sfide fin da allora?

Per me gli spostamenti, gli sconfinamenti in settori diversi dalla pittura, sono sempre stati vissuti con naturalezza, per esprimere energie, interessi e idee che allora erano insopprimibili ma senza intenzioni aggressive o di sfida. Il mio scopo era anche cercare, attraverso il movimento delle immagini, di rimuovere quella tipica “passività” e inerzia dello spettatore. Per questo chiedevo al pubblico, quando proiettavo i miei film del ciclo Teoria dell’incertezza, di accompagnare i movimenti dell’immagine con un sonoro improvvisato lì per lì.  Ed era interessante vedere le differenti reazioni dei presenti da una proiezione ad un’altra.  

S – Chi è stato il tuo primo Committente?

Probabilmente il Comune di Firenze quando a 19 anni fui tra i vincitori del famoso e ambìto Premio del Comune che consisteva in una borsa di studio in denaro e poi nella scelta da parte di una Commissione di critici e esperti di due opere significative prodotte nell’anno stesso che venivano acquisite ed entravano nelle collezioni comunali. Purtroppo questo Premio che ha consentito per decenni al Comune di acquisire opere di artisti giovani, molti dei quali poi divenuti famosi, non esiste più.

S – Non si contano i tuoi incarichi su Committenza, fino al Museo dell’Opera del Duomo e altro.

Qui la storia è complessa ed è legata alla stretta collaborazione che ebbi con mio padre Vittorio nel campo del restauro, settore questo in cui egli fu uno dei più noti esponenti della scuola fiorentina, e con cui realizzai, secondo una tradizione consolidata di trasmissione familiare, lo “Studio Granchi” una bottega-laboratorio che operava, in specifico, su opere tutelate dallo Stato. Dopo la scomparsa di mio padre, nel 1992, ne continuai l’attività lasciando poi nel 2001 la titolarità a mio figlio Giacomo che aveva potuto anche lui frequentare lo studio del nonno imparando, come una volta si diceva, il “mestiere”.

Naturalmente ho continuato, negli anni, a collaborare con mio figlio ai molti interventi su opere di rilievo per le Soprintendenze, per musei e, dal 2013, anche per l’Opera del Duomo di Firenze. 

Giacomo, che è anche musicista e violinista specializzato in musica sacra barocca, svolge da anni un prezioso lavoro di recupero e riscoperta di rare e inedite partiture del XVII e XVIII secolo, reperite, in particolare, nell’Archivio Musicale della SS. Annunziata di Firenze per il quale ha avuto di recente l’incarico di valorizzare l’enorme patrimonio di testi musicali ivi conservati.    

S – Con ARTOUR-O il MUST le nostre strade si sono incrociate per anni, indimenticabile la presentazione di Libro d’Artista a Montedomini.

Ricordo bene che la nostra collaborazione iniziò quando ero ancora titolare della Cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze e si sostanziò subito con agili esposizioni che avevano lo scopo di mettere in luce i lavori degli studenti migliori. Ho presente in merito anche il premio GAT (destinato ai Giovani Artisti di Talento). Ricordo anche come Artour-o scegliesse sempre per le sue esposizioni luoghi molto belli, talvolta anche poco conosciuti o frequentati: fu proprio in uno di questi il caso dell’esposizione che tu citi in cui furono presentate una serie di “opere in forma di libro d’artista”, per lo più inedite, di alcuni artisti della Classe di Pittura dell’Accademia delle Arti del Disegno negli spazi assai suggestivi delle Stanze dei Guardaroba dell’Istituto Firenze-Montedomini. 

S – I tuoi ricordi di Firenze ferita … L’alluvione

Una ferita profonda che non si rimargina. Per chi come me ha vissuto l’alluvione del 4 novembre 1966 e ricorda la città prima di quella data è certamente una profonda sofferenza riandare con la memoria ai luoghi, ai fatti e soprattutto ai gravissimi danni subiti dal patrimonio artistico universale della città. Mio padre ebbe il compito gravoso di intervenire sul Crocifisso di Cimabue e riuscì con un intervento mirabile – che è stato definito una “rivoluzione copernicana nel campo del restauro” (Ciatti 2010) – a separare la pittura dalla monumentale croce lignea consentendo il restauro di entrambe le componenti con un intervento rimasto negli annali della scuola fiorentina del restauro. Io vissi naturalmente a stretto contatto con lui tutto quel tragico periodo ma anche l’immediata reazione della città e quel grande senso di rinascita che emergeva e aleggiava su quei giorni. Mio padre ebbe anche la direzione tecnica di quel grande ospedale dei dipinti su tavola che fu la Limonaia di Boboli dove i trittici e i polittici a fondo oro su supporti lignei dovevano rimanere in un ambiente con un livello di umidità altissimo. E ricordo bene come mio padre, la sera, quando tornava a casa, avesse i vestiti bagnati. 

Nel novembre di quell’anno ebbi anche il mio primo studio d’artista indipendente in via San Cristofano nel quartiere di Santa Croce uno dei più disastrati del centro storico della città dove l’altezza dell’acqua e del fango impregnato di idrocarburi e materiali in decomposizione aveva superato i 6 metri d’altezza. Una vera catastrofe alla quale faccio risalire molti dei tanti problemi che tutt’oggi affliggono Firenze.

S – La Chiesa di Borgognissanti ti toccò particolarmente.

È la chiesa storica di riferimento della mia famiglia che aveva casa proprio in via Borgognissanti ed ebbe botteghe in via del Porcellana (XIX secolo), via Palazzuolo, e poi in via Montebello sempre nel quartiere di Porta a Prato, fino all’ultima in Borgo San Jacopo stroncata dalla crisi del ’29 e dalla perdita, per Spagnola, di Pasquale Granchi (il padre di Vittorio) nel 1930. 

All’interno della chiesa di Ognissanti esiste ancora, nel presbiterio, un’antica lastra tombale del XVII secolo, con stemma, in cui si legge il nome di Michael Granchius che tradizionalmente il ramo paterno della mia famiglia considerava un antenato. 

C’è davvero da perdersi in questa storia… Il tempo è volato, gli impegni sono pressanti, ed è ora di salutarci. Data la tua attività a tutto tondo di cui abbiamo dato solo un’idea, so di fare cosa gradita a tutti lasciando il sito dove poter attingere a piene mani. Qui un volo radente sulle sue Tracce o Segni e chissà magari organizzare un interessantissimo tour.  

Musei di Firenze, Museo del Novecento, Museo Magi, Museo di Capo d’Orlando, Tiroler Landesmuseen, Innsbruck, Grafik Museum Stiftung Schreiner, Bad Steben, Germany. Modello per il concorso internazionale per la vetrata absidale di S. Croce. Opera di S. Croce Firenze

www.andreagranchi.com 
ANDREA GRANCHI Official Web Site

Tiziana Leopizzi

Architetto, giornalista iscritta all’albo da circa 25 anni, è stata nominata accademico ad honorem per la sua scelta di diffondere i valori dell’arte e della cultura in modo semplice e trasversale. È membro quindi dell’AADFI l’Accademia delle Arti del Disegno, la più antica d’Europa, voluta da Cosimo I e Giorgio Vasari nel 1563, che vanta come primo Accademico Michelangelo. Recentemente nel 2018 è stata nominata Ambasciatore della Città di Genova nel Mondo. Il suo mentore è Leonardo da Vinci il cui CV che non manca occasione di pubblicare, è fonte di saperi inestimabili per tutti noi. Usa l’arte come strumento di comunicazione realizzando progetti in Italia e all'estero.

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