Alessandra Calò
Alessandra Calò, The Garden's Tale

Alessandra Calò, The Garden’s Tale
attraverso la visione di Lóránd Hegyi

All’interno del nuovo spazio espositivo milanese dedicato alla fotografia contemporanea, Lab 1930, resta visibile al pubblico fino al 7 marzo 2023, la mostra fotografica di Alessandra Calò che prende il titolo di The Garden’s Tale. L’esposizione è a cura di Elena Carotti, direttore dello spazio espositivo. È inoltre, accompagnata da un saggio critico di Lóránd Hegyi, già direttore del Musée d’art moderne et contemporain Saint-Étienne Métropole oltre che storico e curatore d’arte di grande prestigio internazionale.

La mostra è la realizzazione in galleria di un vero e proprio progetto fotografico, infatti si presenta come un’unica installazione composta da undici opere Fine Art su carta di cotone. Il tempo è la chiave di lettura. All’interno di queste immagini a dominare è l’oscurità, il buio e a prima vista il vuoto. Avvicinando lo sguardo i soggetti a mano a mano affiorano. La vista traduce elementi vegetali e nature morte in un continuo scontro e confronto tra la vita umana e la vita selvaggia. Osservando attentamente, si percepisce come questi pochi e apparentemente effimeri elementi, in realtà tocchino le corde dell’anima di chi sa guardarli. Le atmosfere di sospensione e precarietà tradiscono i loro stessi silenzi, istigando le emozioni e le reminiscenze interne più profonde e nascoste. Alcuni elementi potrebbero ricordare visioni d’infanzia o scene sempre presenti nella vita quotidiana, a cui mai si dà importanza. È Alessandra Calò a restituire peso e incisività a queste immagini. Una melagrana spezzata a metà, un limone appoggiato su una tovaglia ricamata, delle semplici foglie…rivelano il non detto. L’osservatore si trova faccia a faccia con le sue stesse inquietudini, le sue insicurezze e i suoi interrogativi irrisolti. Queste nature morte rivelano quindi tutta la loro potenza esistenziale, diventando perciò “nature vive”. 

Infatti, il critico Lóránd Hegyi non vede nella dimensione pittorica, la principale intenzione all’origine del lavoro dell’artista. Piuttosto, dietro a quegli apparenti richiami seicenteschi, coglie un’origine fondamentalmente emozionale, sentimentale verso non solo la natura, ma verso la vita in generale. Anche se la fotografa effettivamente lavora con elementi naturali e si richiama a riferimenti storico-artistici come la natura morta, trova la sua originalità e unicità nell’analisi psicologica ed emozionale che si coglie attraverso le sue atmosfere. Lóránd Hegyi non percepisce necessariamente nei lavori della fotografa un tipo di interpretazione culturale e storica e neanche una ars poetica troppo concentrata verso la natura. Egli nota nei suoi lavori delle atmosfere psicologiche che accomunano tutti gli elementi da lei colti nell’attimo. Quella che Alessandra Calò ritrae è una natura interna, una natura umana a cui dà forma e colore. L’oscurità che predomina nei suoi scatti, non è un’esperimento artistico fine a se stesso, quanto una condizione necessaria per far sì che l’osservatore si concentri ad analizzare ciò che non è immediatamente visibile a occhio nudo. Il concetto non è quello del fare fotografia senza luce, quanto quello del cercare intuitivamente e spontaneamente di mostrare lo stato umano psicologico, emozionale e sentimentale. Uno spirito e un’intenzione accostabile a quella del romanticismo ottocentesco oppure a una sorta di intimismo francese. Si ritrova quindi un atteggiamento e una tendenza a esprimere moti dell’animo umano, sentimenti ed emozioni in tutte le loro delicate e sottili sfumature attraverso la rappresentazione di ambienti e oggetti quotidiani. Atmosfere che ricordano quelle dei pittori francesi Pierre Bonnard, Édouard Vuillard, Lucien Simon e Maurice Denis,ma mai ne sono una citazione.

Lo spettatore inizialmente non vede niente, è proprio con il tempo e attraverso il tempo che inizia a scoprire quell’universo interiore. 

Un vero e proprio viaggio filosofico, dove prima si scopre un corpo, poi un’anima, poi non contenti la ricerca continua… si scopriranno più corpi e proseguendo più anime. Questa diviene la conoscenza vera.

Lóránd Hegyi vede il tempo come il più grande regalo dell’arte. Infatti, la grande arte dona a chi la ama, un tempo, una parentesi di riflessione che altro non è, se non un percorso per arrivare a se stessi. L’arte può essere quindi letta come un territorio, un terreno in questo caso oscuro, dove la poca luce esistente illumina gli elementi che non sono visibili e tangibili normalmente. Lo spettatore avvolto dalla luce soffusa presente in galleria, si sente come protetto, non completamente esposto agli altri ed è proprio in questa condizione di marginalità che può analizzare affinità talvolta malinconiche, talvolta vivide tra l’opera d’arte e se stesso. Come spiega il critico, il vero significato dell’oscurità nell’universo dell’arte è quello di frenare la nostra visione immediata del soggetto, per aiutare a focalizzare l’attenzione su ciò che non è immediatamente visibile. In effetti, la lentezza è divenuta estremamente importante in una società come quella di oggi, dove la velocità è divenuta un valore, o meglio, un falso valore. Quindi questa oscurità non è più un fenomeno solo fisico e ottico ma esprime la volontà dell’artista di forzare l’osservatore a entrare all’interno dello scatto e quindi di se stesso. 

Un clima psicologico per certi versi affine a quello di Carlo Carrà che ha sempre lavorato con una luce stanca, non una luce che illuminava le cose, ma una sorta di nebbia che a tratti le confondeva. Ogni oggetto quindi perdeva la sua concretezza e materialità per ascendere verso l’ambiguità delle emozioni. La sua luce non si concentrava mai sui dettagli ma sull’atmosfera emotiva e omogenea di tutta l’immagine. L’ambiente diveniva così incorporeo. Anche Alessandra Calò come Carlo Carrà materializza un sentimento. Entrambi mostrano la semplicità degli elementi e delle forme ed è proprio in quell’essenzialità che si ritrova l’emozione.

Alessandra Calò
Alessandra Calò, The Garden’s Tale