Arco Madrid 2025
Pietro Guida

Addio a Pietro Guida

Scompare, all’età di 103 anni, Pietro Guida. Il ricordo dello scultore di Carmelo Cipriani

“Ca amma fa’”. C’è da giurarlo che a quanti oggi piangono e si rammaricano per la sua scomparsa, Pietro Guida avrebbe risposto così, accompagnando le sue parole con quel suo inconfondibile sorriso bonario e rassicurante. Il suo immutato accento campano, inalterato nonostante i settant’anni di vita trascorsi ininterrottamente in Puglia, a Manudria, e quella sua inconfondibile ironia, a tratti dissacrante, ma sempre sostenuta da intelligenza e cultura, avrebbero sdrammatizzato la morte, anche la sua.
Sarà per la veneranda età raggiunta – 103 anni compiuti, il prossimo 14 luglio avrebbe spento le 104 candeline – egli riusciva a parlare della sua futura dipartita con sorprendente schiettezza, senza drammi o timori. E con quella stessa, disarmante semplicità egli disquisiva dell’arte, mostrando tutto il suo malcontento per le direzioni da questa intraprese nell’ultimo cinquantennio. “Siamo pieni di duchampisti” diceva, ammonendo quanti (ed erano tanti) si dichiaravano artisti concettuali. Egli amava troppo l’arte per vederla perdersi nei meandri di un vuoto cerebralismo, privata di tecnica e di visione. Il suo non era vacuo passatismo nè retorica nostalgia ma lucida analisi di un testimone, di chi il secolo breve lo aveva attraversato per buona parte, di chi gli avvenimenti che hanno fatto storia da Roma in giù li aveva vissuti direttamente, spesso in prima persona. Quel punto di vista oggi, con la sua morte, si consegna alla storia, anzi diviene esso stesso storia.

Pietro Guida si è spento ieri sera, a casa sua, in seguito ad un arresto cardio-respiratorio. Da qualche settimana era ammalato, non riusciva ad alzarsi dal letto e parlava a fatica, eppure non mancavano i segni di una lenta ripresa. Egli era tenace nel fisico e ancor più nello spirito. Ero convinto si sarebbe ripreso e non ho voluto ascoltarlo quando mi ha fatto chiamare per dirmi di iniziare a scrivere un pensiero in sua memoria. Non gli ho dato retta e mai avrei voluto dargli ragione, ma così è. L’età ha avuto la meglio e il suo cuore ha smesso di battere. Per uno strano scherzo del destino è successo proprio ora che il Comune di Manduria, la città che aveva scelto come sua terra adottiva, si stava operando per rendergli il giusto omaggio. A lungo Pietro ha sofferto per il silenzio di quella città. Poche le occasioni espositive dedicategli. L’ultima nel 2017 nel chiostro dell’ex Convento delle Servite, a distanza di quarantasette anni dalle precedenti, allestite nel 1969 e nel 1970, rispettivamente nella Biblioteca Comunale e nel Circolo Cittadino. Neppure quando ha compiuto cent’anni l’amministrazione di allora gli ha formulato i doverosi auguri, tantomeno gli ha mai rivolto i dovuti ringraziamenti per aver scelto di risiedere a Manduria, omaggiando la città di un così sincero e disinteressato amore.

Pietro sapeva di essere un Maestro – raramente tale appellativo è stato più appropriato – ma non si è mai lasciato sedurre dalla fama, preferendo per tutta la vita la sincerità dell’arte all’insincerità degli artisti. Le mode non lo hanno mai interessato. Lo testimonia il fatto che abbia scelto di voltare pagina proprio nel momento in cui da più parti giungevano i riconoscimenti per la sua ricerca astratta. Dopo un’intensa stagione costruttivista, vissuta tra anni Sessanta e Settanta, anche con mostre e incarichi importanti, egli scelse di cambiare. Una virata non facile, che gli è costata un decennio di profondo ripensamento del suo stile. Un lungo silenzio durato fino al principio degli anni Novanta, quando è ricomparso sullo scenario espositivo con una nuova produzione, di schietta impronta figurativa, incentrata sull’uomo, dedicata alle sue attitudini, ai suoi interessi, in una parola alla sua esisitenza. Produzione colta, in cui si incontrano mito e cultura popolare, storia e quotidianità, letteratura e ricordi personali. Pietro Guida aveva ritrovato la via della figurazione, la stessa percorsa agli inizi della sua carriera, quando fu tra gli animatori del Gruppo Sud, insieme ad Armando De Stefano e Renato Barisani. Una gloriosa stagione dell’arte napoletana, che egli ricordava sempre con piacere, rammaricandosi di essere l’unico sopravvissuto. Aveva un cuore forte Pietro Guida e un animo gentile e altruista, ma sapeva anche essere duro all’occorrenza. Detestava la falsità e le finte riverenze, nell’arte come nella vita. Da oltre mezzo secolo viveva in una bella villetta alle porte di Manduria. Il giardino era il luogo della sintesi e della concordia. Lì le sue opere costruite vivevano in armonia con le sue sculture figurative, rivelandole sorelle, contrariamente a quanti volevano le due fasi opposte e in disaccordo tra loro. Per accedere alla casa si saliva una breve scalinata. Per anni Pietro, quando arrivavo, percorrendo in auto il corto viale della villa, mi ha aspettato in cima a quelle scale, accogliendomi come si accoglie un amico, un figlio, un complice. Ora su quelle scale non ci sarà più lui ad aspettarmi e quella casa cambierà storia, forse per sempre. Pietro Guida l’ha lasciata. Non ci sarà funerale per lui, non li amava, ma solo un momento di raccoglimento nel cimitero di Manduria. A celebrarlo sarà un padre passionista, come voleva Pietro, che con quella congregazione religiosa ha sempre avuto un rapporto speciale, umano prima che fideistico, a cominciare da Padre Celestino Giannelli, suo fraterno amico. Della loro amicizia è testimonianza un bel disegno oggi conservato nella raccolta di arte contemporanea del Comune di Monopoli.

Nessuno è immortale ma la forza e la lucidità con cui Pietro Guida ha vissuto la sua vita fino alla fine è tra gli aspetti dell’esistenza umana che più ci si avvicinano. Pietro ha trascorso intensamente la sua esistenza terrena e la sua arte, rivista oggi, appare la forma massima di amore per la vita, la sua migliore e più lucida preghiera.

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