Lungo il proprio cammino professionale gli incontri possono essere davvero tanti, alcuni passano quasi indifferenti altri restano, permeano e incidono la tua esistenza. Le persone importanti sanno indicarti la strada rendendo il tuo incedere ancora più spedito.
Il primo incontro con Nanda Vigo è stato sui libri, quelli che leggi non per preparare un esame universitario, ma quelli che scovi nei mercatini o nelle miscellanee delle biblioteche; materiale che nessuno mai saprebbe suggerirti per arricchire la tua ossatura culturale, ma che trovi così per caso. Erano i primi anni 2000 è proprio in una miscellanea di una biblioteca di provincia scovai un catalogo d’arte intitolato Design Balneare III. Oggetti per la definizione di una cultura balneare, mostra curata da Ugo La Pietra e realizzata a Cattolica nel luglio del 1990. Tra gli artisti in mostra c’era anche Nanda Vigo e sul catalogo oltre alle proposte artistiche anche brevi commenti dei vari autori partecipanti. Rimansi colpito dall’intervento di Nanda Vigo, la quale pose l’accento sull’importanza dell’uso dei segni e dei materiali per la definizione di una cultura edilizia balneare. Non so perché mi incuriosì così tanto quel suo commento, forse per via del fatto che la città di Pescara nacque come esperimento di città giardino/balneare e alcune scelte estetiche ed edilizie, fatte per la zona della pineta, trovavano riscontro nelle parole di questa donna a me sconosciuta.
Da quel momento in poi seguii con più interesse e attenzione il lavoro di questo personaggio del mondo dell’arte che tra l’altro aveva avuto rapporti importanti con i più grandi maestri che animarono all’inizio degli anni ’60 la città di Milano e il quartiere di Brera: Lucio Fontana, i giovani Piero Manzoni, Gianni Colombo, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti e a tanti altri che costituivano allora un piccolo gruppo di personaggi determinati a imporre la loro nuova visione del mondo. Erano gli anni della galleria Azimuth, creata da Castellani e Manzoni, e del gruppo Zero nato a Düsseldorf ma che trovò, proprio grazie alla Vigo, una sua declinazione nella capitale lombarda. L’interesse per questo personaggio fu riacceso da un’operazione editoriale che vedeva la vendita in edicola di tre DVD dedicati a Giò Ponti, Lucio Fontana e Piero Manzoni. Era la Trilogia d’Amore, film dossier dedicati a tre grandi protagonisti dell’arte italiana. Questo lavoro filmico era nato nel 2009 da un’idea di Nanda Vigo come testimone d’eccezione di un periodo formidabile dell’arte italiana. Ogni film dossier ricostruiva l’opera e la vita di questi tre grandi maestri, analizzandone ogni sfaccettatura delle vicende professionali ed esistenziali.
Ahimè riuscii ad acquistare solo quello su Piero Manzoni e la narrazione di questo autore, da parte di Nanda Vigo, fece scattare in me un amore irrefrenabile per questo genio italiano. Nel parlare di Piero Manzoni Nanda Vigo dichiara: «Con lui era un sodalizio intenso basato sulle affinità intellettive della vitalità dell’arte, ma fu impossibile lavorare con lui. Io potevo essere solo un suo spettatore piuttosto cosciente, niente di più». Vidi quel DVD decine di volte fino a consumarlo, quando mi si presentò l’occasione per mettere in pratica quanto avevo imparato. Il 23 agosto del 2009 inaugurai come direttore di un museo la mostra SeCreAzioni: da Piero Manzoni al fallimento Lehman Brothers ed ebbi la possibilità di poter esporre alcuni documenti sul maestro di Soncino (manifesti, riviste, foto), un Achrome di proprietà dello Studio 2B di Bergamo e uno storico video dedicato ai corpi d’aria. Fu proprio questo video ad essere il primo contatto diretto con Nanda Vigo che chiamai quando decisi di organizzare questa mostra. Era l’inverno del 2009 e facendo una semplice ricerca su internet trovai il numero di telefono del suo studio in via Curtatone 16 a Milano. Mi feci coraggio e alzai la cornetta per chiederle consigli e indicazioni su come organizzare al meglio questo progetto espositivo. Dopo più di 15 minuti di maltrattamenti verbali mi disse: «Bravo! Progetto ambizioso che per la vostra “terra di pastori” potrebbe avere persino un seguito».
Qualche settimana dopo arrivò il video dei Fiati d’artista, lei intercesse per me con l’Archivio Opera Piero Manzoni. Rimansi spiazzato da questa sua generosità. Ma la storia con Nanda Vigo, come tutte le grandi storie che si rispettino, andò a chiudere il cerchio tornando al punto di partenza, ovvero al design balneare. Qualche anno più tardi fui contattato da Domenico Verdone per la pubblicazione di alcune biografie ragionate su illustri artisti e in elenco c’era anche Remo Brindisi. Il passo fu breve e nel giro di pochi mesi mi ritrovai finalmente a parlare con lei, Nanda Vigo in persona, con la quale trovai un’insolita confidenza nonostante la nomea che la precedeva, ovvero di personaggio non facile. Tra l’altro io ricordavo ancora la telefonata turbolenta che ebbi con lei per la mostra su Manzoni e non avrei mai pensato ad un colloquio così pacifico e cortese. Una delle prime cose che mi disse fu «Nata e vissuta in una società maschilista devo per forza di cose comportarmi da uomo, altrimenti come sarei riuscita a farmi strada?» Fu un pomeriggio memorabile è scoprii tanti aneddoti sulla vita di Remo Brindisi: dai litigi sulla progettazione della Casa Museo a Lido di Spina alle difficili scelte dei rivestimenti. Mi disse «Remo si era fissato con una pianta circolare. Io gli dicevo che il riferimento al Guggenheim di New York di Wright era troppo evidente e non corrispondeva al mio spirito indipendente. Io non ho mai tratto ispirazione dai grandi, ma ho sempre partorito i progetti da me stessa. Per non parlare poi del rivestimento interno scelto per la casa: piastrelle in klinker bianche resistenti alla sabbia, all’umidità e alla salsedine, scelta obbligata vista la vicinanza della casa al mare. A lui proprio non piacevano, ma alla fine la ebbi vinta io!».
La sua narrazione fu entusiasmante mi raccontò del grande quadro di Fontana che Brindisi aveva acquistato all’asta per poche centinaia di lire e che fu costretto a far entrare nella Casa Museo rompendo il muro esterno dell’abitazione e delle stanze degli ospiti che in assenza di visitatori diventavano veri e propri luoghi espositivi. Capii che dietro quel volto così algido e duro c’era comunque una donna con le sue passioni e le sue fragilità. Persona che per amore del suo lavoro aveva persino negato la sua dimensione femminile per essere accettata in un mondo di uomini, riuscendo ad essere anche più “cazzuta” degli stessi uomini di cui si circondava.
In Nanda Vigo io ci sono inciampato, così come accade con una buca che trovi per strada e il risultato non è stato un ginocchio sbucciato, ma uno di quegli incontri che ti cambiano la vita.
Il comunicato stampa dell’Archivio Nanda Vigo
L’Archivio, fondato per volere della stessa artista nel 2013, continuerà con ancor più convinzione e slancio nell’opera di promozione e di protezione del suo sessantennale lavoro, che già negli ultimi anni aveva dato visibilità alla sua vivace carriera, con mostre importanti quali – solo per citarne alcune recenti – ITALIAN ZERO & avantgarde 60’s al MAMM Museum di Mosca nel 2011. Nel 2014/2015 espone al Guggenheim Museum di New York, al Martin-Gropius-Bau di Berlino e allo Stedelijk Museum di Amsterdam nelle retrospettive dedicate a ZERO. Tra il 2013 e l’inizio del 2016 realizza diverse personali: Nanda Vigo Lights Forever, Galleria Allegra Ravizza, Lugano, Affinità elette al Centro San Fedele di Milano e in seguito alla Fondazione Lercaro di Bologna, Zero in the mirror alla Galleria Volker Dhiel di Berlino, Nanda Vigo alla galleria Sperone Westwater di New York. Ha partecipato alla XXI Triennale. 21st Century. Design After Design e nel 2016 ha presentato la sua prima opera monumentale, Exoteric Gate, esposta nel cortile Ca’ Granda dell’Università degli Studi di Milano. Nel 2017 partecipa alla mostra Fantasy access code a Palazzo Reale di Milano e al K11 Museum di Shanghai in collaborazione con Alcantara, a Socle du Monde. Biennale 2017all’Heart Museum di Herning in Danimarca e alla mostra Lucio Fontana. Ambienti/Environment a Pirelli Hangar Bicocca, Milano. Nel 2018 realizza per il MAXXI di Roma in collaborazione con Alcantara la mostra Arch/arcology e inaugura la mostra personale presso la Galleria San Fedele di Milano dal titolo Sky Tracks e Global Chronotopic Experience nello Spazio San Celso di Milano e le mostre collettive Welt ohne Außen. Immersive Spaces since the 1960s al Martin-Gropius-Bau di Berlino, Zero MONA Museum di Hobart in Tasmania, Multiforms a Palazzo Rocca Contarini Corfù di Venezia, Opere aperte 1955-1975 alla Fundació Catalunya La Pedrera di Barcellona e 100% Italia al Museo Ettore Fico di Torino. Nel 2019 inaugura la mostra personale Nanda Vigo. Light Project a Palazzo Reale, Milano, e le collettive Object of desire. Surrealism and Design, Vitra Design Museum, Weil am Rhein e Mondo Mendini. The World of Alessandro Mendini, Groninger Museum, Groninger.
È attualmente in corso la mostra Light project 2020 al museo MACTE di Termoli.
Molte sono le pubblicazioni, le interviste, le catalogazioni con una visibilità sempre maggiore e riconosciuta nel mondo dell’arte.
Ripercorrere le tappe del suo lavoro, dal 1959 a oggi, come rammentare la sua presenza nel mondo artistico e del design milanese, sarebbe troppo lungo: ci limitiamo a ricordare i tratti personali del suo carattere, così brusco e deciso, da combattente, che chi l’ha incontrata ha sicuramente percepito, e che i suoi amici ben conoscevano. Era lo specchio di convinzioni radicali sull’arte, il design, l’architettura, che Nanda ha contribuito a creare e a consolidare con le sue opere, e con la coerenza a volte scomoda delle sue idee, manifestate senza paura e senza ipocrisia sia negli anni di festosa rivoluzione dell’arte, che nei periodi di riflusso. Spirito intransigente, artista indipendente, ha sempre scelto la sua vita.
Le esequie, che avverranno in forma privata, saranno seguite non appena possibile da una commemorazione pubblica, come desiderato dall’artista.