Villa Cernigliaro è un edificio dal fascino eclettico che negli anni ha visto risiedere importanti artisti e poeti che vi trovavano rifugio durante il periodo fascista, ma è stata ed è tutt’oggi un salotto in cui confrontarsi e dialogare su temi socio-politici e culturali, come l’arte contemporanea.
Dodici artisti italiani ed internazionali (Azam Bahrami, Elisa Franzoi, Myriam Kachour, Gianluigi Masucci e Gioia Fusco, John K. Melvin, Andrea Mori, Giacomo Pinton, Marco Scarcella, Chiara Simone, Roberta Toscano e Ivano Troisi) sono stati invitati dalla proprietaria Carlotta Cernigliaro, a soggiornare per dieci giorni nella villa durante i quali partecipare a dei laboratori propedeutici alla creazione di opere da donare alla raccolta esistente in villa.
La collezione, a cura di Carlotta Cernigliaro, è esposta nelle sale e nel grande giardino che circonda la villa e comprende diverse opere di importanti artisti del Novecento come Nagasawa, Enrico Baj, Carlo Carrà e tanti altri. Per il simposio gli artisti invitati hanno realizzato opere per il giardino, ispirate al contesto naturale in cui si inserisce la villa, ovvero la Valle dell’Elvo.
Il risultato di questi 10 giorni di condivisione del proprio lavoro e di ricerca naturalistica sul territorio, ha dato esiti diversi in cui emergono le peculiarità di ogni artista, tutti accomunati dal rispetto dell’ambiente e dalla volontà di valorizzarlo.
La Valle è stata indagata e attraversata durante una passeggiata insieme all’artista Andrea Mori, guida ambientale, che ha accompagnato gli artisti alla scoperta delle tipicità del luogo, in cui ha vissuto la sua residenza. Mori ha soggiornato ai piedi di un albero, un faggio, la cui possente chioma è stata luogo di ispirazione per la creazione di un quaderno di memorie in cui ha riportato profondi pensieri sulla sua esperienza.
La Valle, la sua storia e le sue preesistenze, è stata luogo d’ispirazione anche per Ivano Troisi, che da anni svolge la sua ricerca a partire dall’ambiente in cui opera e dal quale recupera elementi trasformandoli in installazioni che aprono un dialogo tra il passato ed il presente. In questo caso, recupera un abete bianco abbattuto, per dargli nuova vita sezionandolo in sei parti e levigandolo di modo che la pioggia ristagni quanto basta per permettere agli insetti impollinatori di abbeverarsi. Difatti, l’opera si trova in prossimità di un orto sinergico in cui questi sono fondamentali per il mantenimento della biodiversità vegetale.
Opere realizzate con materiale recuperato, in questo caso nel giardino, sono quelle di Giacomo Pinton con sedute ricavate da zolle di terra in contrapposizione con la grande panchina che guarda la villa, Marco Scarcella con il suo eremo di legno e foglie in cui è possibile ascoltare ogni suono della natura e meditare, a poca distanza dai Sigilli terrestri di Myriam Kachour, per i quali non usa alcuno strumento meccanico ma solo foglie secche, pigne ed altri elementi che saranno riassorbiti nel tempo dal terreno.
John Melvin ispirato dalla storia della Villa e dalla sua vegetazione, installa su un grande faggio pigne di un abete invitando a riflettere su un tema urgente, quello della migrazione e quindi la possibilità di coesistenza di più culture. Un’opera concettuale e attuale come quella di Azam Bahrami, attivista iraniana, che fa piantare ai colleghi un albero in memoria delle vittime delle proteste in corso in Iran, o Maternità di Roberta Toscano dove una scultura in cartapesta, deposta sul terreno e protetta da una lastra di vetro, porta in grembo semi di fiori della Valle dell’Elvo, simbolo di rinascita e cambiamento di cui l’ambiente necessità con rapidità – vista la siccità in cui imperversa il Piemonte.
Opere diverse e portatrici di messaggi impegnati e reazionari, alcuni di immediata comprensione, altri da approfondire, come la performance di Gianluigi Masucci il cui nobile intento di coinvolgere la comunità invitandola a raccogliere una pietra e a fissarla nel terreno come da tradizione dei selciatori di graglia, alla fine non ottiene l’effetto desiderato. Oggi, rispetto agli anni Sessanta, vi è un’approfondita conoscenza e consapevolezza della fragilità del nostro ecosistema, gli artisti hanno una maggiore coscienza ecologica e se prima tendevano ad una modifica del paesaggio, adesso cercano di preservarlo valorizzandolo senza interventi irreversibili, così come accade a Villa Cernigliaro.
https://www.villacernigliaro.it/
BI – 13817 Sordevolo
Via Clemente Vercellone 4