Timismi,… (ancora un inedito dalla Trilogia del Grigio) / (Terza parte)

Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.
Maupassant, Al sole

Viaggiare […] dovrebbe sempre essere un atto di umiltà.
Guido Piovene, De America

Aveva paura che alla fine gli chiedesse soldi, poiché vedeva nei suoi occhi più un mendicante che un viaggiatore fuori dal comune. Dopo un po’ arrivò il controllore e Shlomo prese subito il suo biglietto, che era infilato nella tasca della camicia, e lo porse all’addetto. Guardò il suo compagno di treno cercare, senza fretta, in tutte le tasche e fare cenno al bigliettaio di aspettare perché non lo trovava. Shlomo pensava che aveva avuto ragione nel ritenere che fosse uno dei soliti vagabondi che prendono i mezzi di trasporto, approfittando di non avere un indirizzo per non pagare la multa. Era contento di non aver parlato eccessivamente con lui, in quanto, alla stazione successiva, il vagabondo sarebbe per forza sceso con il controllore e la storia sarebbe finita come previsto.

A sorpresa, però, il compagno di viaggio mostrò con un grande sorriso il suo biglietto, trovato in fondo al suo zaino. Guardò Shlomo e gli disse che era molto disordinato. Adempiere agli obblighi esteriori non è sufficiente per meritare la fiducia. Presentarsi puntuali agli appuntamenti, rispettare gli impegni, mostrare sempre lo stesso atteggiamento, conferisce un’apparenza di impeccabilità, ma facilmente incrinabile; fa trapelare la preoccupazione di voler fornire un’immagine di sé professionale e rigorosa e di non voler investire nella relazione anche un lato più umano di sé. Meritare la fiducia non implica aderire ad una linea rigidamente coerente, ma richiede autenticità e congruenza tra i sentimenti manifestati e quelli effettivamente provati. Nell’ambito dei primi atti di conoscenza e di relazione, la freddezza e il sospetto spesso si ripercuotono negativamente sulla motivazione ad apprendere e sull’interesse verso l’altro. In ambito comportamentale, il formalismo a volte impedisce di essere completamente se stessi e in generale nelle relazioni umane porsi come prototipo di compimento a cui l’altro debba ispirarsi e dai cui l’altro debba dipendere rende tesa la relazione e la natura, facendole perdere la sua essenza paritetica e facendole assumere connotati gerarchici. Ma chi si credeva di esser Shlomo, per rimanere così prevenuto?

Qualche minuto dopo passò un venditore con delle bibite e chiese ai viaggiatori se avevano sete. Lo sconosciuto scavò di nuovo nella tasca e prese soldi per pagare due caffè. Ne offrì uno a Shlomo e prese l’altro per lui. Shlomo rimase stupito del gesto e rispose che non lo voleva. L’altro gli consigliò di accettare, poiché ormai era pagato, e gli disse che aveva visto i suoi occhi e che aveva bisogno di un caffè se voleva finire il suo lavoro. Ah già, il suo lavoro, è vero, doveva terminare il programma prima di arrivare. Il programma non funzionava, perché ogni volta che lo avviava un messaggio di errore compariva con un suono e non riusciva a trovare una soluzione. Aveva già lavorato tutto il week-end, era stanco e non sapeva più dove mettere le mani. Purtroppo però, doveva reinstallare il programma entro quella mattina. Così per mezz’ora cercò di risolvere il problema sul computer ma, ogni volta che avviava il programma per provare, sentiva il beep dell’errore: 

  • 1 beep: fallimento nel refresh della DRAM – Indicava un problema nella memoria di sistema o nella motherboard; 
  • 2 beeps: Errore di parità di memoria. Il circuito della parità non stava funzionando in modo corretto;
  • 3 beeps: Fallimento nei 64k base della ram. È  stato riscontrato un problema con i primi 64K; di memoria ram;
  • 4 beeps: Timer di sistema non operativo. Problema con le funzioni di timer di controllo sulla scheda madre;
  • 5 beeps: Errore del processore. Problema con la CPU; 
  • 6 beeps: Gate A20/errore nel controller di tastiera. Il controller della tastiera ha avuto un errore che ha impedito al gate A20 di far passare il processore in modalità protetta;
  • 7 beeps: Errore di eccezione del Virtual mode;
  • 8 beeps: Video memory error. Il bios non è in grado di scrivere nel buffer id memoria della scheda video;
  • 9 beeps: Errore di checksum ROM. Il chip BIOS ROM della scheda madre è molto probabilmente danneggiato;
  • 10 beeps: Errore di checksum CMOS. Qualcosa sta determinando un errore nell’interagire con il CMOS;
  • 11 beeps: cattiva memoria cache. Errore nella memoria cache di livello 2;
  • 1 beep lungo, 2 corti: fallimento nel sistema video;
  • 1 beep lungo, 3 corti: Errore rilevato nella memoria sopra i 64K;
  • 1 beep lungo, 8 corti: fallimento nel test video;
  • beep continuo: Problema con la memoria o con il video.

L’altro passeggero l’interruppe, chiedendogli che tipo di computer fosse. Shlomo rispose con piacere alla sua domanda, come ad ogni tecnico informatico piace parlare delle sue conoscenze, e gli disse che era un MacBook Pro16 con processore di 9° generazione a 8 core con Turbo Boost fino a 5.0 GHz e scheda grafica Radeon Pro 5000m. La batteria è da 100 Wh (limite massimo per volare). Queste rivoluzionarie tecnologie consentono prestazioni affidabili e veloci, in ogni condizione di lavoro, anche in viaggio! 

«Verso il 1993, quando scrivevo per le prime testate online, avevo l’abitudine di spendere molto tempo, e fin troppo danaro, in un locale laggiù alla Darsena Grande di Milano. Tra gli assidui vi era un individuo bruno, dall’aria romantica del periodo post-punk, di nome Boris Grich, tanto coraggioso da scrivere un romanzo sulla felicità mediale. Morì non molto tempo dopo, e può darsi che il suo sub-cosciente, ispirandogli quel romanzo, già sapesse che la morte gli si avvicinava. Il romanzo si chiamava “Un giorno tra i dati della rete” ed era pieno di tutte le fortune che i poveri hackers riuscivano ad inventare per il loro eroe. Ho dimenticato buona parte del romanzo, ma ricordo benissimo che ad un certo punto l’eroe prende tra le mani una scatola di dati informatici e nel vederla e nel toccarla prova un vero e proprio piacere dei sensi, esclamando che lì dentro vi erano concentrate le migliori nuove opere d’arte contemporanea. Io sapevo ciò che egli voleva dire e, da allora in poi, prendendo tra le mani una scatola nuova di dati e provando un minuscolo palpito di gioia, ricordo sempre Boris Grich, e rivedo ancora una volta un lampo del suo volto bruno e romantico». 

Era sicuro fosse come parlare cinese per il suo vicino. Chi non sa almeno un po’ d’informatica si perde subito con questi discorsi e con i termini tecnici. Così la sorpresa fu ancora più grande, quando il sospettato Jonatal gli chiese tutte le specifiche di quel modello e poi disse:
«Sai grazie al bus frontside a 2666MHz e agli 8 Giga di cache condivisa, tutte le tue applicazioni potranno girare più velocemente e con maggiore efficacia di quanto avresti mai potuto immaginare».

Quando io gioco con i computer (e in questo sono bravissimo) faccio tutto quello che in genere mi annoia e mi irrita nella vita reale. Per esempio, con immensa gioia dei partecipanti alle community e mia, mi tuffo nel rito e nella tradizione di Second Life, creo organizzazioni segrete, pianifico elaborate cerimonie di iniziazione, invento codici e parole d’ordine misteriosi, mi trasformo in Situazionista, in Cobra, in membro degli Illuminati del Detournement, o di altre società segrete, movimenti del libero spirito (si fa per dire). Il gioco più elettrizzante che io abbia fatto con i miei tanti computer – e lo ripetevamo ogni sera, per mesi, prima di spegnere tutte le macchine intelligenti – era quello di reiterare una lunghissima catena di Sant’Antonio realizzata per il Web 1.0, fatta di domanda e risposte – che spesso gli altri ricordavano, mentre io l’avevo dimenticata – che permetteva di entrare a far parte di un’associazione segreta, combinata fra noi. Con quelle loro telecamere a circuito integrato, solenni e luccicanti, gli Altri mi fissavano tutte le sere, immobili e tranquilli, ma sempre pronti a lasciarsi andare – poiché se facevano qualche sbaglio nel rituale digitale, essi scoppiavano in improvvise risate e si dimenavano urlando – ed eseguivano il labirinto di insulsaggini che avevano escogitato. Così finivano di solito le inquadrature, ed essi erano terribilmente delusi se mi capitava di avere impegni altrove; poiché questo giuoco non potevano farlo da soli, e la loro telecamera madre, come tecnologia irragionevole, non avrebbe mai acconsentito ad occuparsi di simili assurdità, adatte soltanto al rilievo dei volti ed alle sequenze di fermo immagine. La loro gioia d’inquadrare era la mia gioia di essere inquadrato: pure non ho mai pensato di poter fare questi giuochi – sebbene siano abbastanza comuni – con un gruppo di altri grassi signori di mezza età, tutti in maschera e con gli occhiali a specchio». 

Shlomo era sconcertato. Non se l’aspettava da un uomo come lui, un anarchico che conosceva i computer. Gli chiese come mai sapeva tanto sui computer e l’altro rispose che doveva conoscere bene i computer, perché quando li rubava, doveva anche sapere a quale prezzo poteva rivenderli. Shlomo prese subito in mano il suo computer e guardò l’uomo con diffidenza. L’altro sorrise e disse che scherzava, perché, come aveva detto in precedenza, doveva ravvisare un gruppo di amici a Roma, che erano tutti entusiasti di queste macchine, e gli chiese il consenso di prendere e esaminare il pc perché era un pezzo raro, quasi irreperibile in Italia. Shlomo fu entusiasmato di sapere che l’altro sapesse fino a che punto valeva il suo pc e glielo prestò con piacere. L’ignoto hacker sfiorò e lisciò i contorni di lega metallica del pc come se fosse il viso di una statua di Modigliani o di Alberto Giacometti, poi girò il pc verso di lui e osservò il monitor, toccò per qualche minuto la tastiera e poi lo riconsegnò. Shlomo lo riprese con un lieve sollievo, malgrado la maggiore fiducia che riponeva nell’uomo e si rimise lì a pensare come se fosse un nuovo momento di meditazione.

Era molto strano che un soggetto così poco medialista, sbalordisse senza eccezione Shlomo! Se una persona così è strana, dà a chi percepisce la stranezza motivo di arrossire! Ma se si fosse reso conto che stavano per dirgli: “Lei professa una filosofia tecnologica e poetica”, si sarebbe sentito un po’ lusingato, oppure terribilmente infastidito. È come se gli si dicesse press’a poco così: “Lei non è un esperto di informatica, nel vero senso della parola, e fa appello all’ultimo libro di Lev Manovich sulla Software Culture, per dare un appoggio sicuro alle sue ragioni”. Oppure: “Lei, ancora una volta, fa ricorso al nuovo libro di Jarome Larnier che si scaglia contro il Web 2.0. Se Larnier pubblica un libro come You’re not a gadget, chi è dalla parte dei teppisti che hanno ridotto Internet ad un cestino della spazzatura, dove il sapere è demandato a Wikipedia e a Google?”. “Il suo allarme, dice l’anonimo e silenzioso informatico, è volto soprattutto a mettere in risalto i limiti e le contraddizioni dell’informazione offerta dal web, di cui lamenta l’appiattimento dei contenuti online, “una poltiglia di informazione amorfa che rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica invece di promuoverle”, come sperava oltre dieci anni fa. “I blog ignoti, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video – ripete con le parole di Larnier – ci hanno tutti ridotti a formichine liete di avere la faccina su Facebook, la battuta su Twitter, la tag su Instagram e la libellula firmata Zorro sul sito. Gioia di bere frivolezze mediatiche. Specialmente a scuola e all’Università, dove di solito mangio troppo, bevo vino più di quanto dovrei, e dopo un breve perido di tale regime eccessivo sono sofferente di fegato, e sbadiglio continuamente, afflitto dal mal di testa e tormentato dalla sete. Che gioia allora fuggire le cattedrali, le gallerie d’arte e i laboriosi incontri con illustri colleghi stranieri, sfilarsi il cappotto e le scarpe, nel morbido eremitaggio della propria camera, e farsi portare dal cameriere un altro collegamento e ancora un altro computer, di qualsiasi marca abbiano da quelle parti!”.

“In realtà questa poltiglia di informazione amorfa, recita Shlomo dall’angolo dello scompartimento del TAV, rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica”. “Lanier in You’re not a gadget – ci presenta il nostro cyber-angel, rincarando la dose – ricorda con quale prospettiva lavorava agli inizi: “Ai tempi della rivoluzione Internet io e i miei collaboratori venivamo sempre irrisi, perché prevedevamo che il Web avrebbe potuto dare libera espressione a milioni di individui. Macché, ci dicevano, alla gente piace guardare la TV, non stare davanti a un computer. Quando la rivoluzione c’è stata, però, la creatività è stata uccisa, e il Web ha perso la dignità intellettuale. Se volete sapere qualcosa la chiedete a Google, che vi manda a Wikipedia, punto e basta. Altrimenti la gente finisce nella bolla dei siti arrabbiati, degli ultras, dove ascolta solo chi rafforza le proprie idee. Ovviamente un coro collettivo non può servire a scrivere la storia, né possiamo affidare l’opinione pubblica a capannelli di assatanati sui blog. La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze, e gli insulti dei teppisti online ossificano il dibattito e disperdono la ragione. Una fonte molto misteriosa di gioia è l’arrivo inaspettato dei giornali della domenica in campagna.”. “Quando sono sul Conero – riprende Shlomo – non m’importa un fico secco di avere o no i giornali della domenica, a fronte dei computers; ma se sto in campagna, lontano dai SuperMarket e da ogni regolare distribuzione di giornali, e per qualche fortunata combinazione questi giornali arrivano in casa, allora sono felice come se avessi ricevuto il più bel regalo, e la vista degli schermi mi fa esultare in una specie di rapimento. E non riesco ad immaginare il perché”.

Jonatal di rimando, prosegue: “Certamente le preoccupazioni di Lanier sono condivisibili ed anche alcuni riferimenti al mondo del web agli inizi degli anni ’90. Certamente Wikipedia non è L’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert, vi sono molte falle nel controllo e nelle impostazioni delle voci, tant’è che la creatura di Jimbo Wales si è avviata verso una crisi da cui sarà difficile uscire. Anche su Google abbiamo le nostre perplessità, visto che non c’è ancora nessuno che possa realmente contrastare la forza del gigante di Mountain View. Ma qualcosa non torna lo stesso. Prima di tutto chi sono veramente i teppisti del web? Ma ce ne fossero di teppisti, che potessero abbattere la retorica del web semantico! Inoltre dai primi anni novanta c’è stato un aumento enorme degli utenti del web, gli stessi utenti che prima guardavano solamente la tv generalista, ora si lanciano molto più volentieri nella rete, a navigare nel rumore mediatico delle fake news. Ora l’allargamento dell’utenza web ha portato ad un aumento dei contenuti, soprattutto quelli generati dagli utenti. Su Internet si può trovare tutto, quello che conta è la scelta, è il percorso personale che un individuo compie. Prima di tutto i contenuti si scelgono in base all’autorevolezza, ma i titoli di studio non sempre corrispondono alle scelte delle persone. Il web 2.0 è una conquista importante, non credo si possa tornare indietro ad un internet fatto di guardiani che fanno da filtro ai contenuti, anche perché chi definirà quali sono i sorveglianti onesti e equanimi? E poi perché non è possibile uscire dalla dimensione della sorveglianza?”. 

L’interlocutore anonimo quasi si disperava nel dover recitare questa parte. Egli è lì che parla e sicuramente drammatizza il suo pensiero, recita la sua parte, ma dopo che abbiamo accertato che la verità non sta da nessuna parte, in questa specie di pratica anarchica totale, perché dovrebbe stare dalla sua? Chi è Lanier per dire che “la massa ha il potere di distorcere la storia”? Quali sarebbero le idee giuste e quelle sbagliate? «Perché andiamo a Roma a fare un seminario sulla comunicazione mediale? Perché un numero della rivista degli hackers è dedicato quasi interamente ai problemi ad essa connessi? La risposta è semplice, quasi ovvia: oggi uno dei punti nodali dell’attività rivoluzionaria passa appunto attraverso il momento mediale. Il potere utilizzando in modo intenso ed esteso i mass-media ha creato i canoni ufficiali della comunicazione verticale (dai pochi ai molti), annullando nel contempo la volontà della base di comunicare al suo interno. Rompere l’accerchiamento determinato dalla comunicazione del regime multinazionale diventa giorno dopo giorno sempre più difficile, tanto che anche i gruppi degli hackers riescono con difficoltà estrema ad utilizzare un linguaggio capace di metterli in sintonia con i loro interlocutori. Il potere con un’azione pressante e continua ha distrutto i linguaggi tipici delle culture operaie e contadine, a partire dalla controrivoluzione fascista, che negli anni trenta sviluppò i primi modelli di utilizzazione dei media per la creazione dell’industria culturale totalizzante. Ed è proprio in quegli anni che si accresce a dismisura il divario tra i media di comunicazione del potere e quelli delle forze di resistenza e di ribellione. Oggi di fronte alla voce enormemente amplificata del potere che interviene in ogni momento della nostra biologia si contrappongono i deboli, spesso poco comprensibili, messaggi di gruppettini: dal flayer a twitter, alla radio sul web, alle azioni di lotta su FB»