Prima che sui giorni del calendario, l’attesa dell’estate irruppe e ristagnò nelle aule. L’afrore tipico di corpi accaldati e di umori costretti a restare sottopelle si mescolò alla noia delle lunghe ore inutili e pesanti al letargo del pensiero.
I quartieri sono zone dotate di un’estensione tridimensionale, in cui si entra mentalmente e sono riconoscibili in quanto in essi è diffusa qualche caratteristica individuale. Sono sempre identificabili dal di dentro.
Il movimento tra l’essere dentro e l’essere parte riempie spesso i vuoti temporali, rendendo l’abitare – a Parigi – un esercizio per arrivare a vedere continue trasformazioni in quello che sembra immobile. Le trasformazioni non solo sono ammesse, ma anzi ricercate e dunque la definizione del quartiere, come quella dei suoi abitanti, si sfilaccia sotto la pressione di ciò che si percepisce e quindi di quello che perifericamente si costruisce.
In questo senso, la descrizione di un angolo di città si intreccia profondamente con l’immagine, non importa quanto reale, che di essa hanno i suoi abitanti.
Abitare nella città di Parigi espone tutti al rischio di un enorme schiacciamento dei piani, in cui quello che si ripete si confonde con quello che passa, quello che si desidera con quello che si ha, la partenza con l’arrivo. A questo rischio si risponde costruendo singolarmente percorsi e deviazioni, che però non necessariamente portano in un altrove osservabile e quindi modificabile.
Il paradosso sembra essere questo: più relazioni, affettività, creatività vengono immessi in produzione, più il linguaggio quotidiano cessa di esprimerle, diventando oggettivo, riferendo i fatti e non gli stati d’animo, traducendo il sentire in un’informazione.
Ed anche: più si parla e ci si relaziona nei luoghi dell’industria culturale, più i rapporti artistici, sentimentali, tendono a diventare silenziosi, oltre che produttivi.
Dopo una giornata di parole-lavoro è difficile trovare la forza e il tempo per opere-sentimento; sicuramente bisogna cercarle mentre ci si prepara per il giorno dopo.
Ecco perché la nostra domanda è sempre buffa e curiosa.
Raccontami vuol dire inventati un tempo immobile, astratto e trova le parole per farmi capire chi sei e cosa vivi.
«Corre troppo veloce questa vita per capirla. Figuriamoci per viverla, impossibile trasformarla».
Va troppo lento il tempo di cambiamento per capirlo. Straniante e la coscienza invasa da mille parole, immagini, fotografie, video, suoni e colori, che alla fine lasciano apparire un paesaggio istantaneo. E stranamente, quando ci appare così, la speranza torna ad essere un fondo tipografico, le idee, non tanto perché ce l’hai, quanto perché ti danno motivo di sognare ancora, di tornare a dire…«toccherà pure a me, prima o poi, di guardare oltre quella foto». «Quando tutto e quando niente!».
In principio era il segno; e poi il segno si incarnò nella parola e divenne persona. E la persona entrò nel tempo e nello spazio, inventò i suoni e i colori: e così il segno diventò arte e l’arte diventò «correlazione».
Quando mi trovo di fronte a un segno, non posso fare a meno di pensare, con rinnovato stupore e indimenticabile malinconia, al destino delle persone: perché tutti noi veniamo da un punto e andiamo verso un punto e la linea – il segno! – che li unisce è la nostra vita. Il resto è apparente o trasparente metamorfosi dei sensi.
Del resto, già Galileo ci aveva confermato che il libro dell’universo è scritto in caratteri matematici, in una perfetta geometria di segni.
In verità, l’Arte con la maiuscola è un punto: ma chi di noi, in tutta coscienza può confessarsi capace di restare inscritto in quel punto che il tutto e il niente? Noi purtroppo siamo sempre un po’ meno di tutto e un po’ più di niente. Perciò spesso anche l’arte, con la minuscola, è un segno, una linea a zig zag, sottile, slabbrata, contorta, spezzata, doppia, uniforme, a spirale … Velocemente tutto si trasforma e tutto pare fermo. Mi giro e mi rigiro tra le vie e le strade segnate dalla storia, scorciatoie tra il supermercato e la via di casa, mi giro e mi rigiro e respiro «Air de Paris», almeno su quello non ci piove!
Mi rigiro e rifinisco nell’Ile Saint-Louis, il quartiere preferito da Baudelaire, rivedo rue Le Regrattier che fa a cazzotti con la velocità, ma riesce ugualmente ad ispirarmi. In fondo, a Quai de la Bethune non se ne accorge nessuno ed anche se la foto viene mossa non c’è problema…tanto non ci metto altri soldi per comprare il rullino.
Ecco perché in questi luoghi il tempo cambia spesso la sua curvatura e tutto sembra accadere troppo in fretta, troppo presto e anche troppo lentamente, o mai.
L’attuale concetto di ferie risulta crudele, quanto l’idea stessa di lavoro, non soltanto perché interviene in modo profondo sul senso della libertà, ma perché ne “ART(era)” il significato. Nel periodo delle ferie, milioni di persone sono costrette a scattare foto, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare o individuare bellezze senza tregua, a vagheggiare un lavoro o a cavarsela dai guasti e dai malori, generati da un’attività di lavoro forzosa e quotidiana. Dunque: buone vacanze! E non affaticatevi troppo, che poi vi serviranno altre vacanze per riprendervi! Ci rivediamo, su questi schermi, all’inizio di settembre.