Poesie d’amore e d’altri mari in Carlo Michelstädter (I parte)

Carlo R. Michelstaedter (Gorizia, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) Poesie d’amore e d’altri mari, a cura di Luca Campana. Note al testo di Andrea Bajani e Enrico Terrinoni, Interno Poesia editore, Latiano, 2023. Non c’è che un animale particolare, convocato dalle circostanze a diventare nuotatore di “altri mari”. O piuttosto ad entrare nella composizione di un unico “altro mare” che è il mare della vita destinata ad interrompersi. Il che vuol dire che ad un momento dato, perché una persuasione faccia il suo cammino, si richiede tutto ciò che egli è: il suo corpo, le sue capacità, il suo disegno, la sua pittura, le sue parole. È allora che al nuotatore viene ingiunto di essere il viaggiatore che non era.

Oh, and where do we go
Where do we go from here
Where to go
To the side of a hill
Blood was spill
We were still looking
At each other

Oh, we’re goin’ back there
Jerusalem, Jerusalem

Shout, shout
With a shout, shout it out
Shout, shout it out […]
October- With a shout

(Jerusalem), 1981, U2

Sta iniziando una nuova era, e Carlo Michelstädter ne è il profeta enigmatico e inattuale. Il pensiero e la breve vita di Carlo M. appaiono, via via che si approfondiscono gli studi, profondamente segnati dalla dimensione timica. Carlo M. non si sottrae a questo che appare un destino della cultura della fine dell’Ottocento e dell’inizio del ‘900 e, meglio di altri, si è mosso tra le molteplici soglie disciplinari, che il pensiero occidentale ha reso permeabili alla sfera timica, dalla poesia alla filosofia, alla critica letteraria e alle arti visive. Ognuna di queste ha fornito a Carlo M., fino agli ultimi giorni della sua vita, l’occasione di partecipare intensamente al corso accidentato di una porzione importante della riflessione timico-persuasiva europea. Alla fine del Dialogo della Salute, il protagonista silenzioso, si sente per un attimo vicino a tutti gli esseri umani e alla loro storia. La maggior parte dei poeti rappresenta l’espressione, più o meno chiara o penetrante, delle riflessioni – sulla parola, in particolar modo – che dominano nella loro epoca. Ma ve ne sono alcuni che possono essere compresi solo se ci si rende conto che fanno posto nella nostra psiche e nelle nostre “correspondance”, solleticando quella coscienza comune, quella dello spirito o della semplice esistenza, quella che l’epoca ha dimenticato o ha considerato una improbabile deviazione. Nel loro caso, dunque, bisogna ampliare gli stimoli dell’ascolto, ma questo non significa necessariamente tornare ad aspetti desunti dalla creazione o dal suo studio: infatti i bisogni dimenticati sono spesso quelli che la società della “libera sensibilità” vorrebbe ritrovare, perlopiù senza sapere come riuscirci. Fin dall’origine, la timicità è stata influenzata dalle sue relazioni passionali con l’imperfetto poetico e musicale. Con i suoi riferimenti costanti alle opere, nonché il suo personale attaccamento ad esse, le parole del lettore autobiografico non hanno smesso di imprimere il sigillo della creazione artistica ai suoi progressi teorici. Ed è questa impronta stessa, sia essa contestualizzata all’epoca o messa in relazione alle letture in gioco, che ha alimentato in seguito tutte le suggestioni e tutte le “correspondance” riguardanti la legittimità e la portata esplicativa dell’approccio timico al lavoro creativo. Abbiamo il diritto di domandarci, come peraltro ha fatto Carlo M. in alcune circostanze, se la conoscenza dell’arte non sfugga alla rettorica e non appartenga piuttosto al campo timico. L’hazard, in effetti, potrebbe essere quello di una amalgama con l’imperfetto, ogni volta che una formulazione rettorica si tinge di un riferimento ad un campo artistico. Artisti e canzoni le cui energie sembrano inattuali possono così rispondere al desiderio più intimo dell’epoca della propria biografia e mostrarsi in ciò i più coraggiosi fra le fonti della diversità, come ben presto viene riconosciuto. È stato questo il caso, e il destino, di With Shout degli U2 (tratta da quel disco anomalo del 1981 che è stato October) e fu questo il periodo che vide emergere nei miei studi l’interesse per Carlo M. Queste “correspondance anomale” hanno avvertito la “propria vocazione artistica altra” in un momento della storia dell’Occidente in cui i poeti, i musicisti popolari e i filosofi significativi condividevano, in modo singolarmente inattuale, i principi di “combinazioni e montaggi eteronomi”, gli stessi che riflettevano grandi “ritrovamenti autografici”, ossia la scoperta che i segni di cui si compone la “nostra sostanza timica” intrattengono fra loro nei rapporti che in parte ci sfuggono, anche se ci determinano. Comprendere che una tale attività, in fin dei conti autonoma, ha luogo là dove si era pensato fino ad allora che la coscienza controllasse tutto, aveva spalancato nuovi orizzonti alla “sperimentazione timica” (A. J. Greimas, De l’Imperfection, Fanlac, Périgueux, 1987).

Non si tratta più di un assemblaggio di singole entità, ma di una possibile ricomposizione dei frammenti in un nuovo contesto di lettura e di associazione. Il carattere “virale” dell’arte e della “poesia imperfetta” può essere esplicitato nel conflitto tra Carlo M. e October degli U2 (in particolare l’enunciato di Jerusalem), che anticipa anche le questioni che si affronteranno in seguito, relative al dato “corale”, “relazionale”, come possibile evoluzione dell’idea di “scontro timico”. La comune radice dei due termini, sottolineata da E. Benveniste, evidenzia senza dubbio la messa in crisi di un confine, denotando un’insita ambiguità nei due apparenti opposti: il concetto di ostilità (hostilitas retorica), che deriva da hostis ovvero “estraneo”, “straniero”, ma anche “nemico”, è da sempre il complemento di ospitalità (hospitalitas/persuasa), derivato di hospes, che significa “sacro” ma assume il concetto di “ospite/certo”. L’intreccio etimologico originario restituisce due possibili significati del concetto di “stranierità”, in termini poetici e musicali, a confronto con la persuasione interiore. Hospes, lo straniero è ospite: all’“interno” di sensibilità comuni è possibile riconoscere un’identità comune al fondo dell’alterità. Hostis, lo straniero è ostile: ciò che è “esterno”è indeterminato, imperfetto per definizione, quindi lo straniero diviene nemico, entità perturbante. L’oblio, nell’uso successivo, della comune origine etimologica dei due termini può essere interpretato come bisogno ossessivo di differenziazione tra i concetti di esclusione ed inclusione, persuasione e rettorica, bello e brutto, immorale ed etico, perfetto e imperfetto. La metabolizzazione dell’imperfezione della poesia e della musica può essere innanzitutto letta come una accettazione dello straniante, non solo quando questo si configura come hospes ma anche come hostis. C’erano state opere, in particolare in poesia e in musica, che lasciavano comunicare e accordare fra loro elementi significativi del lettore, invece di subordinarli, così come tante altre strade aperte. Con un procedimento esattamente opposto a quello della scrittura realista, di cui Carlo M. ha mostrato come si tenda a far credere di conformarsi ad altre sensazioni e non alle sue proprie leggi, l’io della Persuasione e i versi di una rettorica, in me avevano istituito un indirizzo che si manifesta come la forma stessa della parola timica – dunque la più vicina alla lingua -, prima di disegnare degli universi particolari.

Solo lo spazio delle associazioni imperfette e la lettura sensibile permettono di sostenere questo. Il fatto è che questa supremazia accordata all’indirizzo timico delle correspondance, questa enunciazione insistente e sibillina dell’imperfetto – di cui troviamo pure la manifestazione dell’importanza accordata alle frasi nominali e ai testi musicali vaghi, incerti tra lo statuto del vocativo e quello del nominativo – illumina molte biografie della comunicazione che si alternano specularmente, da una parte e dall’altra del messaggio. Si intuisce così uno dei motivi che hanno presieduto alla ricomparsa del concetto di ispirazione (e “sospirazione”) nella riflessione critica e timica: questo permetteva, nell’evanescenza della sua dimensione metaforica, di sostenere la questione del “Chi parla in noi?” – con le risposte dei silenzi che ci accompagnano. Le parole, nel caso dell’imperfezione, non sono che i frammenti ritagliati di un insieme timico che le precede. E sospettiamo che questo cantore subliminale della persuasione, questo soggetto anonimo costruito sull’architettura spontanea del lettore, non sia stato l’ultimo a sfruttare il tema di una ispirazione che sostituiva al solo scambio comunicazionale il contagio trans-sensibile della parola. Si è detto che il movimento poetico consisteva, agli occhi del lettore, nel passaggio dalle cose ai segni e Carlo M., “in noi”, non ha rinnegato la formula (salvo sapere a chi essa veniva applicata). Va inoltre sottolineato che questo passaggio dell’imperfetto (facciamo dal Dialogo di Carlo M. ai versi della canzone degli U2) non ci sembrava si potesse operare che al prezzo, ancora una volta, di un attraversamento del nostro immaginario, cioè sia della rappresentazione immediata che abbiamo del mondo (è il passaggio dalle cose alle parole), sia di quella che abbiamo del “nostro lettore timico”. Nell’universo del linguaggio, che è quello del poema (imperfetto e trasversale), il problema di sapere chi parla è allora meno importante della certezza che c’è qualcuno che ascolta, sia pure all’interno di una stessa persuasione: l’ispirazione, in questo senso è la figura princeps del contratto enunciativo – implicazione reciproca dell’io e del tu – che è condizione a priori, necessaria e sufficiente perché si abbia l’effetto della nuotata e l’avvio del percorso verso “altri mari”. È a questo punto – ma solo a questo punto, dove l’attesa si lega all’ascolto e dove il voler dire dell’altro si distacca da una intenzionalità per aprirsi al linguaggio che abbiamo incontrato – che possiamo individuare o invocare la voce del Persuaso. È innanzitutto per precisare ch’essa non è retore di scuola, che non si consacra a nessun precetto: il poeta, pur avendone, non ci trasmette alcun messaggio divino o demoniaco. Dall’Imperfezione timica, come Carlo insieme a Jerusalem, si aspetta semplicemente che gli parli – perché l’imperfetto si metta a parlare. L’imperfetto persuaso è attesa, la voce è ascoltata e la sua venuta svolge nel cuore stesso della scrittura (dunque nel suo più intimo, se si può impiegare questo superlativo raddoppiato) la catena della parola. Privata di anteriorità, la voce timica e imperfetta non avrebbe alcuna ragione d’essere. Ma convocata fuori sede, venuta da fuori, essa cesserebbe di essere Senia alla quale Carlo M. poteva dedicare le sue ultime parole; romperebbe il ciclo della reciprocità, sarebbe solamente un Nome, con la minaccia latente che questo nasconde: non esiste poema del (o della) Rettorica.

Carlo Michelstaedter, Autoritratto tenebroso (particolare)

Così parlò Carlo M. delle glosse a margine della Persuasione, … Egli ci consiglia di mettere in pratica fede, speranza e carità. Quindi: è un duro compito, per il poeta-filosofo, strappare i nomi a quanti ne prostituiscono l’uso, già Platone faceva un terribile sforzo per non cedere nella parola persuaso contro l’uso cavilloso e versatile che ne facevano i letterati. Tentiamo dunque di conservare la parola persuaso, malgrado tutto quanto la circonda oggi; poiché in fin dei conti, quanti ne fecero un uso ragionevole compongono una lunga e stimabile stirpe a partire da Carlo Michelstädter. Se non c’è Persuasione in generale, è perché fa difetto il poeta, che dovrebbe armarsene. Mai la poesia si rappresenterebbe come un papavero, niente più dell’impermanenza la mette in scacco. Quando muore un filosofo o un poeta giovane, anche nell’umano più distratto, la riflessione si fa più profonda alla ricerca di un senso, di un perché di un avvenimento così doloroso e così, apparentemente, contrario alla natura delle cose e della logica che vorrebbe vedere gli esseri nascere, divenire adulti, invecchiare e solo infine morire. Invece, il poeta della persuasione è stato chiamato ad abbandonare la vita, prima che il suo volto abbia conosciuto la ragnatela delle rughe. Solo sapendo rispondere alla domanda: “cos’è il vivere?”, si ottiene di fare luce sul passaggio esistenziale del “darsi volontariamente la morte”! La ricerca di Carlo M. rappresenta un momento culminante del pensiero europeo nel campo della filosofia poetica e della teoria delle arti intorno all’inizio del ‘900. Carlo M. concilia dottrine elaborate in paesi diversi e le trasforma sostanzialmente per farne la base del suo originale Manifesto dei Persuasi. Tuttavia, sarebbe impossibile rendersi conto del terreno sul quale il socratismo è cresciuto senza conoscere almeno un poco la tradizione classica del pensiero etico (non soltanto estetico). In effetti, le radici culturali del pensiero di Carlo M. possono ritrovarsi in tutta la cultura mitteleuropea, a partire dalla risanata nozione di Persuasione. La rinascita mitteleuropea influisce ancora sul clima culturale degli anni venti del Primo Novecento per due motivi. Il primo è che essa ebbe carattere neo-antico. La rilettura e il rapporto con autori come Ibsen, Beethoven e Tolstoi, rappresentano una tradizione nella quale la Persuasione e la letteratura, la storia e l’arte, la politica e l’estetica, la poesia e il disegno sono strettamente collegate tra loro. Esse costituiscono un precedente prezioso sia per una delle problematiche generali di Carlo M., sia per alcune questioni più specifiche. Il secondo motivo è il campo di penetrazione che le necessità poetiche e intimiste del tempo imposero al processo di sviluppo generale della vita artistica e anche dell’arte. Nell’immediato senso poetico, il termine o il titolo “ … d’amore e d’altri mari” sembra rinviare a una dimensione corposamente trasfigurante dell’universo lirico; ma sappiamo come questo termine poesia, “si significhi” assai più in una dimensione di valori che in un disegnare referenziale, né mancano orientamenti di ricerca – nel Novecento, a partire almeno dalla rilettura di Socrate, Parmenide e Cristo – che propongano un’idea più ricca e complessa delle tecniche di densità. Se questo termine, allora, può indicare non un mero, fattuale modus operandi, bensì lo spessore e la configurazione di una nozione, tenterò qui, per provvisori e sommari assaggi, di mettere in luce per qualche aspetto il contributo dell’ars permanendi alla formazione e sedimentazione di quel vero e proprio strato di cultura che sono le tecniche poetiche. Quanto al corpo dell’ars persuadendi, rispetto ad una immagine in cui si profila un’ars che nasce da esigenze di retorica, si fortifica nei bisogni di una “rinnovata nuotata” e si dissolve in una sparizione di notturnità e nella ripetitività delle parole di Gorgia. Qui occorrerà, piuttosto, sottolineare la continuità tra ars rettorica terminale ed ars persuasiva generante, e non tanto sul piano della terraferma, ma come premessa metodica, intenzionata a cogliere modi e direzioni dell’efficacia poetica dell’una e dell’altra, pur nelle differenze di finalità e circostanze “marine”. La continuità e la contiguità come la differenza, tra ars retorica ed ars persuadendi è un tratto che appartiene anch’esso ad immagini familiari; per darne esempio, basterà richiamare lo schizzo di creatura marina, figlia della profonda sirena dell’essere, che si nasconde in Argia Cassini, o il ciclo di poesie dedicate al Canto delle Crisalidi. In Carlo M., ars persuasiva e anti-giornalismo, il deserto, la caduta, la nostalgia, il risveglio come in Walter Benjamin che legge Louis Aragon (quello de Le paysan de Paris, 1926), si unificano in quella tendenza dell’acqua marina che ha un interesse esclusivo per i risultati pratici e le effettive applicazioni della persuasione stessa, con un’attenzione concentrata sulle forme verbali impiegate nei rispettivi universi di sensibilità: quanto all’ars persuasiva, la governa una sorta di identità multipla, essendo essa il risultato, il residuo, dell’appropriazione dell’occhio del nuotatore, per cui ciò che resta disponibile è soltanto la prossima onda del dictamen poetico. Carlo M., così, può sottolineare l’impulso ad una crescente formalizzazione e, in generale, profilare un’identità positiva delle artes anche nel rapporto con la tradizione persuasiva.

“Che senza pose come batte l’onde,/ che senza posa come vola il nembo,/ sì la travaglia l’anima solitaria/ a varcar nuove onde, e senza fine/ nuovi confini sotto nuove stelle/ fingere all’occhio fino all’orizzonte,/ dove per tramontar pur sorga il sole./ Al mio sole, al mio mar per queste strade/ della terra o del mar mi volgo invano,/ vana è la pena, vana è la speranza,/ tutta è la vita arida e deserta,/ finché in un punto si raccolga in porto,/ di se stessa in un punto faccia fiamma (Pirano agosto 1910)”.

Ma in cosa consiste questo “… amore e d’altri mari?”. Nella vita e nell’affetto terreno che ingannano e che, pure, ci attirano e ci tengono prigionieri:

“Senia, il porto è la furia del mare,/ è la furia del nembo più forte,/quando libera ride la morte/ a chi libero la sfidò”. (Carsia, 2 settembre 1910)

Se c’è Mare, bisogna pensarlo a partire dall’onda. Senza la considerazione dell’onda, e dunque dell’espansione dell’elemento dell’acqua, non c’è che l’innocenza crudele della vita, che è al di qua del bene e del male: è un mal giocondo che con le sue illuminazioni ci avvinghia; è assurda, ma bisogna viverla. Non voler vivere per non aver illusioni e delusioni significherebbe, infatti, non avere passioni, non vibrare col cuore e col cervello, essere insomma come cosa inerte, cieca, ottusa. La realtà, col suo rinnovarsi continuo, crea disinganni e dolori e, col suo svolgersi pieno di “rettoriche persuase”, dà non solo una spiegazione logica alla nostra esistenza, ma si “innamora”, ci adesca e ci travolge nei suoi gorghi. Desiderio del mare, inoltre, è anche l’amor ingannevole di una figura irraggiungibile, alga sfrontata e diversa che è sì bella e pur sì liquida sotto lo scoglio! Amore e vita sono, quindi, gli argomenti che dominano in questa sottilissima raccolta di liriche di Carlo M. e, sia pure in tono diverso, anche nell’ultima annata dello “spegnersi”, l’annata della lampada che si trasforma in oggetto perseguitato pur nella “traboccante abbondanza”. Alle origini della “persuasione” vi è l’impronta nitida del patrimonio romantico centro-europeo, delle cui idee Carlo M. si avvale da un lato e si affranca dall’altro, per circostanziare un segnale irriducibile di persona (di soggetto positivo) ed un concetto dell’esistente ad un tempo razionale e negativo, sovrastorico e antistorico, ma mai posto al di fuori del circolo delle relazioni ideali dominanti il proteiforme mondo del presente. Carlo M. è stato dunque molto stimolato, fin dagli anni della sua formazione, da quella che si può chiamare la verità del tempo, infatti la sua visione delle donne danzatrici è un tratto positivo della gioia e del rifiuto della misoginia. E le poche opere da lui realizzate non testimoniano certo delle riserve in proposito. Una trascendenza affiorava attraverso i tratti della timica imperfezione, comunicando ad essi la propria spaventosa intensità, tale da scoraggiare l’artista totale, che pure avvertiva con forza il bisogno di fissare quella epifania. Ben presto, d’altro canto, Carlo M. avrebbe trascorso diversi mesi davanti alla sponda di un mare dell’est, cercando di attraversarlo, accanendovisi e giungendo alla visione di altre rive. Ciò che lo affascinava, in quella ricerca di “altri mari”, non era dunque soltanto la forma, il carattere di oggetto che si può attraversare, rivedere, studiare sotto diverse angolazioni: se avesse voluto semplicemente rappresentare questi aspetti tangibili, ci sarebbe certo riuscito in poche nuotate, data la sua abilità di nuotatore. Ma aveva occhi solo per un al di là dell’apparenza; percepiva, benché ancora confusamente, una sorta di evento nella cosa vista, il mistero dell’esistenza evocato dalla visione di quell’altro mare lì, di fronte a lui.