May you live in interesting times
Ryoji Ikeda, Spectra III, 2008/2019. Courtesy the Artist

May you live in interesting times…It’s now!

May you live in interesting times. Nel tema della Biennale di Venezia 2019 la profezia del mondo dell’arte sul presente attuale.

“May you live in intresting times”. Se alcuni hanno già dimenticato a cosa si riferisce questa frase, mi spiace, significa che l’ambito artistico non fa per voi – o che siete stati troppo pigri per cercare di capire – mentre forse ad altri suonerà familiare. È stato giustappunto il titolo della 58ª edizione della Biennale d’Arte di Venezia tenutasi l’anno scorso, che tradotto significa “Che tu possa vivere tempi interessanti”. Se ne è già parlato e riparlato, si è già detto che si tratta di una falsa maledizione cinese, volta ad esprimere in realtà l’esatto contrario di ciò che dice, ma che effetto fa leggerlo ora? Per chi ancora è perplesso facciamo un breve ripasso: i “tempi interessanti” decantati e augurati, in realtà si riferiscono a tempi bui e per niente sereni, perché, dall’altro lato, i tempi non interessanti si riferirebbero a tempi calmi, di pace, che a lungo andare potrebbero apparire noiosi, perché privi di “plot twist” (= colpo di scena) che solitamente nel cinema tengono alta l’attenzione. 

Ed eccoci qua. Da quanto non vivevamo tempi interessanti a livello globale? Io da mai, ho 23 anni e questa situazione potevo solo viverla indirettamente guardando film o leggendo libri. Mio nonno da quando sono arrivati gli Americani a portare la cioccolata sui carri armati. E comunque la possibilità di uscire di casa c’era. Oggi no. 

Viviamo oggi un periodo paradossale e quasi assurdo, combattendo una guerra invisibile contro un nemico infinitesimamente più piccolo di noi. In questi frangenti, oltre ad incrociare tutte le dita di mani e piedi e ritrovare la fede che avevamo abbandonato dopo esserci cresimati (non voglio generalizzare, ma prendiamola come metafora), ci viene spontaneo cercare assiduamente un capro espiatorio, un “colpevole”. Probabilmente non lo troveremo mai e proprio quando ce ne dimenticheremo verrà fuori, come è successo con alcune notizie top secret che riguardavano la Seconda Guerra Mondiale, ad esempio. Sicuramente gireranno film e serie tv su questo 2020, inventando i fatti o attenendosi strettamente alla realtà. Gli artisti stanno già esprimendo il nostro – sì perché riguarda tutti, è una pandemia – stato d’animo, le nostre preoccupazioni e i nostri pensieri, perché è uno dei motivi standard che guida la produzione artistica: riflettere il proprio tempo.

E se questa volta l’arte avesse predetto questo tempo? Assurdo, si avete ragione. Ma visto che siamo barricati in casa e abbiamo a che fare ventiquattr’ore su ventiquattro con noi stessi, è lecito che anche i pensieri più improbabili si facciano strada nelle nostre menti, l’importante è riconoscerli ed accettarli come tali.

Ricordo bene la sensazione che ho provato visitando l’Arsenale l’anno scorso: sconforto, pesantezza, negatività, sotto varie forme artistiche. Eppure, quegli artisti hanno solo immaginato tempi interessanti, magari tirandoli fuori dal loro subconscio o da esperienze effettivamente vissute. 

Quattro mesi più tardi le cose si sono ribaltate: la maledizione si è avverata e l’arte la possiamo fruire solo virtualmente.