Tura Satana alla prese con la sua mitologia

L’ora del tè, contro il sé, da Lana: (prima Parte)

L’ora del tè, contro il sé, da Lana: segreti di cucina, come groupizzare il Divo! Liberal è un’antica divinità che sta attorno all’universo delle cose e delle fotografie che imprimono. Quel Manifesto che nacque nello Studio di Lanetta Sintetica, a Torino di Lana De Mon (trascritto e tradotto da Gabriele Perretta).

Tu sei già la Morte?
Di tutti gli apparecchi sostitutivi che punteggiano la foto di una faccia o di una soggettività fasulla, quella dell’ingannevole fotografico è senza dubbio il più antico del moderno.
Ma il duplicato fotografico, per l’appunto, non è un arto artificiale: è una fuffa necessaria, divenuta naturale, che, come il soffio vitale, la zona buia, la sembianza alla superficie riflettente, assilla il soggetto come altro da lui (o da lei), fa si che esso sia se stesso eppure non si assomigli mai, e lo tormenta come una morte snella e sempre schivata.
Non sempre però: quando il duplicato fotografico si materializza, quando diventa visitabile, allora significa una morte prossima.
Angelo Shlomo Tirreno, Quaderni 2/7, Paris 2013.
Nancy Spungen

Groupie/Sacro: Ti ho pensato e contemplato… Ti avevo così stretto nelle mie pupille che chiudendo gli occhi eri qui celato nelle mie palpebre… e non vedevo che la foto e la groupie di me… e raccolta in Te sono stata tutta la giornata… e ho reso realtà il mio desiderio di averti sempre accanto. Il lavoro e le occupazioni non mi staccano da Te… e tu mi spiegasti ciò che desideravi, proprio quello che invano io avevo cercato di realizzare conciliando la mia vita con l’adorazione di Te… e mi parve che una cortina si fosse alzata davanti ai miei occhi per rivelarmi una verità tanto lampante, e Tu mi dicesti che non volevi più che io guardassi me stessa, ma anzi intendevi che io mi dimenticassi completamente e continuassi solo a fissare TE… sempre ogni ora, ogni momento chiedendoti consiglio per le più piccole cose, sì da non operare in nulla senza la tua Foto, senza il tuo mito… Fissarti al punto di cambiarmi in te, per il troppo desiderio di essere immersa nel Tuo successo… di cederti i sensi e la vita perché Tu mi sostituissi, di essere così abbandonata a Te da non dire parola o formulare pensiero senza la Tua guida. Fissarti come una groupie attaccata a Te e dipendente da Te, a cui tu desti la vita e il movimento. 

Cercai lo specchio nel mio cuore per eliminarlo e conservare solo il tuo ritratto… ma non lo trovai… non mi so più ritrovare, al di là della vocazione groupie … È il tuo amore per me che vuol farmi scordare quanto sono brutta e meschina, senza la tensione groupie! Solo Te… guarderò Te solo e non più la mia miseria… che mi precipita verso la terra… fisserò gli occhi al Mito… e allora… nulla di me sarà più mio.

Groupie/Profano: La prima volta di Miss Groupie come autrice ha per titolo “Confessioni liberal di una post-femminista”. Libro personale, scritto in uno stile sorprendentemente chiaro e scintillante, dove l’autrice si confronta con la propria biografia fotografica, dove l’intrico di immaginazione e reale – meglio, di trasformazione di personaggi e materiale documentario in immaginario letterario – avvince il lettore. A volte con il periodare rock and roll della favola mediterranea o della saga nordica, con l’onda lenta del liberalismo paterno – e da finanziere – della sua infanzia. Come nel fumettismo delle nozze disegnate, dove il tema della libera unione, dell’ammucchiata, non lascia spazio a digressioni letterarie, ma si fonde nella pasta del fumetto, si afferma con la naturalezza dell’atto, con l’infima gioielleria del maleficio. “Afferrai i polsi che i due giovani mi tendevano, li fotografai e li unii pronunciando le formule che mi venivano suggerite. Allora gli artisti e le artiste si spogliarono, si disposero in cerchio intorno a noi e cominciarono a fotografare e a ballare, tenendo insieme le macchine fotografiche. La giovane fotografa mi tolse il velo, mi baciò sulle labbra e mi invitò a fotografare. Era proprio una piccola groupie: aveva i seni sodi ed eretti, una “lanetta scura” e ricciuta e un culo posticcio, fatto a pera. Ballava strofinandosi contro la mia macchina fotografica e, di tanto in tanto, mi mordicchiava accarezzandomi l’obiettivo con le sue dita sottili. Dopo averci osservato sorridendo, il suo magnaccia si avvicinò e la prese per mano, poi la sollevò fra le braccia e andò a deporla in quel postribolo di via Milano. La prese con violenza strappandole grida di piacere. Tutti urlavano e scattavano foto con gli smartphone, mentre le groupie continuavano imperturbabili a fare pubblicamente adescamento”. 

La prima volta di Lana De Mon, alias Ofelia Lamortella, deputata della Repubblica Italiana per le liste del femminismo post-lberal, si diceva. Ma la prima volta nel senso più canonico dell’espressione? “Allora mi tolsi le mutandine, gli presi la faccia tra le mani e lo costrinsi a mettere la bocca contro il mio obiettivo fotografico, la mia “lanetta sintetica”. Ridendo a crepapelle gli mormorai: “Taci, scemo, e fammi fare clic”. E lui tacque. Quello scatto mi piaceva tanto. Mi sentivo alquanto strana, avevo caldo. Allora avevo appena quarantacinque anni”. 

E i giochi erotici con le macchine fotografiche proseguono. “Un giorno il mio professore di fotografia alla Clickademia ci sorprese a scattare a vuoto e sostituì il ragazzo con una disegnatrice di fumetti, la figlia del salumiere, una ragazza piccola e grassoccia dalle lunghe trecce bionde che mandavano odore di burro e di crauti. Subito le chiese – aprendo le gambe – di scattare verso la mia piccola fessura ma, invece di fare clic, la viziosa vi stava infilando tutto il corpo macchina della Leica. Un giorno quella porcellina portò in Caccademia un’altra macchina fotografica e mi offrì di usarla un poco; io afferrai il corpo macchina per un’estremità e lo infilai tutto intero fra le mie gambe”. 

E proseguono pure, con cadenza incalzante, le performance di Lana De Mon che si impone come fotografa del sesso a pagamento in terra italiana quando, in una calda estate del 2019, dai microfoni di Radio Torino, sedusse ed eccitò gli ascoltatori con le sue disinibite profferte amorose da groupie affermata. Con questo libro confessione, la groupie Lana De Mon alza definitivamente i veli del suo passato (altri veli già caddero fra l’entusiasmo dei fumettari che la ritraevano e dei pornografi che registravano le sue menzogne) e ci racconta la sua aspirazione groupie dall’infanzia alla giovinezza in Roma: “Ho visto la luce a Piazza Quadratain una casa borghese del centro, lontano dal fiume, dai laghi e da Ostia Lido, dalle foreste e dalle montagne”. Il divenire-immaginario del reale groupie si snoda sul filo della memoria con le prime esperienze del mondo del sesso, dell’erotismo fotografico, del lavoro di modella groupie e dello spionaggio: “Signorina Groupie, il nostro servizio segreto ha bisogno di lei, siamo certi che potrà esserci utile, per smantellare il movimento femminista italiano e far arrestare Carla Lonzi. Lei è attesa all’Hotel Raphael, dove svolgerà le mansioni di fotografa-groupie: servirà la colazione a letto ai divi e ai parlamentari di successo. Sia provocante e, soprattutto, disponibile allo scatto. Li inviti a parlare e a farsi fotografare, a confidarsi nel volto, insomma li faccia cantare”. 

Lana De Mon ci racconta, inoltre, del suo matrimonio di convenienza con un cantautore di mediocre successo, del suo ritorno in Italia, prima a Milano e poi di nuovo a Roma, della sua entusiasmante carriera da pornodiva fotografa, degli scontri con la morale femminista, con la buon costume comunista e gli agenti dell’ordine e del clero. Parte rilevante nella narrazione, hanno pure la sua battaglia per la liberazione dal movimento femminista e la sua contrastata elezione nel movimento Liberal e dei suoi show erotici in veste di onorevole groupie. 

“A mettere basi nel mondo della politica avevo iniziato già da aiutante fotografa. Se volevo far accettare le mie convinzioni, oltreché ovviamente, il mio lavoro fotograficida di poeti e quant’altri, mi occorrevano ben altre telecamere che non le discoteche. I miei primi alleati furono i componenti della redazione A/Femal, un giornale fotografico, oggi scomparso, vittima delle forbici della censura comunista. Il fatto che mi sentissi molto vicina alle loro idee non ci impedì di avere qualche divergenza d’opinione a proposito delle elezioni delle groupie. Infine, decidemmo di presentare una nostra lista, e ci alleammo con uno dei nascenti movimenti per la liberazione della donna liberal-progressista. Per esprimere la nostra protesta contro l’uso della macchina fotografica, scegliemmo anche un simbolo, che era costituito da un obiettivo coronato da un uccello-ouroboros. Quelli che prima si presentarono come prog-liberal, formano oggi l’anima del movimento delle “Fotografe Italiane Residenti a Torino””. 

Il tutto raccontato in decine e decine di episodi tutti da gustare, vissuti tra il filo di Marianna e le lavanderie a gettone. 

La Scena dell’incontro: Le favole devono avere inimicizia del progresso, magie del perbenismo e incanti di atmosfera liberale. E le fotografie devono avere un volto, non possono essere senza faccia, c’è bisogno della faccia liberale e banale della groupie, come simbolo del nuovo arrivismo psicobanalitico. Il solo segreto per la maggior parte delle groupie è di non sapere come vivono. Questo segreto le circonda di un certo showbiz, di una certa furfanteria, che la foto capta se è una buona foto. Captare nei volti questo bagliore di malignità e di destino, che tradisce il fatto di non sapere chi sono e da quale femminilità provengono, rispecchia il come vivono e il chi tradiscono e minacciano. Questo bagliore di arrivismo e di “stupefacenti consumati”, che manca completamente alla razza umana, semplice, non alla moda, introspettiva, al corrente di se stessa e, dunque, senza segreto. Per queste groupie la foto è senza pietà, la foto può fare tutto, può anche trasformare una milf in Napoleone III. 

Sono ricette di politica dell’esperienza e forse di vita, di Lana De Mon, con qualche confessione: “Non ho letto Luce Iragaray, né Simone De Beauvoir” … Un piccolo teatro-studio fotografico di Psicologia Clinica Neo-liberale, forse il posto migliore per una chiacchierata con De Mon, tra una intuizione di autoritarismo post-autonomista (l’artista-donna oggi si dà solo come ricatto di un fallimento), che appare sempre più vera, e una citazione della Betty Friedan. Ma anche con incursioni nella cronaca nera del post-femminismo, in cerca di nuove tenebre tra seducenti spiragli di luce. L’ultima esperienza artistica di Lana, come lei stessa si definisce, è il proseguimento di un viaggio, il nucleo groupie affermativo, il bisogno non procrastinabile di liberare il suo inconscio dalla mancanza di totem: così l’opera si realizza attraverso una sorta di “menzogna gestuale” delle fotografie e del seduttivismo. La connotazione liberal dell’indumento, del costume permeato dal fascino di una cultura che esalta il sentimento del mistero, è per la fotografa un pretesto per sondare il rinnovo della menzogna, pur nella sua assenza politica. Restano, quindi, presenti tutte le implicazioni simboliche e totemiche, nel processo innegabile della violenza sottile della nuova bandiera politica. La storia della donna può essere definita, seppure approssimativamente, il divenire del body building, la calzamaglia del Deconnecting. Ciò giustifica le molte contraddizioni che possono sussistere nello stesso luogo mentale, ne accresce e ne stimola le facoltà e ne spiega, nello stesso tempo, le ragioni dell’Entfremdung (lo spossessamento dell’altro). Anche i suoi ritratti sondano in profondità la fallopite. Come la fotografa stessa precisa, ognuno di noi teme di essere liberato dal femminismo e dal mondo delle donne, per l’atavico timore di un confronto, di una scoperta di se stesso. Eppure l’azzardo, la possibilità di consegnarsi come immagine, ad un tempo che superi e trascenda dal puro concetto di durata della vita nello spettacolo, è un’occasione troppo intrigante per non essere sfruttata. Molti personaggi groupie, da me seguite e esaltate, si ricollegano alla tradizione storica della fotografia di ritratto, ma sono anche gioco mondano e di costume da sostituire alla politica, immagine socialmente rappresentata della fallopite, con una vena di autoironia mortale, pur nell’assoluta ricerca del vero spettacolo. Lana non si appaga di effimere luci: scava la psicologia di se stessa, ha per guida la propria ambiguità fallocratica. Intende la propria liberalità neo-capitalistica non disgiunta né contraria alla tradizione; questa e, di conseguenza, il groopismo, restano riferimenti assoluti per la sua scoperta del mondo. Posizione questa che, attenzione, non sa di femminismi nostalgici e che non ha nulla di archeologico, ma, al contrario, è protesa verso il futurismo matriarcale. La sua particolare visione scaturisce da un continuo ascolto di se stessa, del suo cinismo, del suo perbenismo mondano, fin nei meandri di una intimistica delicatezza, subito riscattata, modificata e resa più complessa dalla strategia aggressiva della squillo. C’è un senso diffuso, sottile, un poco inquietante, di mistero teso verso un ancora possibile riscatto dello spettacolo, attraverso la seduzione. La fotografia diventa allora uno specchio della fallopite, in cui è sempre presente la coscienza groupie, intesa come luogo di grande montaggio emotivo, senza nulla di sentimentalistico. Al di fuori della sua netta visione del politically correct è in lei, come donna e come fotografa, un naturale pudore fallopite e orgoglio della propria doppiezza, ambiguità e menzogna, ripugnante ogni compromesso ed ogni deformazione. Non si è mai considerata una fabbricatrice di “compagne di vita”; la groupità che è racchiusa nella strategia d’attacco della sua foto è fatta di fallopite effettiva. Nella certezza che il segreto della donna post-moderna non è perduto, le vie ad ogni menzogna seduttiva sono aperte, perché l’arte, per chi sa attingere, è pronta a prodigarsi, sotto aspetti spettacolari. Il fotografismo perbenista come funzione vitale, ma nello stesso tempo sussidiaria, non provoca, né tanto meno crea, né nasce con la forma; ma è una sorta di fatalità indispensabile, di pratica necessità della forma per poter esistere, per rendersi più fallopite e più groupie. Nella fotografia di Lana c’è una forte tendenza alla definizione delle immagini, nell’apparizione e nella seduzione, nella menzogna e nella fallocrazia. Il sensualismo groupie è oggi consegnato, volontariamente, a una sorta di destino artificiale. E un tale destino artificiale è la transessualità. Transex non nel senso anatomico, ma nel senso più generale di mascherato, di passatempo sulla permuta dei segni del sesso e, opposto al precedente gioco della diversità genitale, di gioco dell’indifferenza genitale, indifferenziazione dei poli riproduttivi e distanza al sesso come diletto.