Oggi tutti sembrano avere voglia di passatismo e custodia, mascherata o manifesta, perché la forma della politica stessa, di questo genere di azioni di governance, è inglobata in un numero crescente di sistemi strategici (micro e macro). Pare, infatti, che si stia superando il triplice sospetto che, durante il periodo di espansione del post-modernismo (come ideologia culturale e tendenza artistica, più che come epoca storica) la «strategia della destra sublime» (ironia pasoliniana), pesava sulla soggettività politica delle forze emergenti: sospetto ideologico-strategico, individuo concepito come semplice soldato nazionale, diffusione di tatuaggi e marcature, sospetto inconscio disincentivante, infido sonnifero culturologico. J. De Maistre e, in un certo senso, l’interpretazione di Emil Cioran hanno illustrato queste attitudini, arrivando, alla fine a evocare il ritorno autoritario e totalizzante del thaumazein, lo stupire anche per paura trasformato in politica dello stupere (latino), lo star fermi volontariamente, immobili, per bloccare le menti e instaurare il regime del “circostante”, della situation pérenne.
Si potrebbe dire: c’è un ritorno del “governo del fatalismo” (un eterno ritorno di destra) che, ogni giorno, pur non essendo totalmente capace di tornare come prima, torna nell’apparire perché non può più essere innocente. Ormai – il suddetto – è forzatamente provvidenza al secondo grado, che gioca col proprio statuto di inganno. In altre parole: non è la soggettività che vuole trovare una soluzione per l’immiserimento generalizzato, la miseria della sincerità che travasa nella sincerità della miseria, la profondità del nichilismo che si giustifica tramite il nichilismo della profondità, ma il soggetto flessibile (della pletora della fine del lavoro) al servizio del Capitale assoluto e generalizzato, il soggetto conveniente della sua stessa seduzione, quello che vuole governare in presenza e in assenza. È quello che nota Teeteto stesso: «In verità, o Socrate, se penso a queste cose io mi trovo straordinariamente pieno di meraviglia; e talora, se mi ci fisso a guardarle, realmente, ho le vertigini» (Theaet., 155c). Chi prova meraviglia vive in una realtà intermedia fra il topos della chiusura ambientale, in cui l’animale rimane stordito, e il topos dell’Olimpo dove vivono gli dèi dotati di perfezione. Invece, l’essere atopico attuale ha le vertigini, perché è un essere gettato nell’instabilità politica, che non ha la terra sotto i piedi ma la religione del provvidenzialismo, dell’accettazione della miseria: non è infatti radicato nel terreno dell’antropologia (come ci ricordava PPP, richiamandosi ad un codice conservativo, ecologico e positivo), come le altre piante terrestri, ma è appeso in aria per i capelli, pronto a respirare tutte le nuvole di inquinamento che le sue stesse scelte gli impongono. In secondo luogo, la stupefazione che destabilizza e provoca vertigini non è l’arché d’un incantamento, neppure il morso di un veleno narcotizzante, ma una soluzione chimica, un’ottima droga che oscilla tra l’estremismo mistico di De Maistre, la condanna impolitica di Cioran, il Manifesto Conservatore di Prezzolini e l’amore di Scruton per Burke. È piuttosto l’emozione ambigua e strategica di chi improvvisamente si ridesta da un’infatuazione, senza rendersi conto del suo stato di povertà, e coglie da una diversa prospettiva, e quindi con sorpresa, ciò che lo circonda, senza mai giungere ad una coscienza di classe. La stupefazione, per le nuove destre sovraniste e xenofobe, formerebbe (palesemente) un occultamento del narcotico solo se diventasse stupimento rassegnato di fronte al miracolo, quello che finge di trasgredire le leggi fisiche o evade in un aldilà ultraterreno. Il paradosso del tradizionalista narcotizzante, dell’immiserimento dello scetticismo è che, pur se non è destinato ad essere del tutto imposto, malgrado tutto, esso si rivolge all’instaurazione della sottomissione acritica, a un kosmos noetos, che incrina l’ovvietà dei dispositivi del senso comune in cui viviamo. In tale ridestamento si ispezionerebbero gli stessi impedimenti di prima, ma con occhio nuovo, riuscendo a provare un sentimento di sorpresa anche verso ciò che prima appariva scontato. Anzi, in alcuni casi, si riuscirebbe a provar ammirazione persino verso ciò che prima fascisticamente sorgeva più evidente e banale: la propria esistenza.
Forse, è in questo senso che l’incanto della nuova destra può diventare l’esperienza generatrice di una filosofia intesa come esercizio di modifica: stupire della propria miseria di classe, ma con scaltrezza e speranza di raggiungere il potere, per i politici conservatori odierni e seguaci di De Maistre, significa compiere il primo passo dell’imparare a vivere, cioè imparare a viversi non come qualcosa di ovvio e banale, ma come una “cosa inaspettata ma fondamentalmente fascista”. Il «Provvidenzialismo deviato» della nuova destra non è pertanto un’esperienza puramente intellettuale, ma un cordone sanitario per la difesa subliminale dell’autorità. L’intenzione che anima il progetto dei nuovi conservatori, da cui stanno nascendo la rilettura e la rivalutazione politica dei Prezzolini, agenti di discordia e di conflitto, vuole essere innanzitutto quella di promuovere una riflessione non riduzionistica sulla condizione del privato e della privazione, offrendo un spazio apparentemente liberista sui temi di un risanamento vissuto come esercizio di ridestamento e di trasformazione. Questo implica la capacità di spostare lo sguardo verso il populismo delle élite imprenditoriali, cioè anche verso tematiche e politici che, negli ultimi decenni, erano rimasti al margine del dibattito europeo, o venivano guardati con sospetto. Per far questo la soluzione più feconda, da parte delle forze di governo, è quella di caratterizzare la reazione di una strategia del risoluto europeo anche attraverso un dialogo fra esperti del sovranismo più recondito, moderno e contemporaneo. La politica del mitismo conservatore nasce, quindi, dal “thauma”, cioè dallo sguardo angosciato sul mondo, preda del continuo formarsi del Provvidenziale. Ed è proprio di fronte a questo formarsi che si arrestarono i primi teorici anti-rivoluzionari: di fronte alla molteplicità dei fatti e ai loro mutamenti continui, la politica mistica si costituisce come ricerca di quell’elemento unitario che spieghi il senso e l’accedere complessivo della realtà della moralizzazione. La politica della destra inizia quando l’insidia del restauro inizia ad interrogarsi sulla natura delle protezioni, sul loro principio di opportunità, sul principio regolatore che ne stabilisce l’ordine e le leggi. È possibile ri-trovare qualcosa in comunità che si sottragga al pericolo del sovranismo e al farsi dell’arretratezza, che possa liberarsi da questo destino del fallimento a cui noi, in quanto “misere vittime”, non possiamo sfuggire, ma contro cui non possiamo neanche agire? Se si vuole: il semplice reazionarismo o fascismo non basta, è in genere completamente fuorviante; in compenso, il mitismo parossistico, trattato al secondo grado (quello che esaspera l’artificio nazionalista e sovranista) ha sempre qualcosa di strategico e di sorprendente. La nozione di misticismo è in J. De Maistre strettamente connessa a quella di post-fascismo, nuova destra manageriale e determinismo conservativo. Occorre, dunque, partire dalla strategia mistico-politica di J. De Maistre per passare quindi a scoprire, nelle sue connessioni storiografiche e nelle sue implicanze strategiche, rispetto al costituirsi del postmodernismo di destra, la categoria di opacità fascista, che meraviglia il popolo. Il nascondimento dell’antica dignità aristocratica – scrive – De Maistre si rivela così: “Niente va a caso, mio caro amico, tutto ha la sua regola e tutto è determinato da una forza che ci dice raramente il proprio segreto. Il mondo politico è regolato al pari del mondo fisico col credere che vi faccia tutto. L’idea di distruggere o di smembrare un grande impero spesso è altrettanto assurda […] che quella di togliere un pianeta dal sistema planetario”. Così in una lettera al barone Vignet des Etoles (ottobre 1794), il conte Joseph De Maistre (1753-1821) esprime la sua radicale sfiducia nell’uomo che, a causa del peccato originale, è divenuto una creatura così fragile e sbiadita da lasciare appena intravvedere la sua antica dignità. La strategia del pessimismo maistriano oltre ad attribuire all’uomo scarse possibilità di cambiare l’assetto delle cose, introduce uno scudo difensivo: usare la sfiducia verso il cambiamento, il pessimismo come logica di contrasto a qualsiasi affermazione di emancipazione. Sicché la conservazione del “male inevitabile”, come strategia, e il contemplare prevalgono sul volere e l’agire. La meditazione strategica tesa a comprendere l’ordine inevitabile della realtà, porta alla scoperta ed all’applicazione della sciocchezza e della scelleratezza umane (vedi l’esempio di Berlusconi, Renzi, Calenda oppure Feltri), le quali per De Maistre, «sono due immense cieche di cui la Signora Provvidenza si serve per raggiungere i suoi fini». Il Governo del Mondo, da Trump in poi, è dunque rimesso alla Provvidenza, la quale rivolge il suo soffio onnipotente dove vuole, come vuole, quando vuole. Essa volge il bene in male e il male in bene così come premia i malvagi, i violenti, i corrotti, coloro che non credono nella giustizia e agiscono secondo il sopruso del potere e la classe di quelli che lo detengono. L’intera strategia maistriana è permeata da un’insaziabile ricerca di giustificazioni del negativo, in quanto governo dei pochi. Per De Maistre infatti l’opera politica della provvidenza, della strategia mistica è tanto più riuscita quanto più essa aderisce in tutto e per tutto al pessimismo strategico e conservativo, in una parola diremmo funzionale alla destra. Tuttavia la filosofia della reazione e il ripristino del monarchismo ereditario – che è dietro il nuovo Ancien Regime, il nuovo Parfaite Sincérité (De Maistre massone), il nuovo animatronic della destra conservatrice, non è un semplice susseguirsi di eventi, ma al contrario esso è retto da un disegno provvidenziale finalizzato ad instaurare la mistica del fascismo flessibile. Qui non ci troviamo di fronte al provvidenzialismo manzoniano che coincide, dunque, con quello tomista (“Ratio Ordinis Rerum in finem”), la libertà per la persona è fondamentale per realizzare se stessa e l’azione della fede che passa oltre le nostre cognizioni e le nostre previsioni (Dialogo dell’invenzione 1841-45), ma per l’instaurazione del sovranismo e della xenofobia. Del concetto moderno di ragione autonoma, del pensare da sé stessi, si può dire senza timore di smentite, che ha costituito una delle acquisizioni centrali del pensiero nemico dell’intera destra storica e che continua stabilmente a dispiegare le sue potenzialità gnoseologiche e assiologiche anche nella strategia post-moderna che lo occulta.

Al di là delle critiche che hanno investito il modello della razionalità moderna nella sua globalità, l’autonomia della ragione rimane un irrinunciabile fronte di combattimento, sia rispetto all’opposizione della capacità di scoraggiare il nuovo, di liberarsi dalle spinte e dalle preoccupazioni rivoluzionarie, sia di crescere e di non gettare la spugna alla crescita dell’ambiguità del liberismo di facciata, o di ricercare le condizioni più giuste per la manipolazione di tutti i conflitti di classe. Intervenendo sui caratteri del pessimismo storico e sul significato dell’applicazione del “qualsiasi aristocratico”, De Maistre introduce nel dibattito dell’epoca: il legittimismo e il reazionarismo di fede cattolica, la critica della Riforma Protestante (come male supremo), il laicismo nell’ermeneutica biblica, il malvagismo umano imperante, una ripresa dell’homo homini lupus (di Hobbes), l’anticapitalismo, il razionalismo astratto, il perbenismo contro il peccato sociale, l’intimismo (apprezzato persino dal contraddittorio Ch. Baudelaire), il catechismo positivista, nonché il misantropismo cioraniano e provocatore che vuole reintrodurre la provvidenza come strategia di difesa del Total Tory! Emile Cioran (nato a Rasinari, Romania, giovane aderente al movimento fascista della Guardia di Ferro), incline al genere aforistico, elabora una concezione nichilista dell’esistenza umana, che è ben presto divenuta lo specchio del rinnovamento ideologico dell’attuale opacità fascista. Ora, mi pare che il panico, come la sorpresa, siano sentimenti afasici, siano cioè segnati o dal silenzio conservatore o da un primo grado, assai limitato, di verbalizzazione e perciò di «razionalizzazione del Museo». Di regola, l’orrore e il cinismo della nuova destra paralizza, ammutolisce, blocca o fa fuggire. Dal panico non nasce il pensiero razionale, né esso lascia agio a che la ricerca si sviluppi, esce fuori l’occulto dello stato di miseria. Perciò, dire che la politica nasce dal Provvidenzialismo fatalista è sbagliato. Forse però il panico, urlato dai punk o dagli Smiths (pubblicato anche come singolo, il 21 luglio del 1986 dalla Rough Trade) può essere un buon movente della ricerca di stimoli per l’emancipazione, anche se non credo sia l’unico, né il migliore. La politica può nascere, infatti, da molti moventi: dal bisogno, dalla necessità, dall’inquietudine e persino dall’odio e dalla brama di uguaglianza sociale. Può persino darsi che in effetti la filosofia del Nuovo Manifesto Conservatore nasca dalla paura: dalla paura per l’impermanenza, dalla paura per il divenire e il non-essere. Una buona pratica politica, però, dovrebbe saper vincere le sue paure e le paure che vuole infondere negli altri per controllarli: solo così lo sguardo si deterge, diventa più lucido. Il motivo per cui alcuni dicono che la politica attuale nasce dall’entusiasmo per l’ordine, è che cercano un elemento emotivo unitario che stia alla base di tutti i processi di pianificazione.

Ho già detto perché non mi pare che l’interesse per la Massoneria e il “dirigismo contro la festa” siano candidati inammissibili alla soluzione. Il terrore, poi, manca del carattere di universalità: non vale in tutti i casi in cui la ricerca politica del popolo si attiva. Mi pare invece che sia la rivoluzione che viene dal basso ciò che la memoria del citoyen avrebbe voluto porre all’origine della politica e che Cioran ha mancato – volontariamente – di individuare. Secondo l’intento dei maistriani: la rivoluzione francese prima e poi Napoleone hanno reso l’umanità inferma e senza fede. Per restaurare le antiche, eterne forme di vita sociale negli animi umani da lungo tempo confusi, occorre un atto straordinario, apocalittico della Provvidenza, che sia visibile a tutti. Gli antichi ordini insegnano a servire Dio in cielo e il proprio re in terra. Essere conservatore condensa e aggiorna le riflessioni che Roger Scruton va svolgendo, dai primi anni 70, sulle origini, gli sviluppi e i vari aspetti di quel pensiero conservatore che trova in Edmund Burke alla fine del secolo XVIII uno dei «padri fondatori». Alla luce dei suoi princìpi, e di una fitta trama di riferimenti culturali, Scruton sottopone a critica serrata le varie correnti ideologiche che dominano la scena della politica attuale – il nazionalismo, l’ambientalismo, per esempio, ma anche l’islamismo. Ne scaturisce una apologia strategica del conservatorismo, una prospettiva che solo a tratti è riuscita a «bucare» la cultura post-illuministica occidentale lungo tutto l’Ottocento e il Novecento, ma non per questo è “meno pericoloso” nei suoi presupposti critici e positivi. Per De Maistre, si è detto, servire significa soprattutto contemplare, ossia non intervenire nel corso delle cose, ma cercare di comprenderne l’ordine e giustificarlo così com’è. L’uomo è uno strumento nelle mani di Dio e del sovrano. La fede deve essere cieca e non meno cieca deve essere l’obbedienza politica. Nelle Lettere Savoiarde (1793) de Maistre sostiene “che la massa degli uomini deve essere guidata: che la ragione stessa insegna a diffidare della ragione, e che il capolavoro del ragionamento sta nello scoprire il punto in cui bisogna iniziare a ragionare”. La pace, le consuetudini, le abitudini di una vita serena e ordinata, senza storia (insomma una sorta di antesignano di K. Popper), costituiscono l’ideale che lo scrittore savoiardo, propone ai suoi concittadini.
Le teorie astratte dei rivoluzionari non possono far nascere società nuove. Come una quercia, ogni società ha radici secolari, ossia principi lontani e risalenti a Dio, creatore dei popoli. Tali principi non si possono cambiare senza smembrare o disgregare le basi stesse della società. Ma, con la venerazione del passato e con l’elogio della dolce vita senza futuro, non si può combattere lo spirito demoniaco e orgiastico della rivoluzione francese. Soltanto l’intervento di un dio biblico può sconfiggere il terrore rivoluzionario. Di fronte alla forza irrazionale e sconvolgente del terrore, il misticismo visionario di de Maistre si esalta. Prezzolini che più volte si rifà agli scritti di de Maistre, scrive che: “È la libertà che ha avvelenato l’aria, l’acqua e la terra […] Chi è impegnato non è più un essere con libertà di scelta: ha perso l’indipendenza (p.112 e 115)”. Secondo de Maistre, con la rivoluzione Satana, che con la ragione non può comprendere né combattere, irrompe nella storia. Soltanto la Provvidenza – scrive de Maistre trionfante – può ristabilire il corso normale delle cose. Secondo de Maistre Iddio lascia libero corso alle forze del male e le fa danzare come orsi alla fiera sotto lo scudiscio della Provvidenza. Nella prospettiva di Roger Scruton il conservatore è sostanzialmente un manager delle risorse a disposizione, in una condizione di pieno controllo del risanamento, dove il piano di controllo è più importante di qualsiasi scintilla di emancipazione. Il buon amministratore – per Scruton – è indolente, cinico,opportunista; semmai è solerte, preciso, affezionato a ciò che amministra e, soprattutto, ha l’ambizione di pianificare se stesso e coloro che gli succederanno. Nelle Considerazioni sulla Francia(1796) de Maistre ribadisce il suo misticismo politico, ritenendolo addirittura rivelazione divina. “La rivoluzione francese guida gli uomini, più che costoro non guidino la rivoluzione medesima”; in essa “gli uomini vi entrano solo come semplici strumenti ed appena pretendono di dominarla cadono vilmente”. In termini non diversi, de Maistre parlerà di Napoleone: “Bonaparte fa scrivere nelle sue gazzette che è l’inviato di Dio. Niente è più vero … Bonaparte viene direttamente dal cielo … come la folgore”. Napoleone, secondo il reazionario savoiardo, “è un grande e terribile strumento nelle mani della Provvidenza, che se ne vale per abbattere ora questo ora quello”. È chiaro che così come lo scrittore savoiardo non condivideva l’ottimismo degli ideologi del secolo dei lumi, Scruton non condivideva il concetto delle tre ecologie espresso da Felix Guattari. Secondo i due tradizionalisti la ragione e il volere umani non possono guidare gli eventi storici, mentre per Guattari lo strumento ecologico è un volano per giungere al progresso mentale, sociale ed ecosistemico. Si tratta de Le tre ecologie, breve saggio risalente al 1989 ma articolato sull’analisi di questioni e problemi che appartengono in pieno anche al nostro tempo, tanto da farlo apparire come un testo, se non premonitore, quantomeno assai lungimirante. In esso il concetto di ecologia viene sviluppato in una chiave totalmente nuova, attraverso lo studio delle interazioni sistemiche tra contesti che solitamente vengono considerati separati fra loro: quello ambientale, sociale e mentale. Secondo Guattari, infatti, non vi può essere alcun progresso politico sul piano della crisi ambientale, se le soluzioni proposte non prendono in considerazione anche le dimensioni sociale e psichica. Scrive infatti Guattari: «Le formazioni politiche e gli organi esecutivi sembrano totalmente incapaci di cogliere questa problematica [quella della crisi ecologica] nell’insieme delle sue implicazioni. Benché recentemente abbiano iniziato a prendere parzialmente coscienza dei pericoli più visibili che minacciano l’ambiente naturale delle nostre società, in genere si accontentano di affrontare il terreno delle nocività industriali, e ciò unicamente in una prospettiva tecnocratica, mentre soltanto un’articolazione etico-politica – che io chiamo ecosofia – fra i tre registri ecologici (quello dell’ambiente, quello dei rapporti sociali e quello della soggettività) sarebbe capace di far adeguata luce su questi problemi» (F. Guattari, Le tre ecologie, 1989). A tal fine Scruton passa in rassegna tutto ciò che non va nel vecchio Occidente per potersi difendere e proporsi ancora come motore di storia. In opposizione allo sforzo di Guattari scrive Scruton: ‘Il conservatorismo che io professo afferma che noi, in quanto collettività, abbiamo ereditato delle cose buone e dobbiamo sforzarci di conservarle. Quali sono? La Tradizione, la concezione organica della società, la ricostruzione di una comunità fondata su valori non negoziabili. Alle classi dirigenti Scruton si rivolge, esortando alla difesa delle specificità e delle differenze contro l’indifferentismo ed il relativismo culturale. E ribadisce, inoltre, che lo Stato-nazione, dato per morto dagli universalisti, è la garanzia primaria dell’ordine civile, politico e culturale verso il quale tendere. Così come non si può prescindere dal restaurare la concezione della bellezza a fronte di una tecnologia invasiva e totalitaria. L’indole conservatrice, quasi in società con de Maistre e Prezzolini, sostiene, ‘è una proprietà acquisita delle società umane ovunque si trovino’. Vi è di volta in volta una forza estranea, un momento eccentrico che rompe il ritmo impresso alla storia dalla volontà razionale degli uomini. Tale convincimento maistriano, ma anche di Prezzolini e di Scruton, comporta la radicale svalutazione dell’impegno umano nella storia. È Dio che fa i potenti della terra e dispone della storia. Quando l’uomo si illude di agire da solo, e dimentica il suo Creatore, “è – dice efficacemente de Maistre – come la cazzuola che si crede architetto”. I temi fondamentali della filosofia di Maistre, appoggiati da Prezzolini e da Scruton, sono esposti in una pagina dello Studio sulla sovranità (1794-1796; inedito fino al 1870). “La ragione umana, ridotta alle sole forze individuali, è perfettamente nulla, non solo per la creazione, ma anche per la conservazione di ogni associazione religiosa o politica, perché essa non produce che dispute, e l’uomo, per regolarsi, non ha bisogno di problemi, ma di credenze. La sua culla deve essere circondata di dogmi; e quando la sua ragione si risveglia, bisogna che trovi tutte le sue opinioni fatte, almeno per ciò che riguarda la sua condotta. Nulla è così importante per lui, quanto i pregiudizi […]. Infine, bisogna che vi sia una religione dello stato come una politica dello stato; o piuttosto occorre che i dogmi religiosi e politici, mescolati e confusi, formino una ragione universale o nazionale abbastanza forte per reprimere le aberrazioni della ragione individuale che è, per sua natura, la nemica mortale di qualsivoglia associazione, perché essa produce solo opinioni divergenti”. Secondo de Maistre, le istituzioni, le leggi, i diritti, la salvaguardia della natura, così come per Scruton, hanno origine divina; è perciò illusorio ritenere che possano nascere dall’accordo tra le volontà individuali. Se l’utopismo rivoluzionario è astratto, non meno astratto è il tradizionalismo. A ben vedere, però, il discorso politico maistriano non è tradizionalistico ma mistico, il che, se possibile, lo rende, non solo, ancor più radicale e pessimistico ma anche più votato a contaminarsi nel campo del post-modernismo generico. L’uomo secondo questi non solo non crea, ma l’incidenza della sua azione è molto limitata. La natura, i tempi, le circostanze fanno tutto, conciliano la visione conservatrice ed ecologica. Gli uomini che corrono dietro a un fine e ne conseguono un altro, sono strumenti, se non trastulli, nelle mani della Provvidenza. Essi, per de Maistre e per il Manifesto dei Conservatori di Prezzolini, tenuto tanto in considerazione da questa nuova destra di governo, costituiscono una circostanza in quell’insieme di numerose e complesse circostanze che, in un momento, si aggregano armonicamente e fanno brillare una nazione e in un altro si disgregano e la fanno decadere. Se gli uomini possono appena modificare la realtà, sono in compenso dotati di fantasia sbrigliata che consente loro di elaborare progetti grandiosi e chimerici. Così essi credono che una costituzione al pari di un orologio sia un’opera umana e che possa essere scritta, e creata a priori. Invece, secondo de Maistre, “l’uomo non può fare una costituzione… Soltanto, quando la società si trova già costituita, senza che si possa dire come, è possibile far dichiarare e spiegare per iscritto certi particolari articoli; ma quasi sempre queste dichiarazioni sono l’effetto o la causa di grandissimi mali, e sempre esse costano ai popoli più di quanto essi non vogliano”.

Per confermare la linea ecologica conservatrice, ricordiamo pure che la stessa costituzione di un popolo è per de Maistre un organismo vivente che cresce e si sviluppa lentamente, traendo alimento da fattori naturali e animali. Essa racchiude il patrimonio di salvaguardia dello status quo, è – per così dire – l’anima ecologica di una nazione. Con sciovinismo e cinismo martellante, sostiene de Maistre: “una costituzione che è fatta per tutte le nazioni, non è fatta per nessuna nazione”. Ne Le serate di Pietroburgo (1821), de Maistre fa l’elogio del carnefice e esalta la divinità della guerra: l’uno e l’altra testimoniano la misteriosa, perenne presenza della Provvidenza sulla Terra. Il carnefice “è fatto esteriormente come noi, nasce come noi; ma è un essere straordinario, e, perché esista nella famiglia umana, occorre un decreto particolare, un fiat della potenza creatrice. È creato come un mondo. E tuttavia ogni grandezza, ogni potenza, ogni subordinazione riposa sull’esecutore: egli è l’orrore e il legame dell’associazione umana. Togliete dal mondo quell’agente incomprensibile: al momento l’ordine cede al caos, l’ordine manca, i troni si inabissano e la società scompare. Dio, che è l’autore della sovranità, lo è dunque pure nel castigo”. “La guerra – continua de Maistre – è divina per le sue conseguenze di ordine sovrannaturale, sia generali che particolari … La guerra è divina nella gloria misteriosa che la circonda e nel fascino non meno inesplicabile che vi ci porta. La guerra è divina nella protezione accordata ai grandi capitani … La guerra è divina nella maniera in cui si dichiara … La guerra è divina nei risultati che sfuggono assolutamente alla speculazione della ragione umana … La guerra è divina per l’indefinibile forza che ne determina i successi …”. de Maistre, già è stato osservato, vuole costruire un vero e proprio sistema autoritario. La fede nella provvidenza costringerebbe l’uomo a contemplare con rassegnazione l’inefficienza della propria azione. Ma de Maistre respinge la conclusione quietistica, tendente a valorizzare la paralisi della volontà sottomessa alle forze che Scruton definisce inespugnabili. Il mistero che avvolge in destino umano, pur sgomentando non esenta l’uomo dal trattenere il culto della guerra.
L’attualizzazione del pensiero politico maistriano, usando Prezzolini e Scruton, sostanzialmente religioso, non riesce ad intaccare i principi laici della filosofia dei lumi, che sta dietro ad un libro, di importanza storica ma molto singolare, come L’imbroglio ecologico di Dario Paccino, pubblicato prima da Einaudi e poi ripubblicato da Ombre Corte. Bisogna ritornare su quella crisi della specificità ecologica, che sembra segnare culturalmente la nostra epoca. La difficoltà su questo punto, riguardante il genere politico dell’ecologia, è che a priori – in maniera militante e antagonista – sembra impossibile definirlo per la sua specificità sostanziale o formale: l’ecologia, per sua storia, è una storia di tutti. Dopo aver ingoiato le sfumature reazionarie dell’ecologia profonda e delle nuove sembianze dell’ecofascismo, siamo in grado di tornare alla sicurezza analitica di un classico dell’antagonismo anni ’70,che vuole ridare alla pratica politica un vero strumento anti-provvidenziale.