Sento spesso dire che il Natale è stancante, è una festa inutile ed è solo un fatto commerciale, un periodo nel quale ci si dimentica dei suoi valori per votarsi alle sole cose materiali. Faccio subito una dichiarazione. Il Natale mi piace tantissimo e anche le cose materiali, il superfluo, tanto è vero che, per quel che mi riguarda, Il Natale è come l’arte, è l’eccesso costante. Non c’è nulla di più materiale di un’opera d’arte (e io amo moltissimo l’arte), e nonostante l’impatto emotivo o intellettuale che essa mi provoca, alla fine resta sempre e solo un oggetto, cosa dalla quale è difficile smarcarsi. Almeno che – certo – non parliamo di arte concettuale, cosa che mi provoca spesso fastidio perché a mancarmi è proprio il manufatto che mi fa pensare altrettanto bene quanto la “scomparsa” banana di Cattelan.
Quello che invece mi provoca veramente fastidio è quando nel Natale s’inserisce la bruttezza perché – commerciale o spirituale che sia – il Natale è bello. Allo stesso modo m’infastidisco quando nell’opera d’arte s’inserisce la bruttezza perché – sarà un mio limite – ma ancora mi piacciono le cose ben fatte (fossero anche volutamente brutte). Senza entrare nell’annosa questione del bello e del brutto, categorie fin troppo discusse nel mondo dell’arte, sono subito al punto di questa riflessione solleticando il lettore a meditare su come l’attitudine al Kitsch praticata dall’arte, sia puntualmente raccolta dalle masse. A rigore del vero va detto che il Kitsch, cioè il cattivo gusto dal tedesco kɪtʃ, è stato a suo tempo brillantemente raccolto dal mondo dell’arte in quanto provocazione, dunque – se vogliamo si potrebbe affermare che il cattivo gusto non ha mai veramente abbandonato la maggioranza delle persone, tantomeno l’arte è mai riuscita a invertire il gusto comune da cattivo a buono. Prova ne è l’imponente barca, riproduzione del Titanic lunga 26 metri per 7 di altezza, approdata in Piazza Salotto a Pescara lo scorso 29 novembre che, in teoria, con le buone credenziali di Luci d’Artista, in questo momento costituirebbe l’attrattiva turistica cittadina che miracolosamente dovrebbe incentivare i consumi.
“Istallazioni come questa”, suggerisce Andrea Guastella scrivendo da Ragusa dove, in una sorta di revival di Fascisti su Marte, l’amministrazione comunale ha concesso di impiantare per le feste una ruota panoramica gigante in una piazza di scuola piacentiniana, “sono come il viagra gratis ai novantenni: un attimo di gloria e poi lo schianto”.
Come ho affermato all’inizio, non ho nulla in contrario all’eccesso consumistico sotteso a questo intervento, tantomeno mi sento di affermare che questa roba, ovviamente Kitsch poiché manchevole di creatività e originalità, cose che di norma si associano dell’autentica arte, sia effettivamente brutta. Non lo è davvero. Per certi aspetti è gradevole e fa colore e ha tante, tante luci ammalianti. Non voglio neanche dire sia offensiva – come in molti hanno affermato – chiamarle Luci d’artista (benché non realizzate in questo caso da noti artisti contemporanei) perché la definizione d’artista va associata al fatto di essere qualcosa che nasce dal presupposto di non essere solo ornamentale. Infatti, la storia delle Luci d’Artista di Torino e poi Salerno non ingloba totalmente solo operazioni degli artisti ma ne contempla anche di altra natura la cui forma esula dalle tradizionali luci natalizie. E anche perché…diciamoci la verità…ne abbiamo viste anche di brutte di luci firmate dagli artisti.
Allora dove sta la bruttezza di questa barca? Sta nell’ipocrisia di pensare che bastino più luci a risolvere l’annientamento dei centri storici – spendendo un mucchio di soldi – senza proporre soluzioni davvero capaci di contrastare la grande distribuzione. Sta nell’ipocrisia di utilizzare la parola arte, non facendo arte, non capendola proprio, pensando che questa mascheri meglio il generale senso di deriva. Sta nel non avere un progetto per la loro collocazione che vede mescolarsi delfini a immagini di Trilli, la fatina di Peter Pan, senza un vero perché e sta, infine, nella confusione visiva fra questa barca luminosa e quella, ad esempio, di BARCA NOSTRA di Christoph Büchel. Si proprio la famosa barca della Biennale, quella affondata il 18 aprile 2015, nel canale di Sicilia, diventata monumento collettivo e commemorativo alla migrazione contemporanea. Proprio quella barca, pericolosamente tendente a un vortice voyeuristico che annulla il senso della stessa, proprio quella barca che ha reso la realtà paritetica alla fiction.
Il Titanic ci ha messo più di 100 anni a trasformarsi da tragedia in attrazione turistica, ma anche questa è un’ipocrisia che rimbalza di città in città senza una vera definizione. A Lanciano, a pochi chilometri da Pescara c’è l’albero di Natale a forma di iceberg per riflettere sullo scioglimento dei ghiacciai. Si può fingere tutto, anche di riflettere purché sia a posto la coscienza.