Jacopo Benassi rintraccia quella storica affinità elettiva tra fotografia, musica e performance, concentrando la sua attenzione sulle atmosfere underground dei club, in cui risuona il punk e la gente poga. Dalla luce dei flash emergono dettagli di corpi e situazioni di vita notturna, in cui è fortissimo il ruolo della musica (si pensi all’esperienza del club Btomic, gestito dallo stesso fotografo con alcuni amici). Ma è il suo corpo il comune denominatore, dalle fotografie dei suoi incontri sessuali agli autoritratti, fino ai video e alle performance. In Punk is Dead (2018) Benassi passa il tempo a pettinarsi i capelli, mentre in Play (2019) si esibisce nudo alla batteria, in una jam session sfiancante in cui passa dal rullante e i piatti al suo corpo, ma senza concederci nel video nessun suono. Tutto è concentrato sul bianco e nero possente e lucido che contraddistingue anche lo stile delle sue foto. Ma nella performance Benassi plays Benassi (2018) ecco restituirci il suono del suo stesso corpo, che registra e campiona con microfoni radiocomandati, mentre nel frattempo scatta fotografie che vengono proiettate a grandi dimensioni in tempo reale. In Rollers (2019) la performer Sissi pattina freneticamente al buio mentre Benassi campiona e suona sempre più forte i suoni generati dal passaggio dei pattini su due pannelli metallici, posizionati rispettivamente su di un microfono e una chitarra. Quando il climax è raggiunto, Benassi inizia a fotografare, illuminando la sala con la violenza dei suoi flash e proiettando in tempo reale le immagini catturate.
Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha inaugurato l’otto settembre la sua mostra Vuoto, a cura di Elena Magini, che riunisce venticinque anni di lavoro e prosegue l’indagine del Centro Pecci sul corpo, l’identità e il genere attraverso il mezzo fotografico. “Credo infatti- spiega la Direttrice Cristiana Perrella- che questi temi, con tutte le loro complessità e contraddizioni, siano oggi al centro di un dibattito rivoluzionario e che l’arte abbia in questo dibattito un ruolo riconosciuto”.
Nell’intervista realizzata per l’occasione Benassi ci parla di punk, danza e corpo:
Sibilla Panerai: Hai aperto Talkinass Paper and Records, prodotto magazine e CD live di artisti della scena underground e hai collaborato con il direttore artistico Federico Pepe a COCO, un progetto di musica e videoarte. Come è nata la connessione tra musica e performance e come si sta evolvendo nella tua produzione?
Jacopo Benassi: La musica è stata sempre fondamentale nella mia vita, non sono mai riuscita a viverla come tutti i ragazzetti che prendono uno strumento in mano e fanno punk! Io il punk l’ho suonato da subito attraverso le fotografie. La prima foto che ho fatto è stata ad un magnetofono anni ’50 con infilate dentro delle fotografie della band Fall Out, che io stesso avevo rifotografato e stampando poi da me la foto finale (male!). Ho fatto il processo inverso, ho fotografato per trent’anni e ora suono, ovvero cado sugli strumenti e loro suonano! Più punk di così! E quest’anno con Federico finiremo il progetto COCO con un ultimo film.
SP: Penso alla documentazione dei tuoi incontri sessuali ma soprattutto ai dettagli fisici di alcune tue fotografie, cosa più ti affascina della narrazione del corpo?
JB: Non sono incontri, sono tatuaggi che non puoi cancellare. Più che una documentazione era una rivoluzione interiore. Nei corpi vedo sculture classiche di gesso o marmo, ma più di gesso perché i corpi sono fragili.
SP: No Title Yet! è uno spettacolo di fotografia e performance che hai creato con i Kinkaleri. Che relazione intercorre nel tuo lavoro tra questi due linguaggi?
JB: La relazione è la danza, che io amo da sempre. Trisha Brown diceva che anche cadere è danza. Ecco, io cado e suono, danzo e fotografo! Con i Kinkaleri ho realizzato il mio sogno di salire sul palcoscenico, e vi invito il 16 e 17 ottobre alla performance che faremo al Pecci, una sorta di concerto live di trenta minuti, che abbiamo presentato allo Short Theatre di Roma.