Milena Becci: ITALIA REVISITED #1. Campionario per immagini è la tua ultima personale alla Fondazione Sabe per l’arte ma è anche il titolo del libro d’artista in cui hai campionato immagini del paesaggio italiano riprese con la macchina fotografica secondo, naturalmente, il tuo modo di guardare i luoghi. Iniziamo da lì: com’è nata questa pubblicazione e quanti anni di scatti vi sono racchiusi?
Massimo Baldini: L’intento, come indica il titolo Italia Revisited, era quello di un confronto/sviluppo rispetto al Viaggio in Italia dei fotografi riuniti attorno a Luigi Ghirri, di cui parlerà più compiutamente Claudio Marra nella sua conferenza del 13 giugno alla Fondazione Sabe. Da quel viaggio sono trascorsi esattamente 40 anni durante i quali il paesaggio italiano ha subito trasformazioni profondissime, soprattutto per la crescita di un sistema produttivo diffuso in maniera pulviscolare sul territorio, che mi è sembrato necessario documentare senza censure o il filtro della nostalgia. Da qui l’idea del campionario che abbiamo cercato di concretizzare nelle peculiarità del libro d’artista e di allestimento della mostra. I primi scatti di questo progetto risalgono al 2014, quindi parliamo di un lavoro che copre ormai un decennio.
Milena Becci: Umorismo, incongruenze e bizzarre interazioni caratterizzano le opere esposte in mostra: un bronzo di Riace garantisce la segnalazione di TripAdvisor e il decoratore di una pizzeria cita Edvard Munch, solo per fare degli esempi. Pensi che il mezzo fotografico sia il più adatto a rendere visibili a tutti le contraddizioni del mondo in cui viviamo? Come vivi la fotografia in questo senso e quali sono i modelli a cui guardi?
Massimo Baldini: Sì, penso che la fotografia sia particolarmente capace – più della parola scritta, ad esempio – di svelare quelle contraddizioni. L’ambiente in cui oggi viviamo ha raggiunto un grado di complessità inedito nella storia umana, dove complessità significa contaminazioni, stratificazioni, accumuli, incongruenze. Non vorrei però suggerire che le mie foto abbiano solo uno scopo di denuncia. In quella complessità ci sono allo stesso tempo relazioni inattese e stimolanti, immaginazione, invenzioni e anche nuove, strane forme di bellezza, che ugualmente ho cercato di mostrare. Tra i fotografi attratti da questo straordinario crogiolo mi limito a citare Martin Parr, senza il quale la conoscenza che abbiamo dell’Inghilterra e degli inglesi sarebbe molto più scarna. In modo simile, spero di contribuire a una conoscenza più ricca dell’Italia e degli italiani.
Milena Becci: Nel comunicato stampa della mostra si legge: Italia Revisited è un progetto di lungo periodo articolato in più segmenti. Puoi spiegarci il senso di questa frase e svelarci se c’è, da parte tua, la volontà di protrarlo nel tempo? Lo consideri terminato o la moltitudine di contrasti che ci circondano ha ancora bisogno di essere registrata?
Massimo Baldini: L’archivio di Italia Revisited contiene oggi più di 1200 foto e altre ne vado aggiungendo. Ma non spaventatevi: non intendo certamente presentarle tutte in mostre o libri. Mi auguro che a questa prima selezione (da cui il contrassegno #1) ne possano seguire ancora un paio, ma penso che tutto l’archivio abbia un suo valore documentario e mi piacerebbe, in futuro, renderlo accessibile online.
Milena Becci: Per la Fondazione Sabe è stato studiato un nuovo allestimento di Italia Revisited che era già stato presentato nel 2023 al Baraccano di Bologna. Che criteri ha seguito questo nuovo setup e cosa è stato modificato rispetto all’anno scorso?
Claudio Marra: Quello ospitato negli spazi della Fondazione Sabe non è un semplice riallestimento della mostra proposta al Baraccano di Bologna nel 2023 ma qualcosa di, almeno parzialmente, diverso. In particolare si è pensato di proporre alcuni ingrandimenti delle foto, che originariamente misurano tutte 30 x 36, fino a una misura di 180 x 180, stampandole su un materiale plastico molto interessante e lasciandole appese come una sorta di arazzo pop. La scelta di utilizzare questi maxi-ingrandimenti non è stata pensata, almeno da parte mia, come semplice modalità di valorizzazione visiva delle immagini stesse, ma come intervento sulla forma di fruizione proposta al pubblico che a questo punto, proprio in virtù dell’ingrandimento, ha la possibilità di un confronto che si potrebbe definire fisico, corporeo, con l’opera. L’allestimento complessivo mantiene dunque da un lato la formula dell’accumulo e della sequenza già sperimentata a Bologna a cui si aggiunge l’idea che ho appena cercato di descrivere.
Milena Becci: Giovedì 13 giugno la Fondazione ospiterà la tua conferenza dal titolo Evoluzione della fotografia di paesaggio, con un approfondimento critico sulla grande stagione del paesaggismo italiano a cui, di certo, Baldini si lega. Brevemente, quali sono le origini di questo genere e come si è evoluto nel tempo?
Claudio Marra: Nella conferenza del 13 giugno cercheremo di contestualizzare storicamente l’opera di Massimo Baldini che già a partire dal titolo della mostra si pone esplicitamente nel segno della continuità, ma anche della rottura, o comunque della novità, rispetto alla produzione precedente. Il riferimento più immediato è chiaramente quello che riguarda la cosiddetta “scuola italiana di paesaggio”, cioè il fronte di autori (Barbieri, Basilico, Chiaramonte, Cresci, Guidi, Jodice i nomi più rilevanti) coagulatosi, a partire dal 1984 e dalla mostra Viaggio in Italia, attorno alla figura di Luigi Ghirri. Un insieme di autori ai quali vanno sicuramente riconosciuti molti meriti, ma che a loro volta non erano nati dal nulla, avendo alle spalle, nell’immediato, l’opera dei New Topographics americani degli anni Settanta (Robert Adams e Lewis Baltz i nomi più noti), e ancora più indietro quella di Walker Evans, autore a sua volta riportabile alla ricerca svolta a inizio Novecento da Eugène Atget. Ecco, l’intento della conferenza sarebbe quello di ricostruire, seppur sinteticamente, lo sviluppo e il senso di questa catena, determinate nella storia della fotografia e decisiva per meglio comprendere quanto proposto oggi da Massimo Baldini.