Sei progetti differenti, selezionata da una giuria di critici, giornalisti e curatori, si sono distinti per la capacità di fare della fotografia un metodo d’indagine e restituzione delle urgenze del contemporaneo.
In attesa di scoprire il vincitore, sveliamo chi sono e in cosa consiste il loro lavoro.
Alien (1992)
Alien è un’artista e fotografa la cui ricerca si concentra sull’identità con una particolare attenzione alla queerness. È anche una DJ e performer, parte della piattaforma TOMBOYS DON’T CRY.
Il progetto presentato in occasione del Premio Mila, intitolato “Bodybuilders, esplora e ridefinisce la cultura performativa drag contemporanea, andando oltre il concetto di binarismo di genere. L’opera muove da un periodo di ricerca sostenuto dal bando Italian Council 2023 nel Regno Unito, seguito da una recente indagine in Sud America. Un archivio in fieri che documenta la scena drag, collaborando con spazi gestiti da artisti, associazioni no-profit, club e locali LGBTQAI+. Amplificando la visibilità delle comunità impegnate nell’attivismo e nella diversità di genere ed espressione, il progetto offre una profonda riflessione sul valore delle arti performative contemporanee.
Silvia Bigi (1985)
Silvia Bigi esplora la dimensione politica della memoria attraverso l’utilizzo di diversi linguaggi: fotografia, installazione, performance, video, suono e disegno. Bigi parte sempre da immagini-soglia, veri e propri territori liminali dove trovare glitch, ripetizioni e anomalie, spazi in cui si insidia il rimosso collettivo, per dare vita a contro-narrazioni e anti-memorie.
Nell’estate del 2021, l’artista ha scoperto una fotografia della sua prozia Irma, unica traccia dell’immagine di quella primogenita di sette figli, che è sempre stata tenuta lontana dallo sguardo pubblico e dalle genealogie ufficiali. La sua storia d’identità negata è il punto di partenza dell’opera “Are you nobody, too?” (2022). Grazie all’app Speakpic, Bigi dà voce a Irma, che recita un monologo combinando le parole di poetesse e scrittrici del Novecento, molte delle quali hanno affrontato disturbi psichici come bipolarismo, depressione e schizofrenia. Le sue parole sfidano il concetto fragile di “sanità mentale”, ricordando la storia di tante donne che hanno subito pratiche di controllo e sottomissione.
Federica Di Pietrantonio (1996)
La ricerca artistica di Federica Di Pietrantonio si concentra sul sistema di relazioni e sui processi identitari che nascono all’interno realtà simulate/virtuali, piattaforme sociali e videogiochi. Il suo lavoro oscilla tra la realtà percepita e la qualità fittizia dei dispositivi virtuali cercando di infrangerne i confini.
In “Costant Repeat” (2023), Federica Di Pietrantonio esplora il ruolo delle sottoculture digitali focalizzandosi sulle condizioni socioeconomiche di utenti hikikomori, neet (not engaged in education, employment or training) e gold farmer (chi pratica massively multiplayer online game). Le fotografie, realizzate nel videogioco Farming Simulator 22 con modifiche al software, sono accompagnate da testimonianze online raccolte su blog e piattaforme di chat. La ricerca valorizza e preserva queste testimonianze digitali, evidenziando le complessità dell’identità e dell’appartenenza nell’era digitale.
Giulia Iacolutti (1985)
L’opera di Iacolutti indaga le relazioni umane attraverso percorsi di arte partecipativa e si articola attraverso la fotografia, la performance, il ricamo, la calcografia e l’immagine in movimento.
In “The Golden Liquid” (2024), l’artista collabora con un gruppo di ricercatori per studiare la composizione del proprio latte indagando gli effetti emotivi dell’allattamento prolungato. Il progetto include fotografie al microscopio, dettagli corporei, un film in super8 e l’analisi del tracciato oculare durante il ricordo dell’allattamento. Le immagini in orotone, con pigmenti d’oro su vetro, aggiungono una dimensione preziosa alle opere. Un lavoro multidisciplinare che evidenzia come sia possibile leggere l’allattamento come sistema di controllo.
Jacopo Rinaldi (1988)
L’opera di Jacopo Rinaldi coinvolge spesso archivi pubblici, fondi privati e database facendo emergere aspetti politici e ideologici celati dietro ai sistemi di classificazione. La sua pratica spazia dalla fotografia al video, dall’installazione al disegno coinvolgendo la scrittura, la ricerca grafica e quella editoriale.
Jacopo Rinaldi è presente in mostra con “Harald Szeemann nel suo archivio” (2017), un lavoro che esplora la relazione tra memoria e architettura attraverso la Fabbrica Rosa di Maggia, Svizzera, sede dell’archivio e studio del più noto e influente curatore d’arte contemporanea, Harald Szeemann. Il progetto documenta l’archivio prima della sua riconversione, utilizzando una scansione laser-scan realizzata con il Dipartimento di rappresentazione digitale dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. La scansione ha creato una traccia digitale dello spazio e delle persone presenti. Il lavoro include fotografie, testi, infografiche e dati architettonici che narrano la vita di Szeemann e il suo archivio.
Rui Wu (1991)
Rui Wu è curatore, fotografo e fondatore dello spazio indipendente T-space a Milano. Ha studiato scenografia e ora si occupa di fotografia.
Utilizzando un puntatore laser da circa due chilometri, Rui Wu illumina una parete rocciosa nel buio, colorandola di rosso. La fotografia, ottenuta con 20 minuti di esposizione, prende spunto da un ricordo d’infanzia dell’artista, la canzone di un vecchio film cinese che fa “quando arriverà l’armata rossa, le azalee fioriranno su tutte le colline”. In cinese, l’azalea significa “riflettere il colore rosso sulla montagna”. Il risultato è l’immagine di una montagna ora parzialmente dipinta di rosso, rappresentazione di come nostalgia, bellezza e violenza siano in grado di convivere in un unico ricordo.