Ai Weiwei è l’illustre protagonista della mostra allestita nell’ex cinema teatro, una straordinaria personale con lavori storici e recenti elaborati fra il 2019-23, di cui alcuni inediti, emblematici tutti della poliedrica personalità dell’artista. “Nella sua attività si assiste – scrive Hans Ulrich Obrist – a una costante ridefinizione, ed estensione, del concetto di arte […] il suo lavoro si sviluppa su una molteplicità di piani, estremamente complessi, ed è proprio questo ciò che lo rende unico”.
Nato a Pechino nel 1957, Ai Weiwei è pittore, scultore, architetto, urbanista, fotografo, poeta, blogger, performer e altro; come dissidente ha coniugato arte e militanza, avendo subito nella sua vita, fra l’altro, arresto e detenzione inflitti dal governo cinese, essendosi da sempre schierato in difesa dei diritti umani e della libertà individuale, perché, come egli afferma, “se non c’è libertà d’espressione, si perde la bellezza della vita”.
Proprio intorno alla libertà d’espressione è ideata la mostra che già nel titolo Neither Nor dichiara la voluta mancanza di verità assolute, fautrici – secondo Ai Weiwei – di visioni dicotomiche legate al bene e al male e di conseguenza portatrici di conflitto. L’ambito cui rimanda l’esposizione a livello concettuale è un territorio di ambiguità, laddove “il pensiero e la cultura umana – egli asserisce – compresa l’arte, trovano l’ambiente e lo spazio per prosperare”.
A questa visione rimandano le trentacinque opere esposte, fra quadri, sculture e installazioni, in un accattivante e sorprendente itinerario allestito negli spazi della galleria. Tradizione e modernità, memoria e sperimentazione, gioco e poesia vivono in osmosi nei lavori realizzati con materiali diversi, tra cui legno, porcellana e mattoncini Lego. Con i Lego che presuppongono abilità inenarrabili sono stati messi in opera molti dei dipinti in mostra, con giochi cromatici di forte effetto nell’utilizzo delle varie tinte, scelte fra le quaranta della ditta di produzione. I mattoncini giocattolo sono molto costosi ma per AI Weiwei, secondo quanto afferma nella conversazione inaugurale con Tim Marlow, direttore del Design Museum di Londra, “l’arte non ha prezzo e usare il Lego lo ha incoraggiato a compiere ciò che sembrava impossibile. Ogni lavoro realizzato può essere un gioco da bambini, ma ha sempre un significato politico molto importante”.

Le superfici costruite con una miriade di pezzi citano celeberrime opere d’arte, di cui molte del Rinascimento, proposte non come copie, bensì con un inserimento iconico fatto dall’artista che le rende diverse dall’originale e che induce a una riflessione profonda su alcune delle questioni scottanti del nostro tempo. Ad esempio in Sleeping Venus with Coat Hanger, dipinto originale attribuito a Giorgione, Ai Weiwei ha collocato, accanto alla dea romana della fertilità, l’immagine di un appendiabito a ricordare e a far riflettere sugli aborti autoindotti prima che l’interruzione della gravidanza diventasse legale. Nella sequenza poi dei tre dipinti del 2023 La Gioconda, tradotti da Leonardo da Vinci, Monna Lisa, in versione pop, è imbrattata dalla torta scagliata dagli attivisti ambientalisti. Anche nell’Ultima Cena, il grande quadro appeso alla parete del palco in posizione centrale, da dove emerge con forza nello spazio e domina la platea su cui è allestita la potente installazione Stools del 2013, con oltre duemila sgabelli in legno appoggiati a terra, presenta una differenziazione rispetto all’affresco originale: al posto di Giuda vi è il volto di Ai Weiwei stesso. L’artista, rispondendo a Tim Marlow sul perché si sia inserito nell’opera, riferisce una frase di suo padre, il poeta Ai Qing, che lo ha fatto molto pensare e che recita così: “Giuda tradisce per denaro”. La moltitudine di sgabelli provenienti da famiglie cinesi, risalenti alle dinastie Ming e Qing e all’era repubblicana, costruiti attraverso una raffinata tecnica di incastro rimasta immutata per centinaia d’anni, senza chiodi né colle, posti sul pavimento reso come un’immensa superficie lignea intreccia una ‘narrazione’ significativa del legame dell’artista con la tradizione, tradizione che la Rivoluzione Culturale e l’industrializzazione forzata avrebbero voluto cancellare.
Fra gli oggetti d’antiquariato cinese, acquistati nel tempo in gran numero da Ai Weiwei per evitarne la sparizione, è l’urna funeraria di oltre duemila fa cui si riferiscono le tre famose foto in bianco e nero del 1995, esposte di fronte a Stools e a L’Ultima cena. In esse l’artista con un’ azione meditata, ripresa come attraverso una moviola, mostra l’urna, la scaglia a terra e rimane nella stessa postura mentre questa si frantuma; due motivazioni stanno alla base della sequenza: la riflessione sul concetto di valore e la denuncia della distruzione perpetrata dalla Rivoluzione Culturale.
L’opera Pick Up Stick del 2006 è anch’essa una sorta di omaggio alla tradizione e propone nel giardino della galleria degli shangai in legno, in grande dimensione, che ricordano il gioco da tavolo diffuso in Occidente e la pratica oracolare in Cina; vicino ad essi dei grandi vasi dell’installazione “Pillar” del 2006, alti due metri, si rifanno all’illustre lavorazione della porcellana cinese a comporre nell’insieme un contesto armonico nel dinamismo della strutturazione delle due opere, in basso e verso l’alto.
La realtà della guerra vissuta dall’artista ucraina Zhanna Kadyrova, i cui lavori sono conosciuti internazionalmente, è il tema pressoché esclusivo della personale titolata Anxiety nello spazio della Cisterna. Dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio dell’offensiva russa, la ricerca di Kadyrova, caratterizzata dall’utilizzo di molteplici materiali, anche di scarto, tra cui cemento, metallo, vetro e pietra, ha dato voce alla sua tragedia personale e a quella di un popolo intero, perché l’arte non può rimanere indifferente. “Qual è il ruolo dell’artista in un paese dilaniato dalla guerra?” si domanda Kadyrova. La risposta è che “ogni gesto artistico è importante, per far sentire la propria voce” e soprattutto “il parlare della vita e della cultura dell’Ucraina di oggi”. Il grande rettangolo nero esposto, una porzione di asfalto stradale sfregiato dalle schegge, che proviene da Irpin, città colpita fortemente dall’invasione russa, è un “ready made ” per l’artista e nel titolo dichiara le coordinate del luogo di estrazione.
Altrettanto significativa è la serie in mostra di piccoli arazzi, raffiguranti scene di vita tranquilla, della tradizione ucraina, che l’artista ha recuperato in vari mercatini e modificato con la scritta, anch’essa a ricamo: Allarme antiaereo, in un voluto contrasto fra immagine e concetto scritto.
Palianytsia è il titolo dell’installazione del 2022, presentata prima d’ora in prestigiose rassegne e musei. La parola significa pane e nell’Ucraina di oggi funge da codice, in quanto la non esatta dizione tradisce la non appartenenza al paese e quindi il nemico. Costituita da un tavolo simbolo di convivialità, imbandito da pani in pietra, la cui forma è levigata dai corsi d’acqua della Transcarpazia dove Kadyrova si è rifugiata da Kiev, “Palianytsia” con le sue sculture di amara bellezza fa riflettere sull’idea di una comunità intessuta da rapporti di reciproca amicizia e sulla necessità dell’arte come pane quotidiano. Il linguaggio è ancora ossimorico, in cui le forme dialogano sul duplice piano di contenuti proposti e smentiti: pace e distruzione. Il concetto è ribadito per altro nel video dove scorrono le immagini di città europee ben riconoscibili attraversate da razzi russi: il conflitto è avvicinato e attualizzato ai nostri occhi, rompendo l’inevitabile ‘distanza’ emotiva generatasi dal vedere in tv immagini di guerra in luoghi a noi sconosciuti.
Improntato alla speranza è il progetto nato dalla volontà di Vicente Todolì, direttore artistico di Pirelli Hangar Bicocca a Milano e precedentemente di altri prestigiosi musei europei, che ha dato vita a Palmera, una località vicino a Valencia, a una Fondazione senza scopo di lucro che porta avanti un piano di diffusione e conservazione degli agrumi. Dal titolo The Circus project, il progetto di grande entità a livello socio-culturale parla della piantumazione degli agrumi in territori appartenuti alla famiglia di Todolì e via via sempre più estesi per nuove acquisizioni ad opera della Fondazione, in un costante recupero di terre votate così alla natura, alla biodiversità e alla fioritura che colora di bellezza l’ambiente.
Ossigeno e arte sono i temi dominanti l’impresa, nella sintesi, durante la conversazione inaugurale con Todolì, di Mario Cristiani, uno dei fondatori di Galleria Continua e di Associazione Arte Continua, organizzazione che ha intrapreso recenti campagne globali per l’acqua e la riforestazione grazie alla comunità internazionale dell’arte e ai territori locali. A Palmera, nelle parole di Cristiani, è stato ricreato una sorta di paradiso terrestre, da cui si diffonde un inno alla vita, che porta speranza nel mondo e aria buona al pianeta. Le straordinarie colture di agrumi, immortalati per secoli nelle opere d’arte, definiscono un paesaggio nuovo, sottratto a speculazioni e aprono spazi di cultura e innovazione, nella costruzione di un frutteto come un museo vivo, un “giardino – dice Todolì – fatto per il futuro, affinché altri possano goderne”.
I quattordici artisti contemporanei, di caratura internazionale, Mirosław Bałka, Tacita Dean, Nan Goldin, Paul Graham, Carsten Hӧller, Roni Horn, Cristina Iglesias, Ragnar Kjartansson, Julie Mehretu, Cildo Meireles, Matt Mullican, Antoni Muntadas, Philippe Parreno and Juliao Sarmento, che nel corso del tempo hanno sostenuto la fondazione e lavorato a contatto con Todolì, presentano un’opera a testa esposta all’Arco de’ Becci, costituita da fotografie, incisioni o monotipo, in omaggio a un’operazione condivisa per un mondo migliore.