Luigi Biondo
Luigi Biondo (immagine dal profilo Facebook)

Il direttore delle cose normali: Luigi Biondo

In Sicilia i direttori dei musei regionali non vengono scelti attraverso bandi pubblici, ma tra gli alti funzionari dell’amministrazione. Questa politica, in una realtà complessa come quella siciliana e, soprattutto, ai sensi dell’attuale quadro legislativo, è la sola praticabile. E non è neanche detto sia sbagliata: somma infatti, al curriculum scientifico, comunque indispensabile, competenze amministrative conclamate.

Architetto, già direttore del trapanese Museo Pepoli, Luigi Biondo si è occupato per quattro lustri di restauri per la Soprintendenza di Trapani, ha diretto prima il servizio storico-artistico e poi il Parco archeologico di Pantelleria e ha ricevendo anche un incarico ad interim come direttore del Parco di Segesta. Da due anni è al timone di Riso, il museo regionale di arte moderna e contemporanea di Palermo. Riuscirà, come lui stesso si augura, ad aumentarne il pubblico e, al contempo, a farne un faro, un punto di riferimento per l’intero bacino del Mediterraneo? Nel frattempo – e non è notizia da poco – il museo ricomincia ad acquistare.

Sei il direttore del museo Riso già da un po’.
Tra una settimana saranno due anni.

E sono stati anni mica da poco: anni in cui ne abbiamo viste di tutti i colori, in cui il mondo dell’arte è stato sferzato da una crisi inimmaginabile. La pandemia, nello specifico, ha determinato un crollo delle presenze, ha costretto ad assumere misure di contenimento e controllo rigorose e in generale a intraprendere ristrutturazioni. Se vi era un buon momento per iniziare a dirigere un museo come questo, non è toccato certo a te.
I miei dolori erano iniziati già prima della pandemia. Confesso molto candidamente che arrivare dalla provincia, ammesso e non concesso che le provincie siciliane siano davvero tali, nel senso di ambienti periferici e appartati, direttamente nella capitale della Sicilia, non è stata esattamente una passeggiata di salute. Non era nei miei piani, ma da subito, anche grazie ai collaboratori straordinari che ho incontrato, si è trattato di un’esperienza ricca e stimolante. Ciò che più di tutto mi ha sorpreso è stato come quanto avessi seminato altrove – questa di Palermo è la mia terza sede dopo Trapani e Agrigento – io lo abbia raccolto qui. 

Una bella gatta da pelare!
Se dovessi scegliermi un titolo, sarei probabilmente il direttore delle cose normali.

La normalità ahimè non è la regola: è sempre più spesso l’eccezione.
Esatto. 

C’è stata anche una redistribuzione degli spazi. Attualmente da Riso dipendono luoghi come l’Albergo delle Povere o il Castello di Caccamo.
Periodicamente la Regione Sicilia procede a una rivisitazione delle sedi e degli organici. Smembrando queste realtà – originariamente chiamate poli museali – sempre più povere di personale e di mezzi, e ricomponendole in un’ottica di ottimizzazione funzionale, si è giunti alla situazione attuale, per cui Riso comprende cinque sedi: tre a Palermo – Palazzo Riso, la Loggia dell’Incoronazione e l’Albergo delle Povere – e due in provincia – il Palazzo d’Aumale a Terrasini e il Castello di Caccamo sulle Madonie. Gestiamo inoltre la Collezione Gemellaro: una meravigliosa raccolta paleontologica che spero prima o poi di tirare fuori dai magazzini e di mostrare al grande pubblico. È una struttura che conta circa un centinaio di dipendenti, con pochissimo personale specializzato. Una piccola squadra, fortunatamente molto motivata, che sta cercando con tutte le forze di sfatare il mito del museo di arte moderna e contemporanea come luogo di nicchia, riservato a pochi eletti.

Una specie di Eliso, di intoccabile torre d’avorio.
Ho sempre pensato al mio posto di lavoro come a una casa. Mi piace l’immagine della casa perché è un luogo comune, in cui viviamo in maniera confortevole e in cui torniamo spesso.

Tanto più che la specializzazione eccessiva, nel mondo dell’arte contemporanea, viene oggi sovente considerata un limite anziché un punto di forza, e ciò che si cerca, a volte anche con un di più di affanno, è stabilire contatti, inferenze tra diversi luoghi o discipline. 
Ti dicevo di quanto sia stata importante la mia esperienza provinciale: nelle provincie c’è una fucina di energie tanto più intense e vive quanto potenziali, che magari rimangono inespresse proprio a causa della forza attrattiva della capitale, o, per la Sicilia orientale, di una grande città come Catania. Penso valga la pena di fare della periferia il centro. O almeno di provarci.

Mi pare però che alcune scelte dell’Amministrazione non vadano in questa direzione. Mi riferisco alla scelta di ribattezzare Riso “Museo di arte moderna e contemporanea di Palermo” e non “della Sicilia”, come originariamente si chiamava.
La denominazione non è particolarmente felice. Ma nella sostanza non c’è alcuna diminutio del ruolo del museo.

Lo dico perché sino a una decina di anni fa si parlava di un museo diffuso, con antenne in tutta la Sicilia.
La mia idea è che il museo sia appunto una specie di hub, di riferimento per la regione. Certo possiamo fare passi avanti, in un dialogo sempre più serrato col resto dell’Isola. 

Che non lesina sorprese. Un mio amico poeta la ha battezzata “il sesto continente sconosciuto, piccolo e clandestino”.
La Sicilia, per come la vedo io, è una delle regioni più contemporanee del Mediterraneo. Giusto ieri ho visitato il Mac di Gibellina.

E non è che a Gibellina i musei scarseggino.
Ciò non ostante, si è avvertita la necessità di costituire un museo civico. E lo si è fatto con una competenza e una sensibilità davvero fuori dal comune.

Il problema però non è tanto creare musei nuovi, quanto far funzionare quelli che abbiamo già. Come è finita con il Sacs, lo Sportello per l’Arte Contemporanea della Sicilia gestito da Riso?
Molti lo ritengono un’esperienza chiusa. Io credo però che un vivaio centrato sul contemporaneo sia indispensabile.

È un’iniziativa assolutamente da rilanciare. Non si può prescindere da un archivio dell’arte in Sicilia. E se non lo fa il Riso, il più importante museo siciliano dedicato al contemporaneo e uno dei maggiori in Italia, chi può farlo?
Il museo ha scelto e certificato alcuni artisti e la loro produzione. Questa scelta deve avere un riscontro. Molto presto pubblicheremo online i materiali archiviati, producendo non una celebrazione autoreferenziale, ma un valido strumento di lavoro. Non possiamo limitarci a ospitare grandi artisti stranieri. Abbiamo l’obbligo morale di promuovere i talenti locali o chi ha scelto la Sicilia come ambiente privilegiato per portare avanti una ricerca.

Una mostra di cui sei particolarmente soddisfatto?
La mostra Blocks all’Albergo delle Povere, che ha portato a Palermo 28 artisti da tutto il mondo per superare i confini e aprirsi al confronto. E poi la mostra di Shay Frish in dialogo col compianto Boltanski e le antologiche di Ruggiano e Calascibetta.

Praticamente tutte! Qualche anticipazione sui programmi del museo?
Dopo la mostra di Calascibetta, ne attendiamo un’altra, WAAG, We Are All Greeks, attualmente in corso a Salonicco. Il 2022 sarà infine concluso a natale da una mostra di Ziganoi. Per nostra fortuna l’attuale Assessore alla Cultura e all’Identità Siciliana [dal cui Assessorato, che in Sicilia è praticamente un dicastero, dipende il Museo Riso, N.d.R.] viene da una famiglia di artisti ed è, di suo, un addetto ai lavori. Sono fiducioso che la sua politica di valorizzazione del territorio avrà un ottimo riscontro. 

Il PAC2020 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea va a finanziare con 3 milioni di euro acquisizioni, committenze e valorizzazioni di donazioni. Riso è tra i pochissimi beneficiari dei fondi per acquisizioni.
Ne siamo orgogliosi. È il risultato di un continuo lavoro di progettazione. Questi fondi ci consentiranno, dopo quasi vent’anni, di tornare ad acquistare opere d’arte. Speriamo sia solo l’inizio.