“Daverio ha una bisnonna di Misilmeri”. “Ma dici Daverio?”. “Gratta e vinci, scava e trova. Un parente scappa sempre”. “Ma quali, iddu svevu è. Milanisi sinu ‘e natichi”. “Eccellenza, lascia stari. Ci penso iu”. “Sei sicuro? Forse stiamo esagerando”. “Eccellenza, grornò, ‘u sacciu iu cc’ha fari. Mi creda, so iu come mi debbu cumportari ccu genti comu a iddu”, “Ma un calibro di quel genere, nun ti pare esageruto?”. “Eccellenza, lo stronca”. “Allura va, ti benedicu”. E, al cospetto della giunta di Palazzolo Acreide, riunita in sessione plenaria mentre il paese intero dormiva alluccuto, il segretario del sindaco si alzò teatralmente per recarsi dal cugino, che aveva un cognato che lavorava da Bartolini, a chiedergli il favore. C’era un traporto eccezionale da compiere, e lui non avrebbe affidato a nessun altro, che non fosse suo cugino (come poi si fidasse altrettanto ciecamente del cognato del cugino, è mistero della fede), la mitragliata di cannoli fumanti che il miglior pasticciere di Siracusa aveva preparato. Dovevano giungere a Milano la mattina dopo, in tempo perché Daverio registrasse soddisfatto la puntata di quel programma eccezionale, come si chiamava, il morbo dei gorghi, insomma quello lì, in cui Palazzolo gareggiava coi pulenta. Le cose, come sappiamo, assunsero tristemente un’altra piega. Colpa del cugino, del cognato, di Bartolini o di quei fanghi di Bobbio, capaci forse di toccare una corda più profonda del gran cuore del giurato? Non lo sapremo mai. Un’unica certezza: di là della sciatteria, della vacuità, della volgare superficialità di affondi sulla Sicilia che rosica in quanto terrona, che meritano un giudizio laterale, preferire champagne e foie gras ai cannoli e alla cassata è un diritto universale. O dovremo negarci persino il piacere di compiangere il vicino? Daverio sputa sui cannoli? E io faccio lo stesso – mi riesce facile: sono a dieta – sul risotto alla milanese. E, pur disponendomi ad accogliere le reazioni legittime di chi si sentirà leso dal mio comportamento, non perciò dovrò subire la valanga di insulti – da “Daverio bullshit” a “muori infame bastardo” – che sta ormai diventando la cifra stilistica del web. Perché? È ovvio: figli di quella che Bonami ha molto opportunamente chiamato la civiltà del Riconoscimento, e cioè della socializzazione – che è cosa diversa dal socialismo – universale, siamo così concentrati su noi stessi da credere che gli sproloqui di un eccentrico signore siano rivolti a noi, come direbbe Catarella, “di persona personalmente”. Non è così: l’arte è finzione, è conflitto di interesse, è pregiudizio. Lasciamo, per una volta, Daverio al suo legittimo mestiere.
