Sospensione, silenzio e riflessione sullo scorrere del tempo e sul suo stringere luoghi fluviali e marini, come il Tevere di Roma e la Laguna veneziana, sono le scansioni che cominciano l’esposizione di Iginio De Luca, artista caro e noto per i suoi blitz e per il suo impegno verso il mutamento dei valori del nostro presente.
IN DIALOGO CON L’ARTISTA…
LC. Manufatti di uso quotidiano affiorano come depositi oggettuali di archeologia industriale dal limes del fiume-mare, riportando l’invisibile-sommerso junghianamente a ri-affiorare, in attesa di conciliare le contraddizioni inconsce del presente con la riemersione della materia visibile, generando turbamento e, sincronicamente, rivelazione antropologicamente manifestante la deriva sociale di un’abbacinata collettività …
IDL. La bicicletta a noleggio, il ventilatore rotto, la coperta a fiori, il computer sventrato, il cerchione della macchina, prima di essere rifiuti del Tevere sono stati oggetti a tempo determinato a Roma, sopra in città; un’esistenza circostanziata, prestabilita e funzionale che poco campo lasciava all’immaginazione, all’evasione svincolata da un opportunismo umano così troppo interessato. Poi c’è stata la disfatta e il fallimento, la caduta e la stagnazione, l’oggetto entra in un’altra dimensione e, trasfigurato dopo anni di apnea, riemerge, varca il confine dell’acqua per quello dell’aria. È una sublimazione alchemica che, paradossalmente, nell’abbandono e nella mancanza di cura trova riscatto estetico e spirituale, libertà di rinascere dall’abisso che ci guarda dentro, come diceva Nietzsche.
Queste entità, per me, sono autoritratti, sono spazi di meditazione e fusioni identitarie nella contemplazione animistica delle cose: io sono il piumone, la bicicletta, la busta di plastica, io sono adagiato sul letto del fiume e della Laguna insieme a loro, come Ofelia nel dipinto di Millais.
Il lavoro diventa specchio etico, visivo e acustico, pretesto allegorico a valenza universale per riflettere e riflettersi negli estremi opposti e contraddittori dell’esistenza, mistici e pratici, lirici e prosaici.
In questa mostra a Venezia da Marina Bastianello, le immagini tonali, ovattate nei passaggi cromatici, acquistano grandezza e tridimensionalità sotto forma di estese quinte parietali, oggetti sonori e light-box lampeggianti; approdano in Laguna sponsorizzando l’inutile, promuovono in chiave tragica e romantica il frammento, un elogio decadente all’inservibile.


ph. Luis Do Rosario
LC. Potremo accostare a questa eterna vanitas, che genera la caduta per sospingere alla consapevolezza, il romanzo “La caduta” di Camus. La perdita di significato e la consapevolezza dell’assurdo sono compendio dell’atlante dell’operato. Non sono solo autoritratti ma anche stringenti fili di connessione con l’estetica e la filosofia del nostro tempo.
La bellezza del frammento e della transitorietà-usura degli oggetti è valore estetico e spirituale che aggiungi al lavoro, rispondendo con l’inserimento della memoria del vissuto e della storia che ha circoscritto e continuato a narrare l’evoluzione di una produzione industriale…
IDL. Non a caso la mostra s’intitola “Lo gran mar dell’essere”, frase tratta da Dante (Par. I, 103-117) quando accetta per vere le teorie aristoteliche, e Beatrice le espone in modo chiarissimo al principio dell’ascesa di Dante verso l’Empireo. Una condizione metaforica dell’uomo stagnante, sospesa nei tempi e nei luoghi della confluenza di acque e geografie fluviali e lagunari che si apre a molteplici interpretazioni dai toni profondi, drammatici e che si coniuga alle dimensioni esistenziali della caduta, dell’oblio e dell’abbandono. La discesa agli inferi, nelle viscere melmose di Roma e Venezia, attiva riflessioni grandangolari, simboliche, che evidenziano questioni profonde sul nostro io respinto, le paure inconsce, l’abisso emozionale che spesso giace nel fondale soggettivo del quotidiano. Gli aspetti ambientali di degrado e le urgenze ecologiche dei grandi centri urbani, in questo caso diventano pretesti, didascalie escatologiche per un respiro filosofico e una visione più ampia. Tutti i lavori esposti vivono questa tensione osmotica tra mare e fiume, una simbiosi liquida, uno scambio mutevole di appartenenze che immerge lo spettatore dentro un mondo perturbante, un riscatto esistenziale per gli oggetti e per lui stesso, un’ultima possibilità di sopravvivenza dell’inservibile che trova il suo punto di redenzione e deflagrante liberazione nell’arte.


Non c’è condivisione senza la dimensione estetica, la forma simbolica e naturalmente aperta del darsi del mondo. Richiamando Rancière, Claire Bishop dichiara che l’estetica non necessita di essere sacrificata sull’altare del cambiamento sociale, perché contiene già sempre questa promessa di emancipazione (1); l’arte trova la bellezza nei luoghi più impensabili e distanti, nelle memorie industriali e domestiche di carcasse urbane, una lettura multiforme e divergente della materia che attinge dal passato e che ora se ne libera, aggiornandosi a tante interpretazioni, a difformi e alternative traiettorie dell’anima.
L’arte abita le difficoltà, da queste ne trae linfa vitale. Il problema è l’incipit stesso della soluzione, insieme alla condanna, la salvezza e la conseguente risalita.
1-C. Bishop, Inferni artificiali, Luca Sossella Editore, Roma 2015.
LC. Non c’è niente che possa limitari nell’iniziare a definire l’archeologia e le memorie industriali, domestiche e urbane come nuovi monumenti della nostra civiltà, attingendo a quel paradosso della memoria, il nonumento, ormai desueto nella forma e nel valore. I processi sono mutati in relazione all’ultima storicità, è innegabile. La melma – che stringe i lavori riportati alla luce – è simbolo di una nuova cifra e di un rinnovato peso specifico della memoria. La risalita è warburghianamente successiva a quell’esperienza vissuta come matrice primaria dell’espressione della commozione tragica. È affidata al “tempo allo stato puro” della musica greca, tanto cara a Nietzsche, oggi da individuarsi in quel caotico susseguirsi di stimoli, anch’essi tutti tesi al divenire icone, senza recare il calibro sacro che è in grado di connotare le icone contemporanee. È, forse, partendo da una desacralizzazione che si può ripensare una nuova ascesi…
IDL. Ti rispondo attingendo dal testo che approfondiva la mia performance sonora alla Nuvola dell’Eur, a cura di Daniela Cotimbo, in occasione della Fiera d’arte a novembre 2024 dal titolo “Scarti Sonori”.
Il mio intervento voleva essere una forma acustica di denuncia audio-poetica in grado di rendere udibile il celato, il sommerso. Durante lo svolgersi della Fiera, ho estratto sempre dai detriti del Tevere suoni drammatici e sgrammaticati, audio-stratificazioni del tempo che scuotevano lo spettatore, provocato dallo stridore sinistro di lamiere contorte e altri elementi recuperati. L’azione si è svolta in un turbinio di fragori, un concerto atipico e corale di una melma sonora, una riesumazione viscerale degli oggetti che si sposta dai confini tattili della materia fino alla sua liberazione spirituale, divenendo essenza impalpabile, atemporale, un’ascesi acustica per tutti gli scarti del vivere.
A ribadire nell’ultima mia mostra veneziana un fil rouge con questa performance sonora, Cristiana Perrella parla di “…uno dei rottami, una lastra di metallo corrosa, contorta e arrugginita, salvato dalle acque, deposto sul pavimento in una sala più piccola, vuota. Un meccanismo elettronico lo fa vibrare, sempre secondo il codice Morse, trasmettendo il bollettino delle maree veneziane. Il suono emesso è misterioso, inquietante, sembra provenire dagli abissi, da un relitto sommerso, e si diffonde in tutto lo spazio”.
Tempo e suono allo stato puro che diventa estensione orizzontale, dimensione immanente, metafisica.
Provo a desacralizzarmi cambiando radicalmente gioco e virare bruscamente su un testo iconico e una musica storica di Lucio Battisti e Mogol, all’inizio degli anni ’70. Le infinite discese e risalite, nel compulsivo oscillare dell’essere, un’ulteriore ascesi della mia memoria nostalgica che vale anche il presente.
Io vorrei… Non Vorrei… Ma se vuoi
…Come può uno scoglio arginare il mare anche se non voglio, torno già a volare
Le distese azzurre e le verdi terre, le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi ancora in alto con un grande salto…


LO GRAN MAR DELL’ESSERE
Iginio De Luca
MARINA BASTIANELLO GALLERY VENICE
Calle de l’Aseo, 1865A, Venezia VE, Italia
Info: news@marinabastianellogallery.com
Tel. +39 3666875619