Emanuele Cavalli, Figura - rosso, 1943, fotografia Monkeys Video Lab

Gli archivi di Emanuele Cavalli e l’invenzione della Scuola romana

Per la prima volta a Emanuele Cavalli viene dedicata una mostra importante in un museo pubblico italiano, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Un risarcimento tardivo per il pittore, pugliese di origine e romano per apprendistato e vocazione, ingiustamente dimenticato dalle grandi narrazioni del Novecento pittorico. A partire dalla donazione del suo archivio personale a opera della figlia Maria Letizia Cavalli e in stretto dialogo con i documenti e gli scritti, la GNAM propone un intrigante percorso espositivo, a cura di Manuel Carrera, che ricostruisce la pittura di Cavalli negli anni in cui nasceva la Scuola romana, analizzando la sua figura in rapporto agli amici artisti accanto ai quali lavorava, in primis Capogrossi, Pirandello, Melli e Carena

Tre uomini nudi, impegnati in una conversazione che si svolge su una panchina tra un bagno e l’altro nel fiume Tevere (sullo sfondo, oltre la banchina, si profilano delle imbarcazioni ormeggiate con le loro vele raccolte), in una circolare relazione di gesti e di sguardi stanno uniti al centro del dipinto, come un gruppo scultoreo antico. Esoterico, dal significato simbolico, vagamente omoerotico, è L’amicizia del 1933, il manifesto della pittura tonale di Emanuele Cavalli (1904 – 1981) conservato al Museo civico di Anticoli Corrado, al quale è stato destinato dallo stesso artista come testimonianza di un’Arcadia ritrovata e da lui vissuta con i suoi sodali di pittura. Nel suo essere un dialogo a tre voci, il quadro è evocazione di un intreccio di relazioni, scambi, condivisioni umane e creative (e anche baruffe) tra un gruppo di artisti, allora giovani, che portano i nomi più eccellenti dell’arte italiana a Roma nel periodo tra le due guerre. In mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, quest’opera emblematica di Cavalli si trova giustamente affiancata al Temporale di Giuseppe Capogrossi, un dipinto dello stesso anno facente parte della collezione della GNAM. Identica l’ambientazione estiva, fluviale e balneare, ovvero il galleggiante Tofini tra i ponti tiberini Risorgimento e Matteotti, su cui grava una cupa cappa di incanto e presagio; identici i bagnanti assorti e sospesi in un’atmosfera senza tempo, che non smette di affascinarci. Entrambe le opere vennero esposte nel 1933 a Parigi alla Galerie Jacques Bonjean, insieme a quelle di Corrado Cagli e Ezio Sclavi, in un’importante mostra intitolata Exposition des peintres romains, a proposito della quale il critico Waldemar George conia la fortunata definizione di “Scuola di Roma”. Per la prima volta dopo quasi novant’anni, i due quadri si ritrovano ancora insieme nello stesso contesto espositivo, riuniti per raccontare l’amicizia tra i due pittori, un legame profondo e fecondo che aiuta a capire e a contestualizzare la grandezza e l’importanza dell’arte di Emanuele Cavalli, gigante dimenticato della Scuola romana.

A partire da questo confronto fraterno tra Cavalli e Capogrossi (i due erano vicini di casa sia a Roma che ad Anticoli Corrado), è seducente e mitico il cuore della bella mostra curata con sapiente equilibrio da Manuel Carrera e allestita, dall’11 febbraio al 20 marzo 2022, nella Sala Aldrovandi della più prestigiosa istituzione museale italiana. Ha il sapore di un risarcimento tardivo per il pittore raffinato e meraviglioso, pugliese di origine (nato precisamente nella stessa Lucera di Giuseppe Ar) e romano per apprendistato e vocazione, tra gli animatori del cenacolo artistico di Anticoli Corrado nella sua stagione più felice, tuttavia ingiustamente dimenticato dalle grandi narrazioni del Novecento pittorico. Una dimenticanza che già iniziò a colpirlo in vita, in quel dopoguerra sedotto dalle sirene della cultura americana, dopo il suo trasferimento da Roma nella più provinciale Firenze dove andò a insegnare all’Accademia di belle arti, quando la bussola dell’arte si orientava in direzioni lontane dalla figurazione che Cavalli decise caparbiamente di non abbandonare mai, restando fedele a sé stesso, inesausto dosatore dei toni che nella sua pittura si concertano e risuonano come valori musicali, al ritmo delle geometrie che costruiscono le forme e i volumi. Già nel focus sul movimento della pittura romana dagli anni Trenta al dopoguerra che fu fatto all’interno della Quadriennale romana del 1959, Cavalli fu escluso e da lì fu lui, amareggiato, a ripiegarsi nel suo privato, senza smettere di dipingere.

Il Novecento però è ancora tutto da ripensare. E finalmente, a quarant’anni dalla sua morte e grazie all’inesausto impegno della figlia Maria Letizia, venuta a mancare nel 2021, dell’Associazione Emanuele Cavalli e dello storico dell’arte Carrera, ecco la prima mostra importante in un museo nazionale a lui interamente dedicata (senza dimenticare la mostra curata sempre da Carrera ad Anticoli Corrado nel 2019). Custode di una memoria personale e culturale importantissima, prima della sua dipartita, la figlia del pittore ha voluto donare alla GNAM il prezioso archivio personale del padre, che spazia dalle carte familiari che ne precedono la nascita alla documentazione delle mostre organizzate dopo la sua morte. La mostra Emanuele Cavalli e la Scuola romana: attraverso gli archivi mette quindi in relazione questi documenti, ora confluiti nel fondo archivistico del museo, con il percorso artistico del pittore e con le opere che ne ricostruiscono le fasi e le evoluzioni, dedicando un’attenzione specifica alle sperimentazioni da lui condotte tra le due guerre, nel fermento creativo della Scuola romana, appunto. È in questo momento cruciale per la storia dell’Italia che Cavalli plasma la sua figura di artista dotato di un linguaggio pittorico personale, attraverso un modo peculiare di intendere la figurazione, inconfondibile e profondo, complesso e ricco di sfaccettature, con innumerevoli rimandi alla musica, alle discipline esoteriche e all’inesauribile dialettica tra antico e contemporaneo. Una voce propria, tanto intonata e chiara da poter cantare anche un canto solitario, come ha fatto negli ultimi anni della sua vita, ma che con grande disponibilità al confronto si è accordata a quella delle personalità più importanti e più influenti dell’arte romana tra gli anni Venti e Trenta.

Sono le carte dell’archivio a fare da guida lungo l’avvincente percorso espositivo: la corrispondenza, i diari, le testimonianze e i cataloghi delle mostre, gli schizzi e gli appunti, le fotografie (che rappresentano una parte, importante quanto la pittura, della ricerca artistica di Emanuele Cavalli e che si lasciano apprezzare in un’apposita sezione della mostra). Una costellazione di sguardi incrociati, come nell’Amicizia da lui dipinta. Il carteggio, in particolare, va a dialogare con le lettere di altri artisti già conservate alla GNAM, permettendo di ricostruire appieno gli scambi con Capogrossi e Rolando Monti, per esempio. Ai documenti si accostano in primis le opere appartenenti alla collezione del museo, alle quali si aggiungono prestiti dagli eredi e da importanti collezioni private, evidenziando analogie compositive e iconografiche e significative divergenze. Scorrono così davanti agli occhi del visitatore gli anni della sua formazione, evocati da La Cesarina del 1921, una delle primissime tele del pittore, realizzata all’inizio dell’apprendistato presso Felice Carena al suo arrivo nella Città Eterna. La Susanna dello stesso Carena (1924) viene messa a confronto con La sposa (1934) e Bagno nel fiume (1937) di Emanuele Cavalli, composizioni monumentali nelle quali campeggiano gruppi di donne che compiono gesti ieratici, con atmosfere evocanti Piero della Francesca e la Villa dei Misteri di Pompei, in consonanza con il coevo Realismo Magico. Esoterico e intriso di malinconico fatalismo, Il Solitario del 1937 è un prestito eccezionale da una collezione privata milanese, una delle opere più celebri e affascinanti dell’intera produzione del pittore. Musa non solo di Cavalli ma anche di Capogrossi è la moglie Vera Haberfeld: una fascinosa sequenza dei ritratti della donna si specchia negli autoritratti che seguono il corso della vita del pittore, a partire da un’originaria influenza spadiniana fino al tonalismo pieno, e si confronta con altre importanti figure dipinte, come l’Abito a scacchi di Roberto Melli (1930) e il Ritratto di Luigi Pirandello realizzato dal figlio Fausto nel 1936, negli stessi giorni d’estate in cui Cavalli fotografava entrambi ad Anticoli. Melli firmava con Cavalli e Capogrossi nel fatidico ’33 il Manifesto del Primordialismo Plastico; con loro c’era all’inizio anche Corrado Cagli che poi però se ne dissociò, prendendo le distanze dagli amici. Dentro la pratica della pittura, nasce lo sforzo di una elaborazione teorica che affida al colore un ruolo centrale e primario, capace di dare impulso alla costruzione delle forme e garantire l’intero equilibrio della composizione. Apice della ricerca tonalista di Cavalli, in mostra spicca Figura – rosso appartenente al ciclo di nove ritratti da lui presentati alla Quadriennale romana del 1943, con l’intento di esplorare le gamme della tavolozza e le armonie dei colori come in un brano musicale dipinto, mettendole al servizio della descrizione psicologica degli stati d’animo di Franca, la sua compagna negli anni Quaranta. Il processo creativo di quest’opera è puntualmente descritto, passo dopo passo e pennellata su pennellata, nelle pagine del diario del pittore, che il pubblico può leggere. E, ancora, in mostra troviamo nudi e nature morte, studi di figure e composizioni di oggetti, tutti sprigionanti un unico, comune, musicalissimo magnetismo, impregnato di silenziosa spiritualità, tendente sempre all’armonia.

Anno felicissimo, per il pittore, il 2022. Oltre alla GNAM, Emanuele Cavalli si celebra con altri appuntamenti espositivi, che danno conto non solo del suo cimento pittorico ma anche del lavoro fotografico, condotto parallelamente a suo fratello Giuseppe. Dal 9 febbraio al 9 marzo al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma e a seguire dal 19 marzo al 18 aprile presso la Biblioteca Comunale Bonghi di Lucera, in provincia di Foggia, è allestita, con centotrenta scatti, la mostra Noi e l’immagine. Emanuele e Giuseppe Cavalli fotografi, a cura di Arianna Laurenti, Ilaria Schiaffini e Alessia Venditti. L’esposizione Emanuele Cavalli fotografo: gli anni di Anticoli Corrado (1935-45), a cura di Ilaria Schiaffini, è visitabile inoltre dal 12 marzo al 26 giugno presso il Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado.

Emanuele Cavalli e la Scuola romana: attraverso gli archivi 
a cura di Manuel Carrera 
dall’11 febbraio al 20 marzo 2022
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea – Sala Aldrovandi, viale delle Belle Arti 131, Roma