Mercuriale

Giuseppe Frazzetto. Mercuriale. Romanzi

È uscito da pochi giorni, per Le Farfalle, Valverde (Ct), Mercuriale. Romanzi un volume di Giuseppe Frazzetto, il nostro collaboratore autore della rubrica Solaris

Nella sua lunga attività di critico e teorico dell’arte contemporanea, Giuseppe Frazzetto si è costantemente interessato al chiarimento dei possibili rapporti fra creatività e vissuto odierni e l’ambito enigmatico del mito. Questa attenzione ha caratterizzato anche una sua attività di narratore, fino a oggi per così dire nascosta. Mercuriale. Romanzi rappresenta infatti il suo “esordio” pubblico come narratore. Il testo destruttura alcuni codici del racconto letterario, cinematografico e seriale per ricomporli in forme inusitate, ed è parte del progetto Mercuriale transmediale, avviato da Frazzetto nel lontano 1992, che include testi, componimenti musicali, performance: tutte forme irradianti intorno al romanzo e ai suoi personaggi.   

Sotto l’egida di Mercurio, dio alato dell’agilità intellettuale, dei commerci, traghettatore di anime e concetti, il romanzo (anzi i romanzi come dice il titolo) ci spinge dentro una narrazione plurale affidata a personae immerse in un intreccio misterioso: ai lettori il compito di dipanarlo. 

Dalla  struttura corale del libro emergono i protagonisti, gli amici Marco e Iuri, speculari tra loro. Nella storia si avvicendano inoltre il professore Novati, il quale raccogliendo le confidenze di Marco sull’amico Iuri ne rimesta i contenuti come un demiurgo, tanto che a fine lettura resta il dubbio sul racconto di Marco che abbiamo letto/ascoltato: era stato narrato da lui o dal professore? Fra gli altri personaggi memorabili spicca il figlio di Novati, il ragazzino Teddy, quasi motore immobile e perno di un passaggio cruciale del romanzo. 

Seguono poi le figure femminili dell’opera, tipizzate, quasi concrezioni archetipali che si ribellano ai loro stessi simboli: Cora, (la Kore, forse), fanciulla divina qui colta e devota ma anche capace di devastare scenari di vita come una dea madre arcaica; la dolce incantatrice Nerina, venere non bella ma sensuale; la complessa e tormentata Eugenia; l’amica del cuore svampita e allampanata di Cora, Patrizia; infine Geneviève, misteriosa scienziata del laboratorio machine à habiter. Ma abbiamo citato soltanto alcune delle figure che animano questa narrazione a più voci. 

Leggendo, tentiamo di dipanare le trame del racconto mentre questo scorre in tanti rivoli allacciati in una logica arcana. Al livello spaziale troviamo le coordinate di superficie e profondità, rappresentate dal condominio di via Canne, dal “Grande buco” e dal “trivani” affittato da Marco. Al livello dei personaggi campeggiano i pensieri e le proiezioni  reciproche di Marco e Cora sul loro amore e su altre figure che lo incorporano e lo scompaginano, su tutte l’amico Iuri e Nerina, forse amanti simmetrici dei primi due; poi ci sono i ragionamenti logico-deliranti di Marco nel suo appartamento, il “trivani”, con i suoi sentimenti latenti e i suoi rimuginii. Tutte queste polarizzazioni si presentano simultaneamente intersecandosi nella narrazione tramite convergenze e separazioni ritmanti lo stile del romanzo, fortemente “cinematografico”.

La costellazione di figure, nella loro cadenza tipica e attratta dal viluppo di relazioni, tematizza il romanzo come riemersione del mito dalla letteratura nel suo nesso con le forme e i concetti, l’arte e la tecnica, la vita e la morte, la teoria e la narrazione.

Numerosi indizi disseminati nella polifonia del testo ci portano verso il mito, reperito nella sua apparizione nell’attualità: il suggello di Mercurio innanzitutto, con il suo stile carsico, la fluidità dell’incedere e la luciferina intelligenza sempre mobile e inafferrabile. La spazialità quasi esclusiva di via Canne, set mitologico e teatrale per eventi significativi e sconvolgenti innestati sul quotidiano e sulle sue ritualità prosaiche, autoriferite, storte. Infine il nodo della tecnica, sintomo di emersione del mito nella contemporaneità come forza sovraumana e quasi magica: nelle catacombe di Mercuriale opera infatti il già richiamato consesso di scienziati chiuso in un laboratorio segreto, il machine à habiter, dove si custodiscono ibridazioni uomo/macchina, si sperimentano nuovi modelli del divino, della conoscenza, dell’umanità e del potere.

Il mito, rappreso nelle figure polifoniche di Frazzetto, appare nella sua forma congeniale, capace di mostrare (senza scarto tra pensiero e parola) la sua natura inafferrabile, fluida, posta nella soggettiva dell’individuo sebbene già macchinica e impersonale, in un caos emotivo e dialettico capace di delineare quel pathos del “postcontemporaneo” analizzato in forma speculativa dall’autore nei suoi saggi.

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