L’aria che si respira negli spazi della Gallery Apart di Roma con il nuovo progetto proposto da Gea Casolaro, si propaga nell’ambiente per far respirare allo spettatore problematiche lascate a margine di una vita quotidiana disumanata e sbrecciata dal conformismo, dall’indifferenza, dalla discriminazione, da un centrismo duro a morire o da una soglia di vanità che vetrinizza l’epidermico e mette da parte l’urgenza della riflessione.
Molto visibile, troppo invisibile – il titolo della mostra è già di per sé segnale chiarificatore di un pensiero che si insinua tra le maglie del vissuto recente e che ha la bussola del pulsante presente – è un saggio visivo cadenzato da nove lavori il cui potere magnetico rapisce e graffia lo sguardo per spingerlo tra i solchi di una ricerca esperienziale legata alla pura paticità(solo nel patico «si e-siste» perché patico «è il modo umano della coscienza» a detta di Aldo Masullo), aperta al prendersi cura, volutamente e programmaticamente immersa in un continente visivo che demistifica (destruttura) le demagogie, ponendo nuovamente al centro dell’attenzione l’importanza del dialogo, dell’alterità, dell’ospitalità, del confronto, della condivisione.
Ad aprire il percorso è proprio la videoinstallazione Molto visibile, troppo invisibile (2019) con cui l’artista crea una tensione spaziale, un ribaltamento del punto di vista, un gioco speculare tra realtà reale (spazio accogliente da cui guardare) e reality show (schermo piatto verso cui dirigere lo sguardo). Si tratta di una installazione familiare, di un arredamento molto asettico, quasi una salette d’attesa: ci sono tre divani, due piante, un tavolino di raccordo e un monitor che proietta non il solito e lauto pasto disinformativo, ma il sunto di alcuni talks organizzati con Enrico Castelli Gattinara: e proprio in galleria, in quello stesso spazio che, ribaltato, invita ora a una partecipazione attiva.
Sulla stessa linea, quasi a creare un sovvertimento necessario, si muovono gli altri punti cardinali del progetto che premono sugli occhi con una decisione, con una detersione estetica e linguistica la cui forza evocativa rende visibile lo stanco (rumoroso) spettacolo di questa nostra distratta società.
In una cornice anni trenta (il titolo del lavoro è Il mondo a rovescio, 2019), sotto la «riproduzione modificata del medaglione della Société des amis des Noirs (1788)», si legge Società degli amici delle persone schiave di egoismo, pregiudizi e paure. Poco più in là una t-shirt azzurra con la scritta torno subito (chiaro richiamo a un corpo mancante e a un pensiero ormai inesistente) si allaccia a un secondo lavoro, posto al piano inferiore della galleria, dove è presente una felpa verde (divisa casual indossata da un ex vicepremier del consiglio leghista per far leva sulla massa) con al centro la spirale di Ubu Roi, personaggio tirannico di un’opera teatrale con cui Alfred Jarry – «décor parfaitement exact» ebbe a dire il patafisico all’indomani del 10 dicembre 1896 – ha ridisegnato la ὕβρις della tragedia shakespeariana.
Il mondo a rovescio, 2019, stampa su carta martellata e cornice, riproduzione modificata del medaglione della Société des amis des Noirs(1788), 45 x 34 cm, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni L’assenza, 2019, Stampa su t-shirt, Taglia M, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni
Prima di scendere e incontrare questo lavoro, Non siamo che immagini negli occhi degli altri (1994), opera rititolata per l’occasione con Mancanza di riflessione – si tratta di tre specchi abrasi per svuotare il contorno di figure umane, palese la fantasmizzazione di una società che a furia di apparire è diventata apparenza –, “guarda” Il cielo stellato e la legge morale(2019), richiamo kantiano (Der bestirnte Himmel über mir, und das moralische Gesetz in mir) ma anche lettura dell’ottusa, dell’otturata visione di un mondo ancora geopoliticamente diviso: e qui viene da pensare alle fulminanti parole di Gianni Rodari: Spiegatemi voi dunque, / in prosa o in versetti, / perché il cielo è uno solo / e la Terra è tutta a pezzetti?
Mancanza di riflessione (titolo originale: Non siamo che immagini negli occhi degli altri), 1994, 3 specchi parzialmente abrasi, 40 x 40 cm ognuno, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni
Il primo lavoro che si incontra, sulla destra, scese le scale della galleria, è Cosa è invisibile? (2019): qui l’artista pone luce su una nuova, meravigliosa omogeneizzazione della cultura che epistemologicamente non ammette più divisioni anche se di fatto crea nuove intolleranze (l’installazione è composta da «testi e disegni su carta, selezione dei lavori prodotti durante il laboratorio realizzato da Gea Casolaro con gli studenti del corso di italiano per stranieri condotto da Lapo Vannini dell’Associazione Matemù – Cies di Roma»). Con questo progetto il racconto vira sull’ali dorate di società porose, fluide, spurie, determinate da un flusso che non disintegra (che non vuole disintegrare) la singola cultura a cui si è conservativamente e preventivamente abituati, ma rivela tuttavia la necessità di assumere come stato di fatto l’ibridazione sociale: la composizione demografica ed etnica della cittadinanza mondiale tende infatti a far sentire la luce della destabilizzazione, a modificare gli insiemi numerici di cittadini partecipanti al processo democratico, a concepire quello che Habermas e Taylor hanno definito multiculturalismo.
Cosa è invisibile?,2019, testi e disegni su carta, selezione dei lavori prodotti durante il laboratorio realizzato da Gea Casolaro con gli studenti del corso di italiano per stranieri condotto da Lapo Vannini dell’Associazione Matemù – Cies di Roma, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni
Nel lungo resoconto del mondo offerto da Casolaro c’è, poi, Specchio delle mie brame (2019), smartphone ingigantito con uno specchio deformante perché deformata è la realtà ridotta a immagine di un’immagine di un’immagine vuota, senza peso, senza contenuto e, per terra, Chi utilizza più lettere vince (2019), 10 tavolette di legno dove sono incise alcune lettere alfabetiche con cui è composta la parola Ostilità ma all’occorrenza, con un po’ di sforzo, con l’aggiunta di due sole lettere poste nella parte superiore (il gioco è quello dello scarabeo), può diventare Ospitalità, una nuova parola, l’ultima forse con cui salvare qualcuno per salvarci. «Le parole che uddi quel giorno mi suonavano male, nella strada più bella della città. Interpellai un passante: – allora qual è la parola d’ordine? – Ve lo direi volentieri, mi rispose; ma, veramente, proprio oggi non sono riuscito a sentirla» (Blanchot).
Specchio delle mie brame, 2019, legno e plexiglass, 160 x 80 x 8 cm, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni Chi utilizza più lettere vince, 2019, incisione laser su 10 tavolette di legno, 40 x 40 x 3 cm ognuna, courtesy The Gallery Apart Roma, photo by Giorgio Benni
Gea Casolaro – Molto Visibile, Troppo Invisibile
Fino al 20 dicembre 2010
Gallery Apart
Via Francesco Negri 43, 00154 Roma