Tutte le cose conosciute hanno un numero – scriveva il pitagorico Filolao in un frammento – perché senza ciò non sarebbe possibile che alcuna cosa fosse compresa o conosciuta. Senza il numero, probabilmente, tutte le cose sarebbero illimitate e incerte e oscure. Il numero, sostanza delle cose, prende forma nella pratica di Arena attraverso una serie di lavori, realizzati in casa, utilizzando sempre lo stesso quantitativo di materiale – mezzo chilo di DAS – e lo stesso tempo – un minuto per scultura.
“Si tratta di forme semplicissime nate dalla necessità di occupare del tempo, di dare significato al momento. Realizzandole in un solo minuto ho utilizzato un’unità di misura temporale basica: il minuto rappresenta in realtà un tempo molto più lungo poiché il tempo della modellazione è solo una parte del tempo reale della scultura. Questa risiede nella mia testa in un tempo precedente di concezione e, dopo la modellazione, richiede un tempo successivo di essiccazione e infine un tempo inesauribile di contemplazione.”
Una volta realizzate queste piccole sculture, Arena le porta in studio e le accoppia con altri oggetti di natura diversa, scelti senza un preciso motivo, che già esistevano e avevano il loro tempo. Una zolla di terra del luogo in cui vive l’artista, un nido trovato all’Argentario, un batuffolo di peli della sua barba, due pezzetti di legno presi da una cassetta di vini, una rosa del deserto comprata su ebay, un corno di bufalo acquistato a New York, un dito attaccato al suo proprietario, tre vecchi libri, il polsino di una sua camicia e due stampe di Marx e Engels strappate da una vecchia copia de Il Manifesto.
“Deriva personale di processi scultorei” è la definizione che ne dà l’artista. “In molti miei lavori il risultato finale non è stabilito in partenza, ma è conseguenza di una serie di operazioni, di ragionamenti, di cose anche fortuite che avvengono. La forma di questi dieci oggetti è totalmente accidentale. Sono stati realizzati in un minuto di tempo, sicché non era immaginabile riuscire ad ottenere un risultato finito, pensato dall’inizio. Sono oggetti che si sono fatti da soli, in qualche modo. Dall’incontro tra la materia e la mano sono nate queste forme che, quasi casualmente, si sono accoppiate con altri elementi nel corso del tempo.”
Nate da un esercizio privato in studio e ora, dopo un anno e mezzo dalla loro gestazione, adagiate sul muretto lungo e stretto che si estende per 6 metri all’interno dello spazio espositivo di Palazzo Borromeo, le opere aprono una riflessione sul tema del tempo, anche quello complesso della scultura.Tempo del pensiero, tempo della realizzazione, tempo dell’essiccazione, tempo degli oggetti pre-esistenti, tempo lungo dell’osservazione a fare da contrappunto a quello breve di un momento durante il quale un pezzetto di carta, adagiato sulla scrivania dell’artista e mosso dal suo soffio, si sposta. Nasce così, come cristallizzazione di un attimo in forma di pietra, la scultura scelta per il cortile del Palazzo, lì posizionata perché l’aria continui a spostarsi sulla superficie liscia del soffio. Il blocco è alto 152 centimetri, tanto quanto la distanza della bocca di Arena da terra. La base del blocco è larga 25 centimetri e salendo in alto il blocco si restringe sino a 6 centimetri, come la larghezza della sua bocca. Il blocco è lungo 70 centimetri, tanto quanto la distanza percorsa dal pezzetto di carta sul piano della scrivania. La parte superiore è lucidata a specchio, liscia come un soffio, mentre gli altri lati della scultura sono lasciati grezzi.
Numeri e tempo, leggerezza e resistenza, vento e roccia, domestico e pubblico, intimo e universale, si ricorrono in questa mostra come in un inafferrabile gioco di versi liberi, che Arena offre al visitatore perché diventi misura di sé stesso.
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Francesco Arena | Dieci minuti e un soffio
Palazzo Borromeo – Milano, Piazza Borromeo 12
30 marzo – 1 giugno 2022