Luogo

MEF - Museo Ettore Fico
Via Francesco Cigna 114 10155 Torino

Data

Feb 25 2020 - Apr 19 2020
Evento passato

Ora

18:30 - 20:00

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Mostra

Nebojša Despotovic: THE GOLDEN HARP – ANNULLATA

Mostra annullata e rimandata a data da definirsi a seguito dei provvedimenti di prevenzione contro la diffusione del Coronavirus adottati dalle autorità competenti. 

Le opere di Nebojša Despotović sono inesorabilmente avulse da un contesto riconoscibile e, anche se tutte ci appaiono come estranee alla nostra vita, molte parlano di esperienze che riconosciamo, risultando come riflesse in uno specchio annebbiato ma famigliare. I personaggi/attori che le popolano recitano parti in cui l’artista stesso si immedesima, a tal punto, da assegnare dei nomi o dei nomignoli alle figure mentre le dipinge. Il fatto poi che sembrino personaggi in costume, li fa sembrare ancora più reali perché trasposti in un mondo senza tempo, senza precisi riferimenti al nostro vissuto e tutto appartiene a un momento infinito nella grande commedia della vita.

Mi sono chiesto talvolta se tutti questi uomini e donne e, soprattutto, bambini, fossero scaturiti dal mondo ebraico polacco dopo o immediatamente prima dei bombardamenti tedeschi a Varsavia, se fossero figli di una Londra sovradimensionata, o di anonime comparse del Novecento di Bertolucci. Il cinema Neorealista, L’albero degli zoccoli, Fellini appaiono anche loro come i maestri di Despotović che, con tutta la loro poetica, l’hanno aiutato nella ricerca e nella definizione della sua pittura.

Ogni sua opera, esaminata in profondità, appare come un’appropriarsi di mondi e poetiche altrui. Appare in alcune il mondo erotico di Scipione, la materia sovrapposta di Picabia e tutta la derisione del mondo borghese di Bunüel di Le chien andalou o del Fascino discreto della borghesia, appare anche lo stravolgimento espressionista del Dottor Caligari di Robert Wiene ma anche quello di Murnau, Lang e Pabst. I collegamenti sono quindi infiniti – il gioco di domino o di cadavre esquis, in cui una tessera si accompagna a un’altra e ne genera una terza e poi una quarta e così via, come le associazioni psicologiche in cui lo psicanalista ti chiede di associare immagini a altre immagini – così il lavoro dell’artista opera nella sua mente associazioni e legami formali, concettuali ed estetici che vanno “a briglia sciolta”, in modo automatico, metaforico, come in una scrittura mescalinica di immagini simili e conseguenti.

Egli si immerge mentalmente nel racconto dipinto sulla tela, per poi estraniarsene e, facendo un passo indietro, per riassumere la veste del creatore e quindi regista della scena. Il teatro, la pittura, la persona, i personaggi, il regista e gli attori, i ruoli e la vita, veri o falsi che siano vivono in un balletto mentale e reale che si esprime oltre la tela/sipario/fondale, oltre lo studio dell’artista, ma anche tutto dentro la sua mente.

Soprattutto gli interni, i salotti delle case raffigurate, sono scenografie di quinte teatrali dove si potrebbe recitare Ibsen (Casa di bambola), James (Ritratto di signora) ma anche Beckett (Aspettando Godot) e Jarry (Ubu Roi). Questi interni borghesi in cui vi è sempre una lampada, un tavolino, poltrone ridondanti, tappeti e lampadari, sono lo stereotipo della casa borghese, del luogo anonimo e incolore, pensati per lasciare più spazio alle tragedie familiari che non hanno bisogno di interni raffinati e di oggetti scelti e personali, di quadri importanti e di autori riconosciuti. Il luogo assume lo stato di “non luogo”, di deserto ammobiliato, potrebbero essere dune di sabbia di un deserto o rocce di montagna. Questi non luoghi sono la scenografia per i personaggi raffigurati che potrebbero, in modo fantasmatico, trasmigrare da un’opera all’altra.

Questa “famiglia”, disseminata per tutte le opere, si conosce e si riconosce attraverso lo sguardo dell’artista e, per associazione, anche nel nostro. Le assonanze e le similitudini ci appaiono, dopo aver guardato tutta la sua produzione, come evidenti: fratelli separati in una tela vengono ricongiunti in un’altra; partenti dispersi si ritrovano proprio in quei salotti piccolo borghesi ritagliati in colori monocromi secondo la lezione della Stanza rossa di Matisse; animali e vicini di casa, artigiani ubriachi, burattini e burattinai legnosi, macellai e saltimbanchi stravolti si assommano in scene della stessa pièce teatrale ripresa in infinite recite sul suo palcoscenico. Appare quindi tutto il corpus delle opere come un lungo e ininterrotto racconto dovstojevskiano in cui i personaggi raffigurati appaiono e scompaiono da un capitolo all’altro popolando un mondo in cui arbitrariamente lo spettatore mette in scena la propria analisi e il proprio psicodramma. Queste opere appaiono, oltre alla struggente bellezza dei dipinti in quanto tali, come tavole di Rorschach. Il lusso, la calma, la voluttà e la gioia di vivere di matissiana memoria, con il parossismo e gli eccessi contemporanei, appaiono evidenti in questo popolo orgiastico e pagano in cui nulla riporta alla classicità ma al nostro tempo reale traslato nella scena di una commedia con una regia ben calibrata.

NEBOJŠA DESPOTOVIĆ | THE GOLDEN HARP

Solo Exhibition

MEF Museo Ettore Fico
Via Francesco Cigna 114, Torino

Inaugurazione: martedì 25 febbraio, ore 18.30

Mostra e catalogo a cura di: Andrea Busto

Testi di Andrea Busto, Eugenio Viola

Editore: Iemme Edizioni, Napoli

In collaborazione con Level 0 by ArtVerona 2019

15 febbraio – 19 aprile 2020

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