Nelle pagine di “Fuga dalla libertà”, il celebre saggio che Erich Fromm scriveva nel 1941 in pieno clima totalitario, il filosofo tedesco evidenziava i termini del paradosso in cui l’uomo inizia a imbattersi nella modernità, allorquando il raggiungimento della libertà sembra renderlo fragile, vulnerabile, impotente, vittima del potere omologante di ogni conformismo, sia esso inteso come forma politica o di mercato.
Questa fuga da sé – e la conseguente urgenza di un ritorno all’uomo, all’individuo, alla sua singolarità emancipata e finalmente libera – è da sempre l’oggetto di un’ostinata ricerca condotta da Sergio Lombardo, sin dagli anni di esordio sulla scena romana, con i colleghi di Piazza del Popolo alla metà degli anni Sessanta.
La mostra, a cura di Moira Chiavarini e Simone Zacchini, rimette in fila oltre mezzo secolo dell’incessante e coerente produzione che l’artista romano, classe 1939, ha elaborato al fine di definire “Una programmatica differenza”, come asserisce il titolo di suggestione derridiana.
Appare decisivo, tra i molti lavori storici che hanno reso celebra l’artista nel panorama internazionale, quello “Specchio Tachistoscopico con stimolazione a sognare” del 1979, vero e proprio dispositivo visuale, cognitivo e filosofico. Accanto a uno specchio semitrasparente, alcune istruzioni invitano l’osservatore a concentrare lo sguardo sul proprio occhio destro alimentando la suggestione – data per certa – di un futuro contenuto onirico: “Stanotte o domani notte farai un sogno. Un sogno indimenticabile che riguarderà la tua immagine”.
È una delle opere attorno a cui si strutturano, da lì a pochi anni, i principi teorici (poi racchiusi nel Manifesto del 1987) della Teoria eventualista, un approccio orientato alla produzione di opere e di esperienze in grado di consegnare a chi osserva il pieno e libero potere di articolare il proprio pensiero, la propria capacità critica e interpretativa, emergendo dalla coltre piatta e omologante di quello “sfondo coinemico” che forma un pensiero unico e acritico.
Difatti, l’analisi che Lombardo sviluppa nel corso dei decenni, si rivela estremamente rigorosa soprattutto per metodologia e impianto teorico, quasi che l’opera stessa debba funzionare come esperimento, luogo d’indagine e strumento per un’interazione conoscitiva e analitica. La stessa teoria eventualista attinge alle formule della matematica e della statistica, ad esempio nella definizione dei campioni: “se un campione scelto casualmente è sottoposto ad una serie di stimoli, lo stimolo intrinsecamente più rappresentativo è quello che scatena la massima varianza nelle risposte”, scriveva nel Manifesto.
I lavori di esordio esposti in mostra – Monocromi, Gesti Tipici, Uomini Politici Colorati – messi in relazione a sculture coeve come i Superquadri e i Supercomponibili realizzati dal 1965 in avanti, agiscono all’interno del sistema di figurazione di massa pur sabotando gli strumenti e le formule della Pop Art – cui pure vennero spesso associati, anche contro le intenzioni del maestro. Una produzione che mirava a evidenziare il funzionamento insidioso delle immagini, la loro codificazione e iterazione, il loro potere simbolico e politico.
Privilegiando il ricorso a formule astratte, combinatorie e algoritmiche – quindi ben lontane da ogni soggettivismo – Lombardo inizia a elaborare quadri, ambienti e installazioni di carattere minimale che esaltano l’interattività, la costruzione industriale dello stimolo, la massima riduzione dell’atto artistico e creativo, il ruolo centrale dell’osservatore nella risoluzione delle complessità e nelle soluzioni eventualiste.
Una direzione che, come la mostra aretina evidenzia con linerità e sottigliezza, giunge fino alle proposte degli anni Ottanta e Novanta nel solco della Pittura Stocastica, laddove, accanto allo studio sulle dinamiche della percezione e dell’interazione inconscia, Lombardo traduce pittoricamente le formule di una composizione algoritmica, creando la piena desoggettivazione autoriale e favorendo in chi osserva la vertiginosa libertà del non sapere, del non saper guardare, dell’impossibile riconoscimento di un referente.
Anticipando le sfide dell’intelligenza artificiale, Lombardo sperimenta inoltre una prassi artistica che contempla la possibilità di un pensiero estesico e protesico, una quasi alleanza uomo-macchina capace di dilatare il campo di possibilità espressiva e cognitiva dell’individuo. Aspetto che emerge anche nella più recente proposta delle Stochastic Unpredictable Faces – presentateper la prima volta ad Arezzo nel 2021, insieme a una pubblicazione edita da Magonza (Sergio Lombardo. Faces, 2022). Ricorrendo all’iconografia del volto, l’artista elabora “volti imprevedibili”, non necessariamente umani o realistici, generati automaticamente in modo casuale, al limite di una deformazione che fugge da ogni obbligo dello sguardo, e quindi dalla soggettività di colui che vede o che è visto.
La mostra – visitabile il mercoledì ore 15 – 19 e dal giovedì alla domenica ore 11 – 19 (info: 349.6486862) – è prodotta all’interno del macroprogetto Galleria Aperta a cura di Alessandro Sarteanesi e Marco Pierini, ed è organizzata dalla Fondazione Guido d’Arezzo, dall’associazione culturale Le Nuove Stanze e Magonza con il patrocinio del Ministero della Cultura.