De Chirico Milano
Foto Lorenzo Palmieri

De Chirico torna a Milano

Si dispiega, fra le sale di Palazzo Reale a Milano, la mostra dedicata a Giorgio de Chirico che, curata da Luca Massimo Barbero, si presenta come un’esposizione affatto scontata, la cui volontà, si percepisce sin da subito, si propone non tanto di fare il punto sugli studi intorno al pictor optimus, quanto di porre in evidenza taluni passaggi nodali sulle differenti fasi pittoriche abbracciate dall’artista originario di Valos.

Un’esposizione che, con oltre un centinaio di opere, provenienti dai maggiori musei e collezioni private del mondo, come vedremo a breve, contribuisce, in un certo senso, a ricollocare in una corretta dimensione l’iconicità della sua stessa figura, oltre la più nota finestra della metafisica. Tutto ciò, lungo un percorso che, di sala in sala fra le otto organizzate secondo temi e accostamenti inediti, lascia accrescere nel visitatore il desiderio di cogliere sfumature dell’opera dechirichiana poco conosciute, svelando dettagli che, seppure concorrenti al filo logico e cronologico impostato da Barbero, offre visioni inconsuete.

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La mostra si propone dunque come una sorta di viaggio ideale con partenza prevista da Volos, in Grecia, sua città natale e prima destinazione Monaco, in Germania, dove de Chirico si dedica allo studio della pittura tardo simbolista di Arnold Böcklin e Max Klinger e alla lettura delle opere di Nietzsche e Schopenhauer. Su queste vicende, di continui spostamenti con la madre Gemma e il fratello Andrea, De Chirico costruisce una complessa mitologia familiare, tema che apre proprio la prima sessione della mostra con continui ritorni irrealizzabili, in cui dominano la figura del centauro e della locomotiva come memoria del padre scomparso, ingegnere ferroviario in Tessaglia. 

Tuttavia, è intorno alle stranianti prove metafisiche che si concentra uno dei nuclei principali della mostra dove, paesaggi assolati e deserti, richiami al mondo classico, quinte architettoniche in cui dominano spazi vuoti e silenzi assordanti, il porticato laterale, la torre, il proiettarsi netto delle ombre, l’assenza di presenze umane, il monumento come unico abitante della piazza e in lontananza treni che passano, ne costruiscono le avvincenti visioni che tutti conosciamo. E benché, come appare chiaro nella sala “ferrarese”, la corrente si formalizzi alla data del 1917 nella città estense e nell’incontro con Carlo Carrà avvenuto all’ospedale neurologico Villa del Seminario, è altrettanto vero che il dettato metafisico assume già i propri specifici connotati nella precedente esperienza parigina dove, fra il 1911 e il 1915, l’artista risiede diventando amico di Apollinaire, al quale dedica il celebre e omonimo ritratto del 1914. 

È evidente, in questo contesto, che il distacco di de Chirico nei confronti delle principali avanguardie dell’epoca, Cubismo e Futurismo, pone sin da subito la metafisica in una situazione di singolarità, affidando la propria ricerca di modernità non all’evoluzione del linguaggio, dello stile e della forma ma alla comunicazione di contenuti particolari e di carattere filosofico dove, anche le sue origini greche concorrono alla costruzione del mito greco come archetipo collettivo. Il carattere filosofico si manifesta dunque nei continui e diversi riferimenti simbolici che assumono gli oggetti combinati in modo arbitrario affinché l’uomo possa leggere la natura profonda e nascosta delle cose, affinché possa ricercarne l’enigma, l’inconoscibilità e l’assurdità del reale che, nella dimensione del sogno, fa affiorare il lato più intimo della stessa esistenza del mondo. Un percorso che conduce de Chirico all’ideazione di una delle sue figure più note: il manichino. Emblema di un uomo trasformatosi in automa che addirittura vede ridotti a tale condizione due protagonisti della mitologia antica (Ettore e Andromaca, 1917), il manichino mostra la profonda sensibilità dell’artista capace di riconoscere la perdita di centralità dell’individuo angustiato dal dubbio. 

Inteso come un ibrido, un robotico abitante di quel tempo arrestato, il manichino dechirichiano intensifica il suo stesso significato alla soglia degli anni venti, in quel periodo che si è soliti identificare come “metafisica continua”, praticata prima a Roma fino al 1924 e dopo fra il 1925 e il 1929 quando l’artista torna a risiedere a Parigi. Di questa fase, e sono molti gli esempi in mostra, si osserva un de Chirico attribuire alle sue creature emozioni e atteggiamenti più umani, come in un abbraccio commosso tra il figlio-manichino e il padre-statua (Il figliuol prodigo, 1922) o quello d’addio tra l’automa Ettore e la moglie Andromaca nella versione del 1924). A influenzare de Chirico in questa nuova ricerca, oltre al citato Schopenhauer, non si può escludere Goethe e la sua Teoria dei Colori, sicché la scienza fisica del colore si fa, nelle mani e nella mente dell’artista, materia fra la fisica e la metafisica, materia che fa diventare il colore fantastico e immaginario e infine luce che reagisce idealmente e poeticamente alla vista del sole, per diventare, attraverso la pratica dell’olio, una sorta di apparizione. Nell’ambito di questa teoria, che culmina nel 1928 con la pubblicazione del Piccolo Trattato di Tecnica Pittorica dove, oltre ad assegnare qualità al medium e spostarsi da un’estetica di lirismo senza tempo a una dove questo diventa modernità visionaria, i manichini dechirichiani diventano esseri pensanti con bisogni umani. Filosofi e archeologi, spesso in coppia e accovacciati in posizioni che l’artista desume dalle statue degli apostoli e dai sarcofaghi etruschi, si manifestano secondo la teoria delle “apparenze” emergendo, da un dietro le quinte che lascia trasparire il loro lato enigmatico proprio attraverso la pratica dell’olio.  

La tensione verso l’enigma non si esaurisce qui ma prosegue nella serie dei Bagni Misteriosi, facendoci balzare così all’inizio degli anni Settanta. Per essere precisi, l’opera datata 1973, concepita quale fontana del giardino del Palazzo dell’Arte di Parco Sempione a Milano, una vasca con all’interno due nuotatori, un trampolino, una palla, una cabina, un cigno, un pesce e una fonte, vede la sua genesi nel 1934, in una serie di litografie che accompagnavano all’epoca la raccolta Mythologie di Jean Cocteau. In esposizione le versioni sono molte e oltre a mostrare la reiterata e maniacale tendenza di de Chirico a riorganizzare continuamente lo stesso soggetto, si potrebbe forse azzardare una connessione con la sua infanzia a Valos e il suo terrore della parte di palafitta dei bagni che finiva in acqua, che giustificherebbe l’immagine del mare trasfigurarsi in un parquet. 

Agli anni settanta appartengono anche i ritorni di de Chirico alla pittura del periodo ferrarese, a quando, per essere precisi, l’artista replica se stesso, sancendo la nascita della cosiddetta neometafisica, una nuova e lucida maniera di reinventarsi.

Qui, a chiusura della mostra, incontriamo la serie de le Muse inquietanti, dipinto fondamentale della metafisica, nelle versioni degli anni cinquanta e sessanta, che proprio nella loro serialità giustificano la folgorazione di Andy Warhol.

Tuttavia, sebbene già giunti a conclusione, merita una breve riflessione la sala dei ritratti. Quando il mito di de Chirico è universalmente riconosciuto, egli sconvolge tutti i parametri di gusto per immergersi in un realismo impossibile e paradossale, velato di ironia. Di questa fase esemplari sono gli autoritratti in cui l’artista, mettendosi letteralmente a nudo, si presenta in diverse pose e costumi, di vari generi e epoche, come quello da torero ad esempio, ma sempre con sguardo serio e indirizzato all’osservatore creando così un vero e proprio cortocircuito con i costumi che indossa. 

Foto Roberto Sala

Con un allestimento che intensifica il dato di mistero che da sempre aleggia intorno alla figura di Giorgio de Chirico, la mostra di Palazzo Reale riesce a crearne essa stessa, restituendo al contempo una visione complessiva del suo agire molto più chiara anche ai non esperti in materia ma soprattutto e ancora oggi quel senso straordinario di mito incarnato dallo stesso de Chirico.

de Chirico Milano
Palazzo Reale, Milano
dal 25 settembre 2019 al 19 gennaio 2020
www.dechiricomilano.it