La giuria, presieduta dall’architetto cileno Alejandro Aravena – Pritzker Price 2016 – ha affermato che Francis Kéré “sa, dall’interno, che l’architettura non riguarda l’oggetto ma l’obiettivo; non il prodotto, ma il processo”. Questa consapevolezza interiore è figlia delle sue vicissitudini di vita e di formazione professionale, che hanno condotto l’architetto africano ad acquisire una sua personalissima “sensibilità culturale”.
Nato nel 1965 nel villaggio di Gando, Kéré è cresciuto in una terra priva di elettricità, infrastrutture, servizi pubblici: una terra, dunque, senza architettura ma ricca del suo significato più profondo. L’architetto, infatti, ricorda la stanza nella quale sua nonna raccontava storie, mentre lui e altri bambini si rannicchiavano intorno, lasciandosi avvolgere dalla voce di lei e dalla poca luce che entrava: “questo è stato il mio primo senso dell’architettura”. All’età di sette anni, per frequentare la scuola, ha dovuto lasciare la sua famiglia e il suo paese. Intrappolato in una piccola aula scolastica, priva di ventilazione e luce, Kere prometterà a se stesso di migliorare, in futuro, la qualità di vita delle persone.
Promessa divenuta realtà: dopo essersi recato a Berlino nel 1985 e aver vinto una borsa di studio alla Technische Universität Berlin nel 1995, Kéré progetterà e costruirà, nel luogo di nascita, il suo primo edificio, la Gando Primary School, che gli varrà l’Aga Khan Award for Architecture nel 2004. Attraverso questo progetto, Kéré ha definito un proprio linguaggio architettonico, in sintonia con le esigenze e tradizioni locali, ma aperto a un dialogo costruttivo con le tematiche contemporanee, fra le quali la crisi ecologica-ambientale. Riportiamo qualche esempio: uso intelligente dei materiali locali come risposta al clima naturale; soluzioni tecnologiche per combattere il caldo, garantire l’illuminazione ed evitare l’uso meccanico del condizionamento; grande attenzione riservata agli spazi pubblici per incentivare l’aggregazione sociale, riscattare le disuguaglianze sociali e dare rilievo a quel senso di comunità, percepito da Kere nel suo villaggio, fin dalla nascita. Sebbene la lontananza fisica dal Burkina Faso, l’architetto non ha mai smesso di osservare il suo mondo, interpretandolo attraverso opere che hanno migliorato, in maniera esponenziale, la qualità abitativa di intere comunità, trasformando i problemi in opportunità di crescita.
Nel 2005 ha fondato la Kéré Architecture a Berlino, realizzando ulteriori strutture scolastiche e mediche, ma anche alloggi professionali, edifici civili e pubblici nel suo paese e in altra città africane: ricordiamo l’Assemblea nazionale del Burkina Faso (Ouagadougou, Burkina Faso), uno dei progetti cardine, anche se non ancora realizzato, e l’Assemblea nazionale del Benin (Porto-Novo, Repubblica del Benin), in corso d’opera. Molti, inoltre, gli incarichi a livello internazionale, fra i quali padiglioni e installazioni in Danimarca, Germania, Italia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.

La giuria ha sottolineato la capacità di Kéré di mostrare “come l’architettura oggi può riflettere e servire i bisogni, compresi i bisogni estetici, dei popoli di tutto il mondo. Ci ha mostrato come la località diventi una possibilità universale”. Tutto in vista di un miglioramento dell’abitare umano e, questo, ce lo dice proprio l’architetto: “Tutti meritano la qualità […]. Siamo interconnessi e le preoccupazioni per il clima, la democrazia e la scarsità sono preoccupazioni per tutti noi”.