Michelangelo Pistoletto, Mela reintegrata, Milano. Immagine da Pinterest

Chi controlla i controllori

Lo strapotere dei social, testimoniato dal recente blocco dell’account del Presidente degli Stati Uniti dopo l’assalto al Congresso, fa riflettere, in campo artistico, sulla centralità della critica, quasi un cuscinetto tra le esigenze di libertà del pubblico e le logiche stringenti del sistema.

Fukuyama ha un nome che fa rabbrividire. Intanto perché ricorda vagamente l’esplosione di una centrale nucleare, poi perché, come rammenteranno i più vecchiotti, in un saggio del 1992 aveva teorizzato il concetto di fine della storia: dopo la caduta del muro di Berlino, sosteneva, si è innescato un processo irreversibile che, con la vittoria delle democrazie liberali, avrebbe garantito all’uomo un futuro di concordia.

Inutile affannarsi a dimostrare come, dati alla mano, dall’Undici Settembre alla Guerra del Golfo ai conflitti più recenti, il pensiero del filosofo abbia mostrato qualche falla; e tuttavia, al pari di un orologio a molle rotto che, per due volte al giorno, è più preciso di un marchingegno digitale, già in quel saggio Fukuyama formulava alcune tesi interessanti. Suggeriva, ad esempio, che, anziché dalla polvere da sparo, il nostro tempo sarebbe stato minacciato dai fantasmi: il nazionalismo, il sovranismo, il fondamentalismo religioso e lo scientismo. Non aveva insomma previsto la pandemia e gli eccessi del mercato, ma poco ci mancava.

Bene, in un articolo apparso l’altro giorno su “Foreign Affairs”, firmato con Barak Richman e Ashish Goel, membri del programma della Stanford University sulla democrazia e Internet, egli afferma che “Amazon, Apple, Facebook, Google e Twitter, già potenti prima della pandemia di Covid 19, lo sono diventati ancora di più durante essa, poiché gran parte della vita quotidiana si muove online. Per quanto conveniente sia la loro tecnologia, l’emergere di tali società dominanti dovrebbe far suonare un campanello d’allarme”.

Un tema di grande attualità, come conferma l’ostracismo operato dai social ai danni di Trump per l’irruzione dei suoi seguaci in Campidoglio. In un post, il fondatore e amministratore delegato di Facebook, Mark Zuckerberg, ha spiegato in questi termini la scelta dell’azienda: “Crediamo che i rischi di permettere al Presidente di continuare a usare il nostro servizio durante questo periodo siano semplicemente troppo grandi. Per questo, abbiamo esteso a tempo indefinito il blocco che avevamo già imposto sui suoi account Facebook e Instagram, almeno per le prossime due settimane finché non sarà completata una transizione pacifica del potere”.

Insomma una censura bella e buona. Paragonabile, fatte salve le dovute proporzioni, a quella perpetrata, sempre da Facebook, ai nudi di Luciano Ventrone, su cui un paio di anni fa Francesco Bonami aveva scritto un pezzo che per poco mi lasciava con la mandibola slogata – “La censura di Facebook è altrettanto fuori dal tempo”, concludeva, “come lo sono l’artista e i suoi sostenitori, ma a differenza di questi ultimi è pure stupida e dannosa. Nessuno può censurare qualcuno perché ha scelto liberamente di essere inutile ed innocuo” – o a quelle su cui si è diffuso di recente nel suo Arte è libertà? Censura e censori ai tempi del Web Luca Beatrice.

Il dilemma è sempre uno: chi controlla i controllori? Una volta stabilito un regime di monopolio, non è possibile modificarlo dall’interno. I semplici utenti non hanno libera facoltà di associarsi, figurarsi di opporsi all’apparato. Che fare allora? Una soluzione potrebbe essere smembrarlo, farlo a pezzi. Un’altra introdurre leggi più rigorose sulla privacy e i costumi.

L’ipotesi di Fukuyama, singolarmente concreta, è di “togliere alle piattaforme il ruolo di custodi dei contenuti”. Questo approccio, spiega, “comporterebbe la creazione di un nuovo gruppo di società middleware competitive”, ossia di società intermediarie, al fine di “consentire agli utenti di scegliere come le informazioni vengono presentate loro. E sarebbe probabilmente più efficace dello sforzo donchisciottesco di smembrare i colossi del web”. Gli utenti, conclude, “selezionerebbero servizi middleware che determinerebbero l’importanza e la veridicità del contenuto politico e le piattaforme utilizzerebbero tali indicazioni per curare ciò che quegli utenti vedono”.
Il middleware, sia detto per inciso, è un software che fa da tramite tra il sistema operativo e le app eseguite. Il suo uso consente agli utenti di inviare moduli in un browser e al server di restituire pagine webdinamiche in base alle indicazioni degli utenti. Ora, mai avrei pensato di paragonarmi a un programma, ma quale dovrebbe essere il ruolo dei critici se non il fare da raccordo tra i gestori della baracca – e non mi riferisco solo alla rete – e le legittime aspirazioni dei fruitori? Non sono forse le loro osservazioni a garantire, tra l’altro in modo umano, la correttezza (e la qualità) dell’offerta culturale? Questo, ovviamente, ha senso solo nella misura in cui l’arte vada intesa non come affare di pochi – che potrebbero coincidere coi soggetti che una volta si chiamavano i “padroni del discorso” – ma come fatto universale.

Per quanto poi riguarda l’arte pubblica, vale la pena citare il commento di un noto intellettuale meneghino, di cui non importa fare il nome, a proposito della mela “reintegrata” che troneggia, a Milano, nel bel mezzo di Piazza Stazione: “Tutte le volte che la vedo mi viene in mente un vecchio amico, una delle persone più perbene che abbiano frequentato il mondo dell’arte, Francesco Paolo Vincitorio – tenne una rubrica su ‘L’Espresso’, sino agli anni Novanta. In un nostro incontro mi confidò che, secondo lui, occorreva un’unica commissione ministeriale: quella che stabilisce quando gli artisti – pittori, scultori, poeti e musicisti – devono andare in pensione. La commissione, in una parola, che ti convoca e ti dice ‘lei ha dato molto, adesso si riposi’. Se ci fosse stata, probabilmente non avremmo quella mela”.

C’è poco da fare: dall’inizio alla fine della storia, da Eva a Newton, da Steve Jobs a Pistoletto, il frutto proibito attrae soggetti problematici, sebbene eccezionali. Aiutiamoli a evitare di peccare.