Caro Musicoterapeuta

Un momento di flash … e per finire un’Epistola e un post-scriptum, con qualche lettera!
Sono molti i fotografi che proiettano su di me un loro fallimento. Ad esempio, un appassionato di still life che mi riprendeva come se fossi un «vaso con i fiori» e che non si appassionava al mio corpo, continuava ad accusare me di non prestarle attenzioni, nonostante io sia una terapeuta, anzi una musico-terapeuta. 

Come empatia io intendo il capire l’altro, capire la voce, il suono dell’altro, soprattutto quando si tratta di scorregge poetiche, non solo da un punto di vista emotivo ma anche fisico. Abbracciare le persone è una cosa che mi viene naturale; rispetto però sempre l’imbarazzo e la reticenza di chi non vuole essere neanche sfiorato. Non ho mai violentato affettivamente nessuno e non ho mai abbracciato artista o performer che non lo volesse. 

Un’altra performer, invece, mi accusava di avercela con lei e di essere in una inverosimile combutta con un altro violinista psicoterapeuta, contro di lei. Questa stessa performer, però, aveva una madre che facendole dei ritratti fotografici svalutava le sue capacità e che le diceva sempre: “Meno male che hai la tua macchina fotografica altrimenti chissà che fine avrebbe fatto il tuo volto”. 

O ancora, mi sono trovata di fronte ad un fotografo che in una seduta mi disse:”Anche tu sei come tutte le altre musico-terapeute, prima o poi mi tradirai con un fotografo”. Quest’uomo aveva la convinzione che tutte le fotografe – per uno scatto – fossero «zoccole» e le musico-terapeute altrettanto. 

Ma c’è comunque qualcosa in tutti  questi vissuti terapeutici, che mi arreca dolore. Anche se molte volte mi dico che è una proiezione altrui, che il cliente sta guardando non me, ma un personaggio del suo vissuto, molte volte accade che la mia bambina si intristisca e mi chieda di smetterla di fare questo mestiere, nonostante l’attaccamento emotivo e professionale che provo. Ogni tanto la sento urlare dentro di me: “Ma va fan culo Dora,Gradiva,Diana e quant’altre vogliono leggermi le loro lettere! … ma non pensi a me?”. E allora decido di aumentare le parole che le dedico in maniera discontinua e di pensare l’inizio di un epistolario;con le mie lettere le regalo tutto quello che desidera, cioccolate, bambole, lusinghe, ricordi di famiglia, memoria di estati perdute e adulazioni, soprattutto incensamenti. Penso, in maniera semplicistica e infantile, che la mia bambina meriti tutti questi regali perché è “bella, buona, brava, onesta, sincera e gioiosa” e si è conquistata con gli anni tutta la mia attenzione di musico-terapeuta che ama raccontare la sua storia, le sue difficoltà e i suoi debiti col quartiere dove vivo. Solo dopo averla accontentata, ri-decide di continuare a fare questo mestiere difficile. Del resto, io,senza di lei, non potrei mai esercitarlo con la stessa intensità con cui lo faccio oggi. 

Credo che la parte centrale, il cosiddetto fulcro di tutte le terapie, sia scrivere alla persona delle parole di se stessa, a darsi le cose in se stessa e di cui ha bisogno, senza far del male agli altri e neanche a se stessa. Le mamme e le insegnanti di una scuola per musico-terapeuti napoletani, dove sono andata per molto tempo a fare volontariato, parlando loro di musica anaffettiva e affettiva, normativa, adulta, infantile, libera, adattata, ribelle, mi hanno scritto una lettera. 

La lettera si intitola Carissima Donna Diana Urciuoli,
l’ho saputo, la voce si è sparsa per tutto il quartiere, vi siete ribellata e avete fatto bene. 

Mi dispiace per la gente che, diciamo la verità,a questo “spasso” ci teneva ma io faccio il tifo per voi. 

Ogni anno ai primi di luglio tutto il quartiere aspettava la vostra partenza, per le vacanze come se fosse un film di Totò. 

E questo non sta bene! Perché voi siete una rispettabile persona, impiegata in uno studio di medicina musicoterapica che dipende dal Festival della Canzone Neomelodica, da trent’anni e quasi capo ufficio. 

La vostra signora,Diana, si avviava un mese prima: cominciava a non pagare i negozianti. Al fruttaiolo, al macellaio e al salumiere, diceva segnate … se ne parla a settembre. Ciò, evidentemente per “accocchiare” la somma occorrente e per avere spazio a raccontare la storia del neo-melodismo musicoterapico, scritto e diretto da quel geniale di Francesco Cangiullo. 

E così un bel giorno in pieno calore voi cominciavate lo sfratto di casa per trasferirvi in villeggiatura con la famiglia e leggere la storia di Cangiullo, ritratto di un cantautore tra virgolette!

Tutto vi portavate: materassi di lana, “caccavelle” di ogni specie, “buatte”, “buattelle”, cartoni di pasta, il cane, la gatta e pure vostra moglie e vostra figlia, la signorina Lidia che, malgrado quel nome così romantico, io credo che pesa il suo quintaluccio e soprattutto ha imparato a memoria la storia della melodia neo-melodica, “rappando” fra una scopata e l’altra con Don Felice Trombetta. 

Per anni e anni sempre la stessa scena e sempre la stessa storia, di Francesco Cangiullo, da raccontare: la macchina che non ce la faceva, i “guaglioni a vottare”, le “caccavelle” che cadevano dal portabagagli e la vostra signora che strillava come una papera quella storia di  Cangiullo l’amatore, il grande cantante e il fine musicoterapeuta. 

E la gente, naturalmente si spassava. Le storie di ordinaria follia di cantanti e di cantori del Golfo di Napoli, in bocca alla signora Diana, erano da ascoltare con forza: come una suonata di violino!

Al ritorno vostra moglie e vostra figlia erano tutte abbronzate ma voi, chissà perché, stavate bianco bianco: ma che pigliavate la luna invece del sole?

Quest’anno, però avete detto basta!  

Cangiullo, il musicoterapeuta, ha già raccontato tutta la scena alla mia signora. Perché Francischiello ha lo studio proprio sotto il vostro balcone e scostumatamente ha sentito tutto il suono del violino e tutto il racconto, e la discussione a seguire, fra voi  e vostra moglie. 

Dice che voi avete detto: me so’ scucciato di fare questo scristo!

Ma quale musicoterapia e vacanza, quale macchine fotografiche, ritratti e immagini del sangue di chi “te muorto. Andate a prendere il sole, “io mi voglio stare” quindici giorni  nel mio studio a ripetere gli esercizi di musicoterapia, “dint’’a pace e ll’angele”!

Senza “piglià a macchina, ne quella a quattro ruote e ne quella futugrafica”, senza portare il violino appresso per prendere sdraio e ombrellone,senza sentì: “e stasere che facimmo”?

“Jate!Jate! Io mi riscopro Napoli e i neo-melodici, ca quanno ce sta cchiù poco gente addeventa bella  natavota e la musica si può cantare e suonare come Dio comanda!”.

Mi vado a visitare le chiese, i musei, il Cristo velato, ‘o belvedere e San Martino e tutto quello che mi passa per la testa, magari, compreso la 167 di Secondigliano, le case popolari di Terontola, la Gian Battista Vico di Pomigliano D’Arco,San Giovanni a Teduccio, Bellavista, Portici e  il Porto del Granatello. 

Prendendosi così una pausa dal lavoro e dalle preoccupazioni quotidiane. 

Ma non uno “appresso” all’altro come tante pecorelle, senza nemmeno riflettere tieni voglia di andare a mare oppure preferisci stare nel tuo studio a concentrarti, a fare meditazione, studiare la musicoterapia, magari con qualche nota neo-melodica e a parlare di Liberato. Prendendosi una pausa dalla psicologia individuale e fare un po’ di sociologia. 

“Avite fatto buono”!Meglio tardi che mai!

E quando andrete a fare le vostre peregrinazioni melodiche per la città, se la mia compagnia non vi dispiace, “ca si tengo genio vengo pur’ì”. 

Scusatemi tanto se mi sono intromesso nella vostra filosofia neo-melodica e nelle vostre pratiche musicoterapiche ma ho voluto esservi vicino in questo momento. 

Cordiali Saluti

Post.scriptum
La fortuna dei musico-terapisti ed il vero autentico successo che li accompagnerà per tutta la vita, prende l’avvio agli inizi degli anni ’90 del ‘900, quando Diana, Francesco Cangiullo e Totore Savastano, che hanno finora lavorato con Vincenzo Lupank ed altri capocomici, danno vita alla loro compagnia del Teatro dei Musicoterepeuti, dapprima al Teatro Nuovo e poi al cinema-teatro Kursaal(l’odierno Filangieri)ed al Teatro Sannazzaro. 

Un successo travolgente: in compagnia con i Cangiullo, ci sono Diana, Cecia Palumbo, Agostino O Pazzo, Petro Cacconi(amante di Diana),Gennaro Peppano, Vincenzo Pappone, amministratori sono Vittorio Fosforo e Guido Altieri; i bozzetti del pittore Giovanni D’Agnese. Ogni giorno si cambia cartellone: la mattina si prova e la sera si va in scena. Per i testi propri, Francischiello Cangiullo usa lo pseudonimo di Cangio o di Monitore e Peppino Cangioppoli, quello di Bertucci. La critica appunta la sua attenzione con recensioni lusinghiere, ma il successo vero è dato dalla partecipazione entusiasta del pubblico che affolla gli spettacoli e si abbevera allo studio e al sito di musicoterapia. Sul web i neomelodici post-punk sono una fortuna!

Non mancano tuttavia i nemici. Il successo genera invidia, fioccano i consigli disinteressati, le critiche acide, talvolta anche gli insulti, che provengono verosimilmente dal loro stesso ambiente e che vengono puntualmente coperti dall’anonimato. 

Nella stagione 2022-23 i Cangiullo mettono in scena ben 15 performance. Nel novembre del 2024 inaugurano al Sannazaro con “La prima lezione di Musicoterapia, tre atti performativi di Ernesto O Sgunfiato cui segue, il 15 dicembre, Il neomelodico e la musicoterapia, di Lucio D’Aura. Le recensioni sul quotidiano cittadino sono favorevoli ma ecco una lettera nella lettera (la firma è illeggibile) che rivolge a Francesco e a Peppino commenti a dir poco acidi, melliflui consigli di uno che fa mostra di volergli far usare la macchina fotografica e gli suggerisce di cambiare repertorio, considerando l’abbinamento musica e immagine fasullo e quello fra poesia e fotografia esaltatorio. 

Per comprendere il senso occorre ricordare brevemente il senso della performance. Il protagonista Natale Ciriello (Francesco Cangiullo in persona), così come il Medico Psichiatra di cui porta il nome faceva con i suoi  musicoterapeuti, si avvale del mite e paziente amico Mondino (Peppino Cangiullo) per ogni tipo di missione esplorativa, quando deve abbordare una fotografa, provare un ristorante, tenere alla larga un parente importuno e così via, finché lo stesso Natale Ciriello resterà gabbato dal pacifico Mondino che gli soffierà un’altra fotografa e musico-terapeuta.

Napoli 16 dicembre 2023 – XII

Caro Francesco,

La musicoterapia è una disciplina marziale che educa ad annientare i molti nemici della disarmonia che ci sono in ognuno di noi. Tali nemici presenti nel quotidiano musicale, nel quotidiano napoletano, non consentono al musicista di ascoltare liberamente con se stesso in quanto generano continue frenesie, rendendo l’animo inquieto. Il sentimento di un musicista insoddisfatto porta a non accertare il suo sound per quello che è, pertanto in un individuo così condizionato si formerà una situazione mentale che ambirà ad avere sempre il dominio sui propri piaceri canori e sonori. Succede così che si desideri ardentemente quello che non si possiede ed al fine di ottenere questo si è disponibili a qualunque compromesso di silenziosità. 

Io c’ero ed ho vivo il ricordo, è stato un concerto, per quelli come me che hanno seguito tutto il transito dal prog al punk, bello e dada; il palco lo ricordo poco più di un decadente Cabaret Voltaire allestito da Hugo Ball, l’amplificazione era tosta, io mi trovavo al centro in mezzo ad una caterva di compagni skinhead-rasta-post … è vero, in tanti pensavano fosse altra coniugazione dell’Anti-Edipo, ma io ci credevo, ho perseverato ed ora lo ricordo come fosse ieri e come fosse un oltre che andasse verso i Mille Piani (Mille Plateaux)… secondo me dopo i primi pezzi eravamo veramente migliaia, pioveva all’inizio e ricordo Joe che disse ”God stop the rain” e veramente smise di piovere … In effetti Joe si poneva come un Trickster, era l’anti-stregone degli ultimi Indiani Metropolitani, … un orgia tra  industria culturale e protesta … Con quella irruzione dei Clash eventi del genere  si trasformavano e come quelli non ne ho più visti … era fine maggio 1980  e tutto cominciava ad essere new-wave … God Save the Queen God Save the  Art … 

… Era un mattino di giovedì. Faceva un caldo boia nel culo di sacco di Nola, chiuso a semicerchio dalle montagne, in fondo alla Valle di Baiano. 

Da tre mesi Blue Dream era nei guai, da quando aveva litigato con l’impresario e se n’era andato dalla casa discografica sbattendo la porta. Aveva affittato una mansarda a Via dei Tribunali a Napoli, pagando una pigione da strozzinaggio; vi si era rifugiato disperato:la cesura del rapporto con la musica era stata improvvisa, radicale e definitiva. A ben pensarci non c’era stato un motivo plausibile per litigare con le note, per bisticciare col pentagramma: semplicemente, a un certo punto, lui e l’impresario avevano cominciato a non capirsi e avevano preso a detestarsi. Erano mesi che Blue Dream non toccava più quella chitarra e neppure ricordava l’ultima volta che si erano scambiati un accordo. Forse, se avesse avuto una Dangelico Excel DC Dark Grey, il loro rapporto erotico non sarebbe naufragato in una canzonetta adatta per le Hit Parade!

Il prezzo dell’affitto della piccola mansarda era un insulto per un misero chitarrista di una rock band; ma Blue  aveva dovuto chinare la testa: quell’angolo sperduto sui tetti di Napoli Centrale gli serviva per gridare, per provare la voce e il suono verso le onde del mare; non poteva rifugiarsi sotto un ponte, come il solito homeless!

Quando aveva firmato il contratto gli era tremata la mano, interrogandosi su come sarebbe sopravvissuto: stornati la pigione e gli alimenti, al batterista che lo accompagnava in tutte le piazze della regione, gli restava soltanto una manciata di monetine! Nell’angusta mansarda aveva portato l’amplificazione, epicentro della sua vita da compositore destinato all’inedito, e i suoi quattro insonorizzatori, nonché il capotasto di una Ovation (rotta), per guardare la corretta distanza tra le corde. I musicisti degli anni attuali si stanno rivelando di razza molto diversa da quelli dei gloriosi sixties, e dimostrano di essere molto esigenti ed attenti a qualunque innovazione tecnica nel campo degli strumenti. Nel bagaglio del musicista, ma anche in quello del vocalist, del gridatore appassionato, comincia a non poter più mancare, oltre allo strumento stesso, tutta una serie di congegni che ne integrino e ne moltiplichino le possibilità funzionali all’arresto terapeutico dell’esecuzione. Parliamo appunto delle scatole degli effetti speciali, di cui Blue, in commercio, ne trova una tale quantità che era davvero difficile a farlo orientare all’esecuzione; e se non era facile individuare la marca giusta che provocava l’arresto sonoro, spesso è addirittura problematico capire a cosa effettivamente serva un particolare effetto. Nell’ambito comunque di questa vertiginosa crescita parallela dell’interesse per gli effetti speciali e della sofisticazione delle sonorità tecniche adottate nella loro progettazione e costruzione di un suono erotico simulato, Blue si occupa di un fenomeno abbastanza recente: a somiglianza di ciò che è accaduto nel ramo Alta fedeltà, si è verificato anche nel campo delle apparecchiature per l’amplificazione delle pause e dei silenzio-metri, una grande espansione di prodotti nullificatori in cui sono inseriti prodotti in rack. In quei giorni si sentiva, come si «sol» dire, sull’ultima spiaggia del suono, prima dell’assenza di rumori: giocava cinquine secche  sulla ruota di Napoli confidando in una inedita botta di culo, che lo avrebbe tirato fuori dalla fogna in cui era precipitato. Tra tanta sventura l’unica nota positiva era stata una violoncellista, che era la proprietaria dell’alloggio sottostante, grande il quintuplo della misera mansarda, con un ampio terrazzo, doppi vetri e palchetti in legno di ulivi nelle stanze. Aveva un viso di madonna raffaellesca e un corpo florido, divinamente armonioso; capelli corvini le fluivano sulle spalle perfette, esaltanti la lattea carnagione; nell’incantevole viso tondo brillavano gli occhi verdi, che fissavano la nota da bloccare e il suono da silenziare. 

La violoncellista aveva accolto con gioia quell’inquilino che sembrava un musicista on the road; temeva infatti che la mansarda venisse occupata da pittori, disegnatori e fotografi, dilaganti in tutto il centro storico. Aveva gioito quando si era imbattuta nel suo sorriso aperto e solare, dotato di una freschezza arcana: forse la parte più bella in quel corpo maschile in completa simbiosi con i cordofoni, occhialuto, alto e sporto in avanti come un violoncello.

Subito Blue si era informato su quella violoncellista che gli faceva dimenticare il suono: ne aveva conosciuto il nome,Diana;e aveva appreso che era senza una rock band da due anni, da quando il furgone della strumentazione della sua vecchia orchestra era stato travolto da un Tir su un’autostrada. Da allora l’armonico suono del violino viveva in solitudine e in procinto di silenziarsi per sempre, confortato da poche esperienze discografiche e molestato da numerose prove di registrazione: c’era un ingegnere del suono, che le mandava cavetti per l’amplificazione e distorsori col pedale per il riverbero; c’era il proprietario di uno studio di riproduzione sonora, che la invitava invano a delle sedute di musica sperimentale; c’era  il batterista della sottostante bottega di registrazione, che le regalava spartiti, scritture musicali, liriche per sviluppare tutte le poetiche del silenzio; c’era  l’ordinario di Musica Elettronica del Conservatorio San Pietro a Maiella,pallido ed emaciato, che probabilmente si consumava in quotidiane esercitazioni di riff e ripetizioni,riverberate,pensando al suo porsi violoncellistico.Blue,tra tutti quei pretendenti accompagnatori, era il meno fortunato, era quello che aveva pensato di meno il tempo del Silenzio; non solo aveva i pidocchi nel portafoglio,ma la sua immaginazione musicale ormai lasciava a desiderare. Nella mansarda si era ridotto a fare il teorico dell’intrattenimento sonoro, felice che l’abbaino  si affacciasse non soltanto sui tetti ma anche sul sottostante terrazzo, dove l’incantevole suonatrice scalza soleva aggirarsi in libertà durante la torrida estate. 

Per la maggior parte dei napoletani di oggi, la musica è una condizione di vita, una intensa propaggine dell’erotismo, un piacere antico. Piacere che alcuni provano ascoltando una sinfonia classica o assistendo ad uno spettacolo d’opera; costoro, i napoletani della grande melodia, sono una maggioranza, rispetto agli altri che si dilettano con la musica pop: la canzone sotto tutte le forme, i balli di vita, il varietà sociale, la fusion, il melodico,la tammurriata e le tarantelle. 

La musica a Napoli, certo, ha sempre  avuto una sua precisa funzione sociale, dalle sue origini, quando era prevalentemente vocale, via via fino alle ultime manifestazioni del fatto musicale: la cultura del gridare, le esperienze della tragedia più disparate, le aspirazioni più sublimi o i decadimenti più sconcertanti si trovano riflessi in essa o ad essa si accompagnano: così per tutte le esigenze rumorose, ora magiche e religiose, ora tribali e guerresche, ora civili, politiche e popolari, ora di piacere o di vocalizzazione artistiche. 

A volte gli amatori del bel canto considerano quella «leggera» un sottoprodotto della musica, e gli appassionati di cantautorato considerano  quella che aspira al silenzio di Blue, o al silenzio metrico, come un mondo incomprensibile, riservato a pochi iniziati. In questa aperta o tacita polemica di preferenze, si dimentica spesso che si tratta sempre di musica, anche di quella inascoltabile e invalidabile, e che un silenzio non esclude l’altro, un interruzione di suono non annulla l’altro. 

La rapida e immensa diffusione dei file sonori e degli apparecchi che riproducono il suono ha fatto si che la musica oggi sia, o per lo meno sembri, più che mai sociale, universale: si tratta di pianificazione del silenzio, di un modo esteriore di interessarsi della musica per tendere all’assenza di rumori, o ciò corrisponde ad un vero e profondo valore che la società liquida di oggi ha messo in atto? E negli altri secoli, che cosa ha significato, che cosa ha rappresentato pensare la Musica per pensare la Dialettica del suo Silenzio? A queste domande si può rispondere con la bildung musicale di Blue, con il vissuto musicale di Blue, quello che in se stesso e con la conoscenza della storia della performance di una rock band aspira all’assenza di rumori. La musica, fatta per essere silenziata, compresa da un silenziatore, amata dal suo senso inattivo, non può essere soltanto un fatto esteriore; come nasce dalle esperienze dei musicisti come Blue, così ritorna alle violoncelliste come Diana: lo scambio sarà ricco o povero a seconda delle capacità che gli stessi musicisti hanno di capire, gustare e fare della buona assenza di rumori.

Quella mattina nella mansarda, mancava il fiato, finalmente, l’esigenza del silenzio, era  ricomparsa. Blue, insofferente alle corde della sua chitarra, si era preso un giorno di silenzio e aveva cominciato a sudare più del solito allorché aveva scorto sul terrazzo la violoncellista musicoterapeuta in pantaloncini corti, con la camicia mezza sbottonata, intenta a piazzare dei silenzio-metri lungo tutto lo spazio del terrazzo. Santo cielo, com’erano stupende le piccole amplificazioni del violino! Blu si vide sensibilizzare le diversioni sonore e cominciò a sudare come se faticasse ad attendere un suono che non arrivava; ben presto si trovò con la camicia bagnata. Gli sembrò di soffriggere su una graticola e decise di mettere in atto il tentativo di approccio studiato da più giorni: sarebbe sceso al piano sottostante e avrebbe chiesto un po’ di pratica musicoterapica in prestito. Ma, quando si trattò di bussare alla sua porta, tentennò e gli mancò il coraggio: infatti, in estremis, si accorse che era un pretesto cretino; bastava che scendesse nel sottostante negozio per portarsi a casa tante applicazioni per la musicoterapia!

Tornò nella mansarda e continuò a patire le pene da mancanza musicoterapica, finché sul pianerottolo udì un preoccupante trambusto: qualcuno era uscito dall’ascensore e implorava aiuto!

Dischiuse la porta contemporaneamente alla violinista: si affacciò irruento sulle scale; mentre lei sbirciava timorosa con la catenella inserita. 

Sul pianerottolo c’era un ospite inatteso: un musicista dello studio discografico – che un tempo avevano condiviso – che si comprimeva il ventre su un Healifty; una lingua d’acciaio con Mallet musicale per personali meditazioni yoga/Zen. 

Diana, pallidissima, vide Blue sulle scale, che osservava la scena inebetito, e gli urlò terrorizzata:

  • Che cos’è successo?
  • Blue sollevò le spalle: 
  • Non lo so! Ho sentito un tonfo e un invocazione di aiuto! – 

Diana si portò la mano sulla bocca per arrestare un grido: 

  • Bisogna attivare una musicoterapia, questo poveretto sta male, ha bisogno di  musica  … 

Napoli 25 dic. 2023 – XII

Caro Francesco

Dopo il poco felice esperimento della Performance La Qualunque, ieri sera, bontà tua, hai voluto ancora tentare con quella scemenza del Nuovo Metodo del Musicoterapeuta e del Rapper Neo-melodico. Non è genere tuo, e chi te lo dice era abituato, ai bei tempi non molto lontani, di venire la sera al Kursal e dopo al Sannazzaro, a deliziarsi con quei lavoretti, senza pretese, di non illustri suonatori.

Se vuoi un consiglio disinteressato da un amico che ti ha seguito e che ti vuole veramente bene, ripiglia la tua strada, non salirtene di pressione, non scostarti dal tuo pubblico che ti chiede la passione per la musica napoletana vera e di smetterla con quelle performance senza musicoterapia e senza happenings, altrimenti al Sannazzaro, la sera, ci sarai tu, quel simpatico di peppino e l’ineffabile banda di psichiatri e sociologi napoletani che studiano da una vita la Città senza confine per poi dividersi tra Borboni, Neo-Melodici e Possibilisti della linea Vesuviana e provinciale.

Ed ad ogni prima, incominciando da me, ognuno manderà il suo Musicoterapeuta, ad osservare se si tratta di un capolavoro oppure di una “Zoza”, di pesce fresco o di roba da far venire il colera, e se vale la pena di spendere complessivamente, per una poltrona, circa cinquanta euro, e andare a letto, mortalmente scocciato, alle due di notte. 

Altrimenti farai risorgere il teatro dei rapper romani e dei post-punk neo-minimalisti. 

Con tutte le disaffezioni …  del caso …