Massimo De Carlo
Ritratto Massimo De Carlo Foto di Pasquale Abbattista Courtesy Massimo De Carlo, Milan/London/Hong Kong

Arte mercato e pandemia: Massimo De Carlo

Il 2020 è stato, tra le altre cose, l’annus horribilis dell’arte. Forse solo le grandi guerre del secolo scorso erano state capaci di imporre un fermo biologico paragonabile alla chiusura pressoché totale di ogni mostra fiera o rassegna artistica nell’intero pianeta. Dopo un’euforica partenza all’insegna del dialogo, della co-creazione, della libera condivisione degli eventi, quando sembrava che tutto si fosse spostato online e la pandemia, costringendo a sfruttare a pieno le potenzialità dei mezzi digitali, stesse spalancando le porte di nuovi mercati, si è fatta strada, tra una chiusura e l’altra via via più rigorose e soffocanti, l’amara consapevolezza di non attraversare una semplice fase, ma qualcosa di più profondo e duraturo.

Nel primo appuntamento della nuova rubrica, Sistematica, su Segnonline, ne abbiamo discusso con uno dei più influenti galleristi del panorama internazionale: Massimo De Carlo. Le sue risposte, molto personali, costituiscono una tappa essenziale di un’analisi giocoforza complessa e sfaccettata.  

Quale sarà, in questa “nuova normalità”, il ruolo della galleria intesa come spazio fisico accogliente e umano?

Non condivido l’espressione ‘nuova normalità’: la normalità non esiste, ogni contesto ha le sue specialità e sicuramente le tensioni emotive umane non si piegheranno per via di un’emergenza certo imprevedibile e inaudita ma che troverà un compimento in un lasso di tempo forse ormai anche relativamente breve. La galleria da tempo ha perso il suo ruolo unico di spazio espositivo ed è diventato uno strumento prevalentemente immateriale, basti pensare alla sua frammentazione in mille contesti espositivi come le fiere, oppure semplicemente perché l’espansione globale del mercato ha reso le gallerie punti di riferimento più che semplicemente spazi da visitare. Le gallerie dovranno certamente concentrarsi di più ora sul contesto locale, almeno fino a che non si potrà tornare a viaggiare liberamente, soprattutto per onorare il patto che gli artisti fanno con le loro opere: esistono solo se c’è qualcuno che le osserva.

Arriveremo a riequilibrare un baricentro che, negli anni, si è spostato in direzione di Kermesse globali?

Sicuramente la fase che stiamo attraversando, in cui si è costretti a operare fisicamente in un contesto locale, perdurerà. Ma le gallerie si sono molto ben organizzate attraverso la tecnologia per ovviare alle distanze, processo che era già in atto da almeno due decenni. La fiera è un organismo complesso che viene incontro a molte esigenze sia dei collezionisti che delle gallerie per cui è impensabile che sia un modello archiviato: probabilmente in un sistema già altamente polarizzato resisteranno soltanto le fiere più potenti.

Quale impatto avrà il diffondersi sempre più invasivo di piattaforme telematiche sul rapporto, anche contrattuale, tra artisti e galleristi? Sarà, ad esempio, ancora possibile garantire contratti di esclusiva, o saranno le case d’aste, già da tempo avvezze a dominare le autostrade del web, a monopolizzare il mercato?

Il rapporto tra gallerie e artisti non è quasi mai regolato da contratti e le esclusive territoriali, che hanno resistito in qualche forma fino all’esplosione del modello di galleria globale, non esistono più. Le viewing room e le gallerie virtuali, come il nostro VSpace forniscono uno strumento ulteriore per diffondere il lavoro degli artisti e per valorizzarne i contenuti attraverso strumenti espansivi che sono ancora largamente da sperimentare.

Quale sostegno attendersi dal Pubblico nella tutela del settore?

La politica italiana non si dedica mai all’arte contemporanea e alle sue esigenze normative e fiscali, raramente ne riconosce il valore culturale e economico. La risposta alla pandemia ci dimostra che nulla è cambiato. 

Prossima puntata: a colloquio con Mario Cristiani della galleria Continua.