Arte Fiera 2025
Oro del Vespro, installation view, foto courtesy by Studio 2046

Agostino Arrivabene. Nei flessuosi abissi del cinabro

Fino al 4 luglio 2023, negli incantevoli interni barocchi di Palazzo Bacchetta, sede dello Studio 2046, le opere della personale Oro del Vespro dell’artista Agostino Arrivabene sono in dialogo con il design di Daniele Daminelli.

Il progetto espositivo che coinvolge l’artista Agostino Arrivabene e il designer Daniele Daminelli si è svolto in tre fasi: Oro del Vespro dal 4 all’11 aprile presso Palazzo Bacchetta a Treviglio,  Please come back dal 18 al 21 aprilenella sede di Artcurial Italia a Milano, e l’ultima e terza fase, inaugurata l’11 aprile, e ancora in corso fino al 4 luglio, in cui i complementi di arredo, ideati per la presentazione presso gli spazi della casa d’aste al 22 di Corso Venezia a Palazzo Crespi, si coagulano in un tacito affiatamento con il nucleo di cinque opere dell’artista esposte e che vivono, sincronicamente, sugli strappi delle settecentesche quadrature del Palazzo trevigliese. L’incontro dei linguaggi ha situato una visione poetico-esoterica a fondersi con lo zeitgeist, in un unico sguardo sulla realtà dell’abitare un luogo.

Oro del vespro. Palazzo Bacchetta

Tra le vie principali del centro storico di Treviglio sorge via Galliari, in cui sono ubicati Palazzo Galliari, Palazzo Semenza, Palazzo Silva e Palazzo Bacchetta. Quest’ultimo è patrimonio FAI, e al suo interno sono stati rinvenuti i resti di una delle torri e del camminamento dell’antico castrum vetus trevigliese. Si accede al piano nobile, tramite un corridoio circondato da vedute trompe-l’oeil e da cui spicca l’ingresso allo Studio 2046. Il Palazzo fu abitato, fino al Tredicesimo secolo, dai fratelli Galliari, autori di preziosi affreschi per le case patrizie e scenografi ufficiali del Teatro Regio di Torino. I successivi proprietari, i Bacchetta, hanno commissionato al designer Daniele Daminelli l’ideazione di una collezione ispirata alla pittura dei fratelli Galliari, per dar vita al loro desiderio principale, secondo cui “… la casa continuasse a vivere d’arte”. Dal 2017, tramite un accordo tra la famiglia e il designer, lo Studio 2046 è ospitato all’interno del Palazzo con le stanze operative, tra cui una biblioteca di tessuti sul lato opposto a quello del corridoio che fa da filo conduttore per le tre sale centrali e che si affaccia sulla corte interna, attraverso delle grandi vetrate. È uno studio interdisciplinare di architettura, di interni e di product design che propone interni eleganti e versatili, secondo una rielaborazione di diversi stili di epoche lontane tra loro e in armonia.

Nell’adito il Vespro si staglia nell’ora tarda del giorno. Horus scende e irradia la Terra di una luce aurea che si insidia in uno scontro primordiale con le Tenebre che si inseguono sul finire del dì. Una retta liminale è nodo prodigioso di coincidentia oppositorum. Nel buio della Nigredo, la trasmutazione si fa Sublimazione. Si erge, nel cielo puniceo, la Cauda Pavonis. Nell’eufonia dello zeitgeist, i raggi fulgidi sfiorano obliquamente il corridoio e pervadono le sale interne ove, sugli strappi delle settecentesche quadrature, vivono le opere di Agostino Arrivabene. Nella simmetria della decorazione degli interni, si rispecchiano le proporzioni auree, le corrispondenze simmetriche e l’euritmia delle opere esposte nelle tre sale comunicanti tra loro.

Please come back. Artcurial Italia a Milano

In concomitanza della Milano Design Week 2023, nella sede diretta da Emilie Volka di Artcurial Italia, nata nel 2012 vicino al Duomo, all’interno dello storico Palazzo nobiliare, e che organizza mostre tematiche sul design e su artisti italiani, dal 18 al 21 aprile è stata esposta la capsule d’arredo ideata da Daniele Daminelli, in una neogenetica coesione germinata dal lavoro di Agostino Arrivabene. La botanica dei giardini edenici dell’artista è colta nella lavorazione dell’intarsio ligneo policromo, realizzato da GAC e dagli abili ebanisti di Treviglio, Giuseppe Redaelli e Franco Resmini, in collaborazione con GMC, azienda storica di Treviglio famosa nel mondo per l’eccellenza artigianale dei mobili d’arte. L’esposizione riprende il concept della precedente collezione The Big Dream del designer, generando un’intesa tra il recupero di sofisticate lavorazioni artigianali delle maestranze del territorio lombardo e i valori estetici contemporanei, estrapolando materiali come l’acciaio e trasponendoli in una visione del mondo domestico, in cui le geometriche finiture minimaliste sono impreziosite dal decorativismo dei dettagli tessili Rubelli.

Un sipario, con un pesante tendaggio introduce a un ambiente sacro che ci invita in un buio, quasi assoluto, e interrotto da un’illuminazione romantico-nostalgica, memore di epoche passate e librata ed emanata, nel suo effondersi, dagli abat-jours in vetro con paralume in plissé di seta e frange oro che illuminano le opere e i due divani sui monoliti. Sullo schermo di una TV vintage di piccole dimensioni si susseguono, in loop, le scene del film 2046, titolo tratto dal numero immaginato di una camera d’albergo, dal regista Wong Kar-wai e dal quale lo Studio del designer prende il nome, accogliendone la poetica esplicitata in una delle affermazioni del protagonista Tony Leung: «l’amore è tutta una questione di tempismo». L’atmosfera percepita anticipa quel passaggio del Sole e della Luna, precipuo dell’Oro del Vespro. Il porpora della seta dei divani indica regalità e sacerdozio e l’immagine della veste del Cristo durante la Passione. La “veste porpora” è anche raggiungimento dell’integrità junghiana. Sul fondo della sala, si erge l’opera Il Predestinato in eclissi che, catalizzando l’attenzione del visitatore, ci invita a un avvicinamento di sguardo. Sono profondamente attratto dal lavoro di Agostino Arrivabene, i suoi codici pittorici affondano nella vastità di una cultura letteraria, esoterica e filologicamente connessa con l’antichità classica, diventando la chiave di volta per indagare nuove strade nella nostra contemporaneità” – afferma Daniele Daminelli. Il nero della laccatura dei monoliti è prosieguo dell’ambientazione serotina. Si impongono, fulgenti al ciglio, i fiori in madreperla. Di natura pristina e verginale, la perla è traccia dell’inconscio che ripristina l’integrità di ciò che è stato compromesso nel Sé. Come l’argento vivo, le “Fluide perle” sono acqua divina. Materia preternaturale nella visione e risultato di uno sviluppo spurio, si evolve in una perfezione formale che richiama il processo artistico. Come accaduto nel passato per le grandi botteghe rinascimentali che si sono poste a fondamento nel portare i codici artistici aulici nelle Arti applicate, così Daniele Daminelli ha voluto presentare il mondo floreale, romantico e talvolta idealizzato di un percorso che caratterizza la produzione pittorica dell’artista dal 2008, per concretizzarlo in un progetto in cui l’eccellenza locale ne ha riportato i valori in un’estetica attenta e attuale. Il floreale nell’opera Il Predestinato in eclissi è rinascenza. Colui che si pone al di là del tempo e dello spazio. La deposizione della vita per la Redenzione dei molti. Sogliatra eclissamento e dimensione aurorale. Un’ascesi invade l’interno e ne traccia il confine, mentre la materia terrena spinge verso la dissolvenza. Nello spoglio costato, una tensione tutta umana si oppone a uno sguardo interno, in cui la ψυχή (anima) rivela la ferita come croce. L’inautenticità genera trascendenza nell’Ultraterreno. La sofferenza muta in elemento esteriore e individuazione di uno stadio di transito, in cui il divenire è privo di individuazione fissa. Nella transizione, la stasi è proibita dalla nascita della Zoé e dalla trasmigrazione per auto-superamento nel cuore di Dioniso. Metamorfosi come ambrosia. Cognizione di un’intima epopteia.

Nella sala interna, la ciclicità della vita si fa cerchio nella forma del tavolo, per la cui realizzazione sono stati impiegati circa venti tipi di legno, tra i quali: Toulipier, Radica di mirto, Essenza di Citronnier, Padouk tinto, Imbuia, Radica di Amboina, legni policromi tinti, Ebano, Palissandro Indiano ed Ebano Makassar. E due tipi di perle: kiotis madreperla colorata australiana e madreperla bianca asiatica. Il fiore e i dettagli esoterici-spirituali assumono la significazione di rigenerazione e processo continuativo. Lo stile rende odierna l’arte Deco. Il designer e gli artigiani di GAC hanno dato vita al disegno sullo studio della botanica dell’artista, successivamente rielaborato dall’intarsiatore per la fase finale di realizzazione. Due poltrone del “Michelangelo del legno” Andrea Brustolon con scolpiti, sui braccioli, infanti che portano il trono, rivestiti in foglia d’argento, dell’azienda storica trevigliese, GMC di Giovanni Monzio Compagnoni, corniciano il tavolo. La continuità della decorazione che prosegue dal piano fino al basamento del tavolo e la specchiatura dei fiori riprendono concettualmente l’opera Madre di Agostino Arrivabene, in cui il soggetto sembra proseguire nella sua narrazione oltre ai limiti del supporto e in cui si percepisce un andamento simmetrico. Madre, arte come rito iniziatico, scoperta del sacro, del mistero che si rivela in immagini. Battesimo di visioni sinestetiche. La polimastia è simbolo di fertilità, è pensiero mnemonico di antiche divinità. Diana di Artemide, dea della natura, divinità cosmica e precorritrice della Vergine Maria. Entrambe venerate a Efeso. Si rompe il cavernicolo della Nigredo per riammettere la fluidità luminosa della Rubedo. Groviglio di steli, come piccoli capillari cortecciali, invade il corpo sottomettendolo all’insieme, nell’unione tra essenza cinabra e compimento dell’Opus. La spinta verticale scinde specularmente il corpo e ne rivela la profondità sul paesaggio nordico nello sfondo. Si oppone l’andamento orizzontale che, iconograficamente, designa una croce di rinnovamento, forse albero della vita, prossimo al sacrificio. Linfa come floema. Mitosi generativa. Nel gesto della mano rinviene l’iconografia della Madonna del Velo. Velo della nascita e della crocifissione; culla come sepolcro. Elevare l’animo, accogliere l’eterno. Nell’ascesi, il Transitus Virginis è invisibile che si rende visibile, in una forma finita. Eterno che si eternizza.    

Fino al 4 luglio. Agostino Arrivabene e Daniele Daminelli a Palazzo Bacchetta.

Rivelazione del senso di appartenenza del nostro animo al sotteso misterico che si vela tra noi e la superfice dell’opera. Il soggetto attraversa la tela e ne prende corpo e forma, nella liricità di un pathos che si dilata in ogni direzione, fino a sprigionare un’aurea che ci ingloba a interagire nella profonda interiorità che ci incorpora nell’interazione con la viscerale profondità che l’opera reca. Attraversamento di un dolore. Connessione volontaria in un rispecchiamento che, dal microcosmo, guarda al macrocosmo, in una verticalità di andamento, in cui la cenere è rigenerazione nell’eternità della bellezza. Il Rizoma di A.W.N. Pugin. Fusione di due mondi letterari, romantico e neogotico. Omaggio alla poesia di Percy Bysshe Shelley e richiamo alla figura dell’architetto Augustus Welby Northmore Pugin. Poesia come Rizoma. Sorge il neogotico come rigerminazione sulla morte. Il mondo floreale gemmato pervade la Terra. Perpetuazione nell’animo androgino, nell’equilibrio cosmico, di unione di Sole e di Luna, del giorno e della notte. Nella conoscenza sediziosa, secondo Cioran, “Il sapere, o piuttosto il risveglio, suscita fra noi e le apparenze uno iato che, sfortunatamente, non è conflittuale; se lo fosse, tutto andrebbe per il meglio; ma non lo è: al contrario, è la soppressione di tutti i conflitti, l’abolizione funesta del tragico”. Il volto è figura celestiale sconfinata, con il divino, nell’assoluto. Corpo che dalla pietra, impresso nella posa della fine e spogliato dal suo cenotafio, è ricollocato nella sua finitezza umana come Rizoma. L’eternità nella mortalità. Nella spinta geometrica dei volumi architettonici che tendono, nell’innalzamento, al soprannaturale si persegue la metafora dell’elevazione alla volta della pura Perfectio. Nella natura che attrae in un andamento contrario, si scorgono creature demoniache legate al sentimento malinconico della fine, il loro sguardo o quel che ne resta. Il rospo chiama il peccato della lussuria, in una connessione con il capolavoro contemporaneo Erotomachia, esposto ossimoricamente nell’ultima sala, per rimembrare che il peccato e la Nigredo possano evolversi, attraverso l’ingresso della luce. Jung adottò il termine “rizoma” per indicare la natura invisibile della vita che cresce sotterranea, mentre ciò che appare ha la durata di una sola stagione, senza che il flusso vitale sia interrotto. Progredendo nella seconda Sala del Camino, entriamo in contatto con il tavolo e le poltrone esposte precedentemente ad Artcurial. Installata sulla superficie è la tassidermia L’infante. Le due aquile della decorazione della sala ne traggono l’ombra alchemica. L’aquila rappresenta l’ascensione dello spirito dalla materia prima. L’Aquila dello spirito vola nel fuoco del Sole, per poi tuffarsi nell’abisso delle acque ricche di vita, ove rinnovata e simile alla Fenice, si leva nell’aria. Aspirazione dell’anima a far ritorno nella sua patria originaria. Amore platonico. L’infante è opera simbolica del ritorno alla purezza che connota le anime neonate. È colma della stessa illibatezza che denota l’ultima fase della Grande Opera. Nel canarino bifido bianco recessivo, il piumaggio non reca alcuna macchia, implicando quella purezza alchemica dello spirito, antitetica al Nero della seconda calotta. Si contrappone al teschio, sul quale germoglia, mentre due piccoli crani di avorio fossile fioriscono su esili rami. Lucifero. Pesante ho l’anima, di una tenebra perenne. Nella luce fioca del Vespro che avvolge la terza sala, il motore che muove il peccato spinge verso le Tenebre. L’illuminazione del non-volto è tramite, per eccellenza dell’espressione dell’animo. Il volto del demone, infatti, è negato secondo quanto afferma l’artista: “Il Divino si manifesta agli occhi umani nella sua negazione”. La profondità nera dell’abisso, che ne travolge quel limite adepto, nega la significazione latina del nome Luci (lux, luce) e fero (fero, portare), tramite diverse sovrapposizioni di velature. Il dipinto nasce da un precedente autoritratto, la cui posa iconica è omaggio alla Gioconda di Leonardo da Vinci. Il ritratto, a mezzo busto, è rivolto per circa due terzi verso l’osservatore e riprende, dal punto di vista formale, alcuni ritratti del “Maestro di Santo Spirito” e di Lorenzo di Credi che elaborarono precedenti prototipi fiamminghi, come il ritratto di Isabella del Portogallo di Jan van Eyck, oggi perduto. La vicinanza con il soggetto ne aumenta il fascino e la profondità spaziale, rispetto alla selva oscura sullo sfondo. Si riconosce un’affinità con le Madonne e con i ritratti muliebri del Rinascimento, per i quali la Madre di Dio fungeva da modello. Alle spalle, un Eden di rose mosquete e di lilium candidum è plenitudine di fiori di epoca rinascimentale che, per amore e per innocenza, erano vicini alla creatura originaria luciferina, primo essere perfetto legato a Dio. La sua bellezza è condannata dalla stessa abnegazione dei tratti somatici. Raffigurata, nella raffinatezza del dettaglio è la corona, omaggio al maestro Jan van Eyck e alla sua opera il Polittico di Gand, sito nella Cattedrale di San Bavone. Sul braccio sinistro, la corona di spine della Passione è omaggio grafico alla Fornarina di Raffaello, e ricordo del messaggio di Dio nel portare a compimento ciò che era stato interrotto da Lucifero. Il fiore del papavero doppio sul petto è simbolico di una stasi onirica. Doppia è anche l’identità dell’autoritratto: sincronicamente angelica e luciferina. In primo piano, il bordo di un sarcofago, dedicato al corpo della madre, è opera nell’opera. In un trionfo della Vanitas, connotazione dell’effimero in primo piano, è il peniocereus greggi, Regina della notte, i cui fiori si schiudono al tramonto e deperiscono dopo poche ore, in un fuggevole incanto. Primo riferimento è la hybris dell’angelo caduto. L’Erotomachia infera. Omaggio a Dante Alighieri. Quinto canto inferno. L’opera Erotoromachia, dal greco eros (ἔρως, amore) e mache (μάχη, battaglia), avvolge il girone dei lussuriosi del V Canto dell’Inferno dantesco, in una scia caliginosa. La mostra è stata occasione per esporre il grande telero di due metri e mezzo per due, parte del ciclo della Divina Commedia, iniziato nel 2019. L’artista ha rispettato la descrizione dantesca, senza mai tralasciare i dettagli chiarissimi e pregni di realismo. Il Poema segue il processo alchemico che ha inizio con la Nigredo, superata da Dante nel passaggio al Purgatorio. Paolo e Francesca superano l’entelechia aristotelica per ergersi leggeri al di sopra dell’abisso verso il quale protendono le altre anime. Dante vedendo Paolo e Francesca in una luce dantesca quasi di perdono, afferma I’ cominciai: «Poeta, volentieri/ parlerei a quei due che ‘nsieme vanno, /e paion sì al vento esser leggeri». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, /quanti dolci pensier, quanto disio/ menò costoro al doloroso passo!».   Dante, secondo i romantici, difenderebbe in Francesca i diritti naturali dell’individuo, al di là da ogni legge. Non la condanna con la severità intransigente e sprezzante e ne fa una creatura gentile che ispira la pietà di Dante personaggio e quella di Dante poeta che resta a lungo a pensare a capo basso, finché la voce di Virgilio lo scuote. La pittura di matrice seicentesca, tra luce e ombra, fa fuoriuscire le immagini dal caos derivato dal peccato. Arrivabene riprende la fantasia visionaria e il disperato groviglio di anime dannate di Amos Nattini, le sapienti torsioni di Michelangelo, la fine rappresentazione narrativa di Federico Zuccari e lo scenario mostruoso di Beato Angelico. In particolare, rievoca l’abbraccio di due figure all’interno della rappresentazione michelangiolesca, tra gli ignudi perduti per via del loro attaccamento alle cose del mondo e che cercano rifugio sulla terra ferma, dell’affresco Il Diluvio nella seconda campata della volta della Cappella Sistina in Vaticano. Un abbraccio che si ritrova in Paolo e Francesca e che esprime la consapevolezza della sorte, accettandola dolorosamente, con rassegnazione. Secondo Jung, l’individuo è condotto a confrontarsi con l’Ombra dentro di Sé per giungere, tramite l’enantiodromia, allo sviluppo personale nel percorso di individuazione. L’opera nasce dall’osservazione delle nuvole cuneiformi ed è stata eseguita, utilizzando la tavolozza greca antica di Apelle (rosso cinabrese, nero e bianco), secondo le testimonianze della Naturalis historia di Plinio il Vecchio. L’azzurrino – che connota lo sfondo – deriva dal diverso impiego del nero. Nella stessa sala ci si imbatte nell’ultimo dei cinque monitor, disposti nel percorso espositivo e che raccontano la contaminazione crescente della tecnologia nella società. Oltre al loop di 2046, sono stati selezionati alcuni frame di Mulholland Drive di David Lynch e della pioniera serie televisiva statunitense Twin Peaks, ideata dallo stesso regista con Mark Frost, film icona del cinema colto. Nel corridoio, Sub-dolo, tassidermia di un capro bicefalo, presenta otto occhi come nell’iconografia medievale di Balzebù. È legata all’idea del doppio, dell’inganno e della falsità. Lo Studio si inserisce, anche con quest’opera, nel solco della tradizione della Wunderkammer. Un disegno e un dipinto del 2011 precedono la realizzazione dell’installazione. È ritratto doloso di una doppia identità, tra falsità e sincerità. Secondo il castigo dei Paesi Medio Orientali per i ladri, la zampa è tagliata. Nella ferita si innesta una dentiera ridente sardonica. Unione degli opposti chiude, nel suo significato primigenio, il progetto Oro del Vespro.

Agostino Arrivabene. Oro del Vespro

a cura di Daniele Daminelli

fino al 4 luglio 2023 su appuntamento

Studio 2046 – Via F.lli Galliari, 11 – 20046 Treviglio, Italia info@studio2046.com

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