Addio a Umberto Riva

Il 25 giugno scorso è scomparso a Palermo, all’età di 93 anni, l’architetto Umberto Riva, uno degli ultimi maestri dell’architettura italiana contemporanea.

Accademico di San Luca, Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana e Medaglia d’Oro alla Carriera attribuita dalla Triennale di Milano nel 2018, esordisce come pittore negli anni ‘50 e per tutta la sua carriera di architetto porterà nel suo operare la forte assonanza tra i suoi dipinti e i suoi disegni di architettura, tra figure e forme, in cui sarà l’aspetto figurativo dell’artista a offrirsi quale campo di prova per le sue architetture.

Architetto dal percorso non lineare, come spesso avviene per i caratteri irrequieti, termina a Venezia con Carlo Scarpa gli studi di architettura già intrapresi a Milano.

Un grande disegno su cartone di Scarpa campeggiava su una parete del suo studio di via Vigevano, a Milano, viva presenza quotidiana di uno dei maestri, insieme a Franco Albini, di cui Riva prosegue l’eredità spirituale, riconoscendoli come i modelli più affini al proprio approccio all’architettura. È del 1959 il suo primo progetto per la Casa di Palma a Stintino, in Sardegna, casa di vacanza e austero fortilizio sulla scogliera, ottenuta per addizione di volumi semplici raccolti attorno a una corte. Un gesto primario che rivela un carattere tellurico che Riva attribuisce all’abitare in questi luoghi. E il luogo sarà sempre per Riva la cifra determinante la sua architettura. Per ciò che concerne la forma: architetto di forme non preconcette. “Non ho idee progettuali a priori; l’idea nasce sempre da suggestioni: un paesaggio, il rapporto con una persona. Non calo l’architettura in un luogo; è il luogo che mi dice cosa fare”. Per ciò che concerne la memoria: avendo consapevolezza che il mondo delle cose amate è avviato verso la dissoluzione, che non esiste già più se non come traccia e sedimento, prende rilevanza, nel suo fare, una vena melanconica. 

Lontano dal clamore mediatico e dall’architettura mainstream, la sua ricerca si svolge in maniera appartata, condizione grazie alla quale riesce a distillare progetti in grado di stupire costantemente per la qualità del processo, degli spazi, dell’accostamento dei materiali, della luce e della visione che le sue architetture propongono.

Questo ne ha fatto un architetto anticonformista, autore di architetture sofisticate e “inattuali”, mai ripetute, in cui la cifra stilistica dell’autore è da rinvenirsi non tanto nella riproposizione di stereotipi autoriali ma piuttosto nella attitudine alla ricerca per pervenire a una soluzione appropriata. Una architettura che non si lascia consumare nello sguardo ma che si propone come dispositivo esperienziale e percettivo. Una architettura che si fonda sulla intensità comunicativa degli spazi, esperiti seguendo un itinerario progressivo, seppur fatto di movimenti irregolari attraverso lo spazio continuo, producendo pause e accelerazioni, configurando di fatto un nuovo paesaggio domestico. 

Designer suo malgrado (non amava questa definizione) Riva è stato autore in particolare di lampade ed elementi di arredo. Una ricerca in cui ha fuso le competenze di una alta artigianalità con gli elementi della produzione di serie. 

Una architettura controcorrente la sua, sensibile ai vuoti, alle pause, alle distanze, alle differenze e alle dissonanze, una architettura dell’invisibile, e per questo tanto più preziosa, testimonianza tangibile di libertà e inclusività, che ci trasmette un insegnamento fortemente contemporaneo di passione e dedizione.