La presentazione in anteprima del progetto si è tenuta presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia per innescare un dialogo che si è esteso con una serie di dibattiti e confronti con il pubblico già a Casa degli Artisti di Milano (giovedì 7 novembre 2024) e al Toast Project Space a Firenze (giovedì 5 dicembre 2024) e proseguirà con il Mucho Mas! A Torino (giovedì 16 gennaio 2025), per concludersi con Quartiere Intelligente – Zona Rosa, a Napoli (mercoledì 22 gennaio 2025).
Fulcro del progetto è l’indagine condotta da Cristina Cobianchi e Adriana Polveroni sugli artisti under 35 che, al momento dell’ideazione del progetto operavano nella Capitale, in luoghi lavorativi fondati e gestiti in zone periferiche, precipuamente in fabbriche dismesse, ex officine o vecchie autorimesse, laboratori artigianali in disuso, tutti agenti di una trasmutazione delle prospettive presenti.
La decentralizzazione, intesa come operazione di spostamento-migrazione verso le zone marginali dell’Urbe da parte di collettivi, costituiti da diverse figure che lavorano nel settore artistico, sussiste nuovamente da una decade d’anni, riprendendo una tradizione sorta tra gli anni ’60 e ’70 nella Capitale.
Ordunque, se il titolo della mostra When in Rome, abbreviazione di When in Rome do as Romans do ricorda il fare secondo un’attitudine locale e il tributo al nome del celebre concerto dei Genesis (2007), evidenziando la centralità della tappa romana al Circo Massimo, è la periferia – inizialmente fruita nella sua accezione puramente geografica e poi indagata nella sfera dell’intimità dell’individuo e del suo essere in relazione al tutto – il soggetto scandagliato ed esplorato dagli artisti.
Durante lo sviluppo del progetto, alcuni tra gli artisti che avevano il loro studio in periferia si sono stabiliti nel cuore di Roma. Il passaggio verso il centro intercetta il luogo espositivo, AlbumArte, come complice della mutazione intercorsa tra la fase meta-progettuale e l’apertura della mostra ai visitatori.
La ricerca ha condotto i cinque artisti a declinare la loro comune riflessione, contingente il nostro tempo, ponendo come sottotitolo le parole Al di là della Periferia della Pelle che ricordano il titolo del volume Oltre la periferia della pelle: Ripensare, ricostruire e rivendicare il corpo nel capitalismo contemporaneo dell’autrice Silvia Federici e perifrasi che intercetta l’ossimoro del “confine che separa” e del “confine che unisce”, attraverso ciò che de-finisce l’essere delle cose incarnate, decretandone l’inizio e la fine: la pelle.
Talvolta, è necessario partire dallo scardinare i singoli termini che plasmano il percorso espositivo, identificandosi questa come tessuto connettivo tra le diverse pratiche e poetiche.
La gnoseologia permette all’uomo di comprendere il circostante proprio tramite i limiti delle cose e delle parole, da cui deriva la “forma in atto” fisica e quella mentale di ciò che esiste.
La stessa manifestazione dell’essere, come unità distinta e distinguibile per la sua stessa esistenza, è fondante per discernere ciò che l’io è da ciò che non è, e dunque ciò che sono da ciò che non sono, sostanzialmente per definire la propria individualità e identità.
Al di là è il primo termine scelto che, se scisso dalla frase completa, designa l’«oltre» con le sue innumerevoli significazioni ma che, in primis, rimandano all’ossimoro sopracitato e rivisitato nel binomio inclusione-esclusione come “luogo di superamento del confine” e, unitamente “con l’esclusione di”.
Stessa funzione è svolta dalla grafia univerbata che implica, inoltre, il trascendere e lo spirituale. Ricollocando Al di là in prossimità del resto della frase, è ora ancor più esperibile quanto densa possa essere la sua vicinanza alle parole “periferia” e “pelle”. Nel misconoscimento del confine del “senza pelle”, dimora il puro spirito. La pelle è il luogo dell’accadere delle cose, è corpo visibile.
C’è un’aspirazione critica attualissima che si intercetta, in aggiunta alla liricità di alcune opere, e che vuol porre l’accento sulla nostra dimenticanza di ciò, di cui la pelle è messaggio.
“Luogo” fisico e metaforico, dotato di una struttura dinamica, è territorio in cui possiamo tanto chiuderci all’altro, de-limitarci nel nostro mondo interiore, in quanto ci “contiene”, quanto avvicinarlo, in quanto “ci pone” in relazione.
“Aprire la propria pelle” corrisponde a un abbandono progressivo dell’io frammentato rispetto all’universo per una consapevolezza ampliata del Sé che è uno con il Tutto. È vincolante sottrarre i limiti e i vincoli che non permettono l’essere comunità, per non porre ai margini la periferia.
Fin qui, abbiamo compreso come la pelle possa essere fisica, psichica e spirituale e tanto soglia quanto confine. Ma come possiamo risolvere il rischio della fragilità dell’apertura della pelle come perdita di individualità? È a questo punto che ci viene incontro una delle massime lezioni-pagine sul concetto di “pelle”, consegnataci dal suo stesso autore, Jean-Luc Nancy (1940-2021), professore emerito di Filosofia dell’Università “Marc Bloch” di Strasburgo, in una lettera, di cui riporto i passaggi essenziali, con l’invito alla lettura complessiva:
“…Se la pelle ha il carattere proprio di un’unità che sussiste da sé e al tempo stesso si relazione col mondo che la circonda come potrebbe il mondo umano, né animale, né meccanico avere una pelle, vale a dire una consistenza propria dato che non ha mondo al di fuori di sé. Anche se si concepisce come una pluralità dei mondi. Resta pur sempre opera dello spirito e dell’attività umana. La pelle è proprio ciò da cui inizia e finisce la presenza al mondo e sé stessi. Non solo la vita ma la sensibilità, l’attività e passività, l’espressività e il suo significato. Come potrebbe il mondo avere una pelle se non deve sentire, agire, significare al di fuori di sé. Ma come potrebbe non sentire, agire e significare se è come un mondo deve essere. … La pelle non avvolge un insieme di organi, espande la presenza al mondo che questi organi osservano… La pelle è l’organo dell’eteronimia di un organismo, vale a dire l’organo che mette in relazione con gli altri ciò che a prima vista sembra fatto per relazionarsi solo a sé stessi… (l’individuo) entra, cioè, come un punto distinto nella combinatoria di tutti i punti che si fanno presenti. L’individuazione è sempre una trans-individuazione… La pelle non è luogo di calcolo o misura; è luogo di passaggio, di transito e trasporto, di traffico e transazione; si sfrega e si irrita, si mescola e si distingue, si colpisce o si carezza”.
DENTRO LA MOSTRA
Superato l’adito di AlbumArte si accede, senza por tempo in mezzo, alla prima sala espositiva in cui si snodano, nella loro risultanza estetica, le opere degli artisti Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti e Adelisa Selimbašić.
Tuttavia, la decodificazione della trama semantica può essere colta secondo una modalità circolare a partire dalla segretezza dell’intimità della seconda sala, in cui sono esposte le due opere dell’artista Caterina Sammartino.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: Caterina Sammartino | con la luna sui piedi, 2024, 230x66x86cm, colori naturali, pigmento dorato su cotone, canapa e legno.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: Caterina Sammartino | di campo, 2024, 41.5×31.5 cm, pigmento e colori naturali, pigmento oro su cotone
Lo spazio muta in ambiente domestico in cui il ciglio è attratto dall’osservazione dell’opera con la luna sui piedi che trattiene la memoria collettiva condivisa di un oggetto afferente alla nostra infanzia, la culla, involucro spaziale sigillato dalle mura della sala: luogo dentro luogo. Così, appare come nido sicuro per il neonato, soggetto che avvia la pelle come principio di individuazione. Attraverso la pelle, infatti, l’infante si percepisce, percepisce ed è percepito, costruendo il proprio confine e circoscrivendo il proprio spazio e il proprio essere nel tempo attuale.
L’immaginario presenta un superamento di un senso di realtà che, da individuale, si fa collettivo, attraverso il senso di percezione di quell’oltre possibile, tramite il contatto della pelle che pone l’io in relazione con il tutto, quel tutto che, nell’ascesi, si sublima in oro spirituale.
Il percorso che dall’interno si dirige verso l’esterno e l’altro e dall’intimo al collettivo è in sintonia con la poetica dell’artista, non solo al livello installativo ma anche performativo. L’impiego della canapa tinta e pettinata situa la doppia valenza di gioco nella culla e di corpo, essendo la fibra della pianta assimilabile al capello umano; ergo si torna al dualismo collettivo-intimo e alla possibilità-impossibilità di superamento del confine.
L’unione di materiale naturale che rievoca l’umano e non naturale, emblema dello spirituale si ripercorre nella seconda opera, interpretabile come icona astratta. La tela pittorica di campo sembra accogliere, metaforicamente, il senso di con la luna sui piedi che accresce la verbalizzazione dell’astrazione, in cui possiamo riconoscere la volontà di superamento, espressa dall’artista, attraverso la simbologia della “luna sui piedi” che capovolge l’iconografia classica della “luna sotto i piedi” nell’immagine della Vergine Maria descritta, nel libro dell’Apocalisse di San Giovanni, come donna “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e sul capo, una corona di dodici stelle”.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: (da sinistra a destra), Verdiana Bove | Molto difficile da dire, 2024,180×100 cm, olio su tela
Guglielmo Maggini | Potrei stare meglio, 2024,14x13x10cm, ceramica smaltata e resina poliuretanica
Verdiana Bove | Ascoltava e si sopiva II, 2024, 35x25cm, olio su tela
Di profonda intimità si nutre anche la poetica dell’artista Verdiana Bove che, nella mostra di Bologna, condivide l’ambiente ipogeo di Adiacenze con Caterina Sammartino. Nel primo allestimento ad AlbumArte è, invece, proprio la sua opera pittorica Molto difficile da dire ad introdurci nella prima sala. Nell’opera, è ancora una volta il puer ad essere soggetto principe per l’artista che attua, tuttavia, un’alternativa singolare rispetto alla sua già nota produzione pittorica.
Il giovane uomo sembra quasi perdere il perimetro della sua connotazione figurale per farsi paesaggio sotteso in un velo atmosferico. La dispersione del confine indica come la materia del tessuto della camicia sia metafora dell’”apertura della pelle”, della rivelazione dell’io che stringe il respiro del mondo. Avviene, secondo questo processo, la modificazione del corporeo in incorporeo, in quella tensione pittorica tra la luce e l’ombra e la materia molto piena e molto vuota.
Puntualmente, in tale continuità, si registra l’emersione dal suolo memoriale, il ricordo e l’oblio degli uomini, la loro origine, il loro passato e il loro rivolgersi al futuro. L’inclinazione al ricordo che ha determinato i personaggi scelti, immersi nella quiete ambigua di un tempo non definito, è ripercorribile sin dalla prima fase di ideazione dell’opera, per la quale l’artista ricorre al suo archivio fotografico familiare che permea l’intera produzione, come anche il secondo lavoro in mostra, Ascoltava e si sopiva II.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view, courtesy l’artista
In foto: Molto difficile da dire, olio su tela, 180×100 cm

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view, courtesy l’artista
In foto: Ascoltava e si sopiva II, 2024, olio su tela, 35×25 cm
Il riaffiorare verso la luce, l’esistenza e quindi l’esistere è l’attraversamento auspicato dalla pelle del puer. La sintesi evocativa si altera in fermezza descrittiva in Ascoltava e si sopiva II, in cui l’uomo tende l’orecchio a una luce colma di materia, ascoltando una presenza-assenza.
Domina il centro della sala l’opera Marane di Guglielmo Maggini, un’installazione pavimentale in ceramica smaltata e resina poliuretanica. La ceramica assume una dimensione ambientale e ridefinisce lo spazio architettonico come volume plastico.
L’artista si pone con una modalità diametralmente divergente rispetto all’intervento permanente operato per il Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, in cui un flusso di ceramica e resina si dilaga, gremendo lo scalone d’ingresso, senza modificare l’architettura circostante. A Roma e a Bologna, infatti, il flusso si riappropria della propria linfa, offrendosi come identità autonoma e in grado di modificare lo spazio, con cui interagisce, originando un’architettura da attraversare e in cui immergersi.
La materia, portata dall’artista riecheggia la “Marana”, termine romano con cui si traducono gli stagni, i piccoli corsi d’acqua ma anche le aree paludose, in cui Roma stessa è stata edificata. Sulla città eterna, Maggini scrive: “La città che mi ha dato le origini e in cui tutt’ora annaspo tra tracce fibrillanti che affiorano e sembrano scorrere via come relitti di un tempo passato sempre presente.
Come sta Roma? È viva eppure stagna. Io? Vivo e stagno. Forse… potrei stare meglio?
Domande impresse sulle guance come le pieghe del cuscino al risveglio. Nastri tra le aiuole calpestate. Poltiglia di platani su lungotevere. Gorghi di tombini bulicanti che sembrano voler dire la loro sull’incuria mentre si tingono di tramonti rosa incandescente. Contraddizioni e stratificazioni tra alto e basso materialismo…” .
I tagli, le lesioni e le torsioni volumetriche, raccontate dal nostro, sono fenditure e rilievi, in cui si increspa lo stesso barlume che tinge il dinamismo della pelle nel suo fragile coinvolgimento con il creato che abita il finito e l’indefinito. È un aurorale che si fa corpo e volto larvale in Potrei stare meglio.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: Guglielmo Maggini | Marrane, 2024, composizione di più elementi-dimensioni ambientali, ceramica smaltata e resina poliuretanica
Sullo sfondo, Adelisa Selimbašić | Se lo spezzi ne parliamo,2024, 40x30cm, olio su tela

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view, courtesy AlbumArte
In foto: Guglielmo Maggini | Potrei stare meglio, 2024, ceramica smaltata e resina poliuretanica
La curva della materia che fonde se stessa, nel suo proprio volume, guarda direttamente alla posa del soggetto dell’opera Le chimere del tram 8 di Pietro Moretti e ne richiama, spontaneamente, l’uso dei colori acidi che ricordano i videogiochi anni ‘80 e ’90, oltreché le colorazioni naturali e respingenti.
La scena dell’opera di Moretti accoglie, in primo piano, tre figure adolescenti in cosplay. Sonic, Doremi e Sailor Moon Super S si tengono avvinghiate sul retro del tram 8, lasciandosi trasportare durante la corsa, mentre sullo sfondo si osserva una città dormiente. Nella relazione con l’opera di Maggini, il gruppo delle tre cosplayer è affrontato come un’unica entità, per via del rapporto simbiotico e soffocante che lascia svanire il mondo. Sebbene il cosplay orienti l’individuo a impersonare la finzione, possiamo considerare la pratica non solo come una forma di escapismo di se stessi e dalla solitudine del proprio corpo ma anche positivamente come reinvenzione del sé e delle dinamiche sociali, in cui si vive.
Si ripete di nuovo quel doppio filo che percorre sentieri antitetici. E ciò è palpabile sin dal titolo del lavoro che rimanda sia ai mostri mitologici che ripensano la pericolosità della sospensione delle tre figure sul tram, sia alla chimera come sogno e utopia di vivere un’altra realtà, per potersi reinventare. Lo stesso tram 8, visto dal nostro come uno scorcio di futuro in mezzo alle rovine, porta fuori e dentro dalla città, seguendo quel moto che, oltre a compenetrare l’intera tela, appartiene alla pelle.
Nello skyline cyberpunk anime, si avverte il mondo immaginato dalle tre cosplayer, in cui si ravvisa il movimento della città notturna, tramite piccole scenette immerse nel tramonto romano.
Come in uno storyboard dallo sviluppo ermetico, si approda all’opera Ritorno a casa, in cui l’individuo che raccoglie le tre anime tenta di afferrare il tram già distante. Possiamo domandarci, a tal punto, se la visione parla della realtà data o di una chimera che si allontana.
La pelle è membrana con cui reinventarsi, può essere mascherata o mascheramento.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: sulla parete a sinistra, Pietro Moretti | Le chimere del tram 8, 2024, 210x160cm, acquerello, olio su tela
al centro, Guglielmo Maggini | Marrane, 2024, composizione di più elementi-dimensioni ambientali, ceramica smaltata e resina poliuretanica | sulla parete a destra, Adelisa Selimbašić | Se lo spezzi ne parliamo,2024, 40x30cm, olio su tela

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: a sinistra, Verdiana Bove | Ascoltava e si sopiva II, 2024, 35x25cm, olio su tela
a destra, Pietro Moretti | Ritorno a casa, 2024,50x40cm, acquarello e olio su tavola di legno
Con un orientamento contrario, si svelano le due opere Se lo spezzi ne parliamo e Una fantasia ricercata di Adelisa Selimbašić che riconduce la pelle al suo nucleo di senso primigenio, chiudendo e riaprendo concettualmente, con i due lavori, il percorso espositivo.
La percezione non convenzionale del corpo si sposa con scene di vita quotidiana, mostrate attraverso un formato fotografico che ricorda le piattaforme di social media, restituendo, allo stesso tempo, un senso di familiarità e falsa intimità. Le immagini – che si trasformano in archetipi generazionali, focalizzati sulla body positivity – cercano l’attrazione e la tensione del tocco fisico.
Nella sfera del corporeo dell’artista, la “pelle” è scandagliata attraverso il “colore”, in quanto diviene – afferma l’artista – “piscina di colori” per la sua fluidità che valica le linee di contorno, per espandersi e dilatarsi uniformemente nella cromia spaziale, La pelle è, inoltre, riflesso del presente, di cui assorbe e restituisce ogni cosa. La sua organicità non cela ma rivela ciò che contiene sotto il suo stesso strato. Il colore della pelle non è solo contenitore di quanto risiede al nostro interno ma è anche rivelazione delle tracce che la pelle trattiene a seguito del suo con-tratto con ciò che la tange e la riveste, come gli stessi indumenti.
Nella pelle, attraverso la pelle, fuori dalla pelle. L’ennesimo scrigno sentimentale.

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view,
photo by Giorgio Benni, courtesy AlbumArte
In foto: Adelisa Selimbašić | Una fantasia ricercata, 2024, 200x300cm, olio su tela

Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić, 2024 (Avviso Lazio Contemporaneo 2022) exhibition view, courtesy l’artista
In foto: Adelisa Selimbašić | Se lo spezzi ne parliamo, 2024, 40×30 cm, olio su tela
When in Rome: Al di là della periferia della pelle
Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti, Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašić
A cura di Adriana Polveroni
dal 18 novembre 2024 al 4 gennaio 2025
ALBUMARTE ROMA – Via Flaminia 122
dal 9 al 23 gennaio 2025
ADIACENZE BOLOGNA – Vicolo Spirito Santo 1/b
In collaborazione con Adiacenze Bologna, Accademia di Belle Arti di Venezia, Accademia di Belle Arti di Frosinone RUFA – Rome University of Fine Arts, Casa degli artisti Milano, Mucho Mas! Torino, Toast Project Space Firenze, ZonaRosa – Quartiere Intelligente Napoli, Condotto48 Roma
Info: Ufficio Stampa – Press Contacts Maria Bonmassar +39 06 4826370; +39 335 490311; ufficiostampa@mariabonmassar.com