Arte Fiera 2025

Una capatina al Prado

Dal Trittico delle delizie ai Gremlins il passo è breve.

Mi sono chiesto più volte il perché della mia attrazione per Hieronymus Bosch: una vera ossessione. I suoi personaggi mi hanno sempre intrigato. A volte sono figure inquietanti, eppure mi appassionano. A pensarci bene, mi appassionano proprio perché sono inquietanti, anche se non è questa la sola ragione del loro fascino fatale. Credo che essa vada piuttosto cercata nel loro carattere e nelle loro dimensioni. Minuscoli e, a tratti, irriverenti non fanno poi così paura. La fanno quel tanto che basta perché chi li osservi sperimenti l’ebbrezza, il brivido del rischio, senza tuttavia esser costretto ad affrontare – almeno così pare – un pericolo concreto. La prima volta che ebbi distintamente una tale percezione fu parecchio tempo fa. Correva l’anno 1986 e in tv davano i Gremlins: il film era uscito prima al cinema, ma io ero troppo piccolo e non potevo andare; stavolta, però, non c’erano scuse. Mi chiusi in camera, mi misi comodo sul letto e accesi il televisore – all’epoca, sembra incredibile ma è vero, non c’erano ancora i tablet; in compenso c’era uno schermo in ogni stanza. Il film sembrava un’allegra commedia di Natale; era la storia di un tizio che, entrato in un negozio cinese per comprare un regalo al figlio, si era portato a casa uno strano animaletto. Ma con qualche raccomandazione: se lo si esponeva alla luce, si stordiva; se si bagnava, si moltiplicava; se mangiava dopo mezzanotte, si trasformava in gremlin. Come da copione, nel film nessuna delle istruzioni per l’uso viene rispettata, innescando la metamorfosi kafkiana del batuffolo gentile in una creatura intelligente, dispettosa, persino cattiva: qualcosa di simile a un bimbo cui un genitore apprensivo o un nonno ingenuo ha fatto dono di uno smartphone. Ricordo ancora il mio saltare giù dal letto quando i gremlin – non uno, ma legione – all’improvviso si materializzavano, seminando il terrore. Un terrore che mi ha accompagnato da grande nei momenti più impensati, dalla visione di Jumanji a quella di Jurassic Park – andai con un’amica al cinema per non so quale capitolo della saga e all’uscita mi sentii dire che il vero spettacolo non erano stati i dinosauri, quanto le mie torsioni sulla sedia – ma non mi ha mai distolto dalla simpatia per il mostruoso. Bene, il grande Bosch aveva compreso questa umana debolezza con alcuni secoli di anticipo. Perciò, immaginandosi i visitatori accalcati sulla soglia dei suoi capolavori, aveva pensato i dipinti come specchi deformanti in cui i loro vizi, i loro turpi errori si rendono palesi. Basta guardarli, e lo specchio rivela la loro – e nostra – indole reale. Gli animaletti siamo noi. Siamo noi che bagnandoci, mangiando, esponendoci alla luce in quella gigantesca orgia al centro del Trittico delle Delizie ci convertiamo in mostri. O meglio, non ci convertiamo. Ci riconosciamo per un istante per quello che siamo, per rifugiarci subito dopo nella solita, rassicurante cecità: “ma di che ti preoccupi, è solo una finzione”. Magari fosse vero. Forse l’unico modo per sfuggire al sortilegio è vincere l’arte con le sue stesse armi: farci a nostra volta specchio. Ci aveva provato Dalì, che da un dettaglio del Giardino dell’Eden, la prima pala del Trittico, ricavò il suo autoritratto nel Grande Masturbatore. Bosch non aveva visto Dalì. Fu Dalì che si riconobbe in Bosch e, da allora in poi, fece di tutto per assomigliare al quadro. Mostro tra i mostri, nessuno lo avrebbe notato. Il personaggio avrebbe soppiantato l’uomo. La lezione è di una chiarezza disarmante: un Vittorio Sgarbi, che ha costruito negli anni il suo personaggio parafulmine, resiste a scandali capaci di atterrare un elefante; un ministro, o un presidente di fondazione – è della settimana scorsa la notizia delle dimissioni di Calogero Pumilia, Presidente della Fondazione Orestiadi, alle prese con la turbolenta gestione di Gibellina capitale della cultura 2026 – è costretto a gettare la spugna alla prima politica ingerenza… Gente di cultura, ma non vi pare il caso di fare una capatina al Prado e al Reina Sofia o, se vi sembrano lontani, di rivedere il film-culto di Joe Dante? La mostrificazione omeopatica, indotta dall’arte, è il migliore dei vaccini!

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