La vita è un viaggio verso l’altrove. Alcuni viaggiano leggeri, altri carichi di pesi. Ci sono i contadini con le falci, gli operai coi martelli, gli inventori coi loro alambicchi. Ma le valigie più pesanti sono quelle degli artisti. Al loro interno non si trovano infatti semplici strumenti del mestiere: l’arte è uno specchio e, in quanto tale, riflette una pluralità di discipline come la matematica, la fisica e la biologia. Come interpretarla – e non mi riferisco solo all’arte contemporanea – senza tenere conto delle grandi scoperte e speculazioni della scienza, dalla prospettiva rinascimentale alla teoria dei quanti? L’opera di Rosa Mundi, artista italiana di fama internazionale che, dopo la Biennale di Venezia del 2022, dove è stata protagonista del Padiglione San Marino, è stata più di recente al centro delle biennali di Dakar, di Cipro e di Albania, non costituisce un’eccezione.





Il 30 gennaio scorso con l’organizzazione del Console italiano in Giappone Marco Prencipe e per le cure di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, Rosa Mundi ha infatti presentato presso l’Hotel Conrad di Osaka, città sede della prossima Esposizione Internazionale, Umanità in viaggio, una parure di valigie che indaga il rapporto tra l’homo viator, l’universo e lo spazio incommensurabile del tempo. Ideata per un solo giorno, l’installazione racconta in sette tappe – tante quanti i giorni della creazione biblica, comprensivi del giorno di riposo, che ne è parte integrante: contemplare il creato è azione creativa quanto lo stesso creare, come sa bene chiunque si soffermi, poco prima di partire, di fronte a un bagaglio preparato con fatica e dedizione – la storia del genio universale, con particolare riguardo al genio italiano. Si comincia con Ominide, una piccola valigia in marmo nero tempestato di fossili che sembrano restituire un paesaggio galattico. L’esperienza umana a questa altezza è molto breve ma densa e corposa perché in simbiosi con la natura, lontana dalla visione dominatrice dell’uomo sul mondo tipica delle ere successive. Segue Homo Sapiens, la rappresentazione dell’uomo che scopre il fuoco e dà avvio alla sua necessaria relazione con la tecnica;Homo Vitruvianus, la terza valigia, è un omaggio a Leonardo da Vinci, al Rinascimento e all’Umanesimo, che ha collocato l’uomo al cuore del cosmo, centro e misura di tutte le cose, punto di mediazione tra la feritas dei bruti e la divinitas del Creatore; Homo Gutenberg è poi il racconto della rivoluzione della carta stampata, che ha reso il sapere accessibile a chiunque, facendo di Venezia, la patria dell’autrice, la dominatrice di un mare non più solo salato ma nero come l’inchiostro tipografico; Homo Electricus è quindi dedicata alla scoperta dell’elettricità e alle sue applicazioni, da Alessandro Volta in avanti; Homo Ubiquity riflette sull’era delle telecomunicazioni, da Meucci a Marconi; Homo Digitalchiude il percorso con la moltiplicazione dell’identità umana nell’era del cyberspazio e dell’intelligenza artificiale. Queste le valigie che l’artista ha portato con sé in Giappone: le stesse che lo scorso anno facevano parte di un’istallazione più complessa, l’Europosaurus Horologeri, composto da ben diciassette valigie, tante quante le epoche del viaggio dell’uomo individuate allora dall’artista. Che tuttavia, come dimostra la scelta per Osaka, non ha alcun intento didascalico: le valigie sono chiuse.



Fuor di metafora, non sono trattati da leggere ma scrigni carichi di spunti attualissimi, da amplificare nel presente. Lo testimonierebbe, se ve ne fosse bisogno, l’ultima opera presentata in Giappone, Pinocchio 2000: A.I. Il burattino di Collodi, nella versione di Rosa Mundi, non ha più uno ma due nasi. È una sorta di Giano Bifonte in cui, come accade sovente in questi tempi post umani, il gioco si fa incubo, il vero si converte nel suo opposto. E tuttavia una speranza permane: il legno del burattino, come ogni altro materiale usato dall’artista – dal vetro e dalla plastica dei rifiuti marini, alle tempere ricavate dalle piante del suo giardino veneziano al ferro dei cerchi di antiche botti usate per il vino – è riciclato, e in quanto tale simbolo di cambiamento. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma: l’arte rigenera la vita, che per chi non lo sapesse è il tema del Padiglione italiano all’ormai imminente Expo.