Stephanie Dinkins ha partecipato all’Oscar Pomilio Forum a Pescara il 25 luglio 2024, cercando di coinvolgere le persone comuni nell’intelligenza artificiale e promuovere la loro partecipazione attiva. Condivide la sua esperienza di aver visto robot su YouTube e di aver deciso di diventare loro amica. Si interroga sulle risposte politicamente corrette ricevute e si chiede chi informa l’intelligenza artificiale, riflettendo su come possa contribuire a migliorare la situazione.
Stephanie non è un esperta di tecnologia e non conosce codice. Sottolinea che la maggior parte degli americani non rappresenta adeguatamente la realtà degli afroamericani. Ha rivisto i dialoghi e osserva che Wikipedia non è così globale come appare. Il suo lavoro si concentra su diverse comunità e ogni progetto è un tentativo incerto.
Non ci fidiamo dell’AI e di molti progetti considerando la gente come semplici consumatori. Stiamo creando scenari per supportare l’AI, mentre Chat GPT comprende cosa sia una foto perfetta. È necessario rivedere le regole del copyright e la proprietà intellettuale, cercando un modo personale per diffondere la nostra arte.
Hai esplorato anche l’utilizzo della blockchain nei tuoi progetti legati all’AI e alle nuove tecnologie?
Penso che l’utilizzo della blockchain sia interessante in termini di attribuzione e, forse, di etichettatura delle opere in modo da sapere da dove provengano. Sto pensando molto. Ho lavorato su progetti che sono collegati alla questione di come iniziamo a pensare a redistribuire le ricchezze. Per me l’idea della blockchain e delle riparazioni sono legate e sto riflettendo su come potrebbero funzionare. Non la sto ancora usando attivamente, ma sto pensando molto a come potrebbe essere utilizzata per fare cose diverse o per distribuire fondi in modo diverso e per dare credito alle persone per ciò che hanno fatto. Non lo so, è qualcosa di nuovo, è un pensiero che continuo ad avere e poi mi chiedo effettivamente come fare, perché molte persone stanno facendo diversi tipi di organizzazioni, diversi tipi di attribuzioni con la blockchain e sta andando bene. Non ho ancora trovato la mia risposta esatta, ma sono molto interessata a questo ambito e a cosa potrebbe significare per noi.
Qual è il tuo pensiero sul diritto d’autore?
Per me il copyright è forse un concetto superato e dobbiamo davvero pensare a cosa verrà dopo di esso. Esiste l’idea del Creative Commons, dove possiamo dire che puoi utilizzare qualcosa senza pagare. Però nel caso tu lo stia usando per scopi commerciali, allora in quel caso devi pagare. Tuttavia, penso che il copyright non ci serva più. E questo è interessante perché di recente sono stata in contatto con un avvocato per la mia attività e per altre cose, e vogliono che io metta il copyright su tutto. Penso che questo non abbia senso. Non voglio mettere il copyright, ma loro non hanno una risposta per questo. Qual è l’alternativa al copyright?
Sarebbe bello se la gente conoscesse quello che ho creato. È bello che il mio nome sia associato a quello che ho fatto. Ma per me è ancor più importante che l’idea possa diffondersi nel mondo ed essere riconosciuta, piuttosto che mettere un copyright su qualcosa che ho creato e limitare la diffusione. Ritengo che il copyright non possa più contenere le idee. Quindi come un oggetto o qualunque altra cosa possono fluttuare liberamente, così anche l’idea può farlo. Penso che le idee possano generare altre idee e propagarsi, e la mia speranza è che le persone riconoscano il mio contributo e tornino da me, così posso continuare a creare e a guadagnare per andare avanti. Non è più necessario che qualcosa sia di tua proprietà, poiché sembra che questo concetto non funzioni più.
Sul tuo sito web ho visto il lavoro che stai facendo con la comunità afroamericana di Brooklyn e il progetto di inclusione con cui lavori. Non pensi che sia una forma di razzismo inverso?
Onestamente no, capisco quello che stai dicendo, ma a volte c’è bisogno di riunire le persone in gruppi che possano comprendere, in modo da poterli informare e poi lasciare che loro informino le proprie comunità. Credo che all’interno delle comunità nere degli Stati Uniti ci siano diversi tipi di “blackness”. Le persone vengono spesso lasciate fuori o disconosciute, quindi sembra necessario riunire le persone affinché possano comprendere. La mia speranza è sempre che non rimanga questa prospettiva, ma che si evolva: vivo in comunità dove noto che le persone vengono escluse. Ad esempio, io ora vivo a Brooklyn, in un quartiere che è stato storicamente un po’ trascurato, sottofinanziato, ma sono cresciuta a New York City nel quartiere di Staten Island, a 15 miglia di distanza da Brooklyn. Un quartiere benestante, dove vivono più bianchi che neri. Stessa città, risultati molto diversi.
Potrei parlare con queste persone di Staten Island, ma hanno già una base di partenza, quindi sento che per me sia più importante parlare con le persone afroamericane di Brooklyn che sono state lasciate indietro e cercare di portarle verso una maggiore accettazione generale, verso una maggiore conoscenza generale. È lì che posso essere efficace. È come in un diagramma di Venn, parlo a questo gruppo di persone e loro si collegano a quelle persone con cui sono cresciuta. Non rimangono separati. Si tratta di dare potere in piccolo modo e sperare di spingere le persone nel mondo in un modo diverso, così che siano più sicure e pronte a interagire, perché hanno ricevuto un’educazione molto diversa sul mondo ed è spiacevole.
Non pensi che questo possa influenzare negativamente queste persone rimanendo con loro stesse?
Si, penso che anche questo sia un problema. Tecnicamente sono un’internazionalista, mi piace l’idea che persone diverse si incontrino, ma mi piace anche che questi gruppi si riuniscano. Ho fatto parte di un gruppo dove c’era un gran mix di persone, per lo più afroamericani e poi altri gruppi minoritari. Gli afroamericani spesso prendono il controllo e dicono che si tratta di una cosa per loro. Non penso sia positivo, perché limita le possibilità con altre persone presenti nello stesso ambiente.
Questo, invece, è un ambiente con persone di diverse generazioni, razze e abilità.
Perché, quindi, non lavoriamo insieme in questo modo?
Perché, in realtà, il mondo con cui devi confrontarti non è esattamente così, sebbene io capisca il supporto che si può ottenere stando con persone simili a te. Soprattutto se non hai mai avuto questo tipo di opportunità, questo supporto può essere davvero forte. Di recente ho incontrato qualcuno che è cresciuto sempre in quartieri afroamericani e mi ha detto:” Mi sono sempre sentito così sostenuto che sono solido, posso andare ovunque nel mondo perché la mia comunità mi ha sostenuto in un modo che mi rende completo e, perciò, capisco la mia freddezza, posso affrontare il mondo.” Ma per le persone che si sentono spalle al muro e che sono state maltrattate e oppresse e non hanno quella forza, è più difficile fare quel passo, finchè non si tende a voler afferrare qualcosa.
Spesso le comunità afroamericane emulano quelle bianche, anche se non le apprezzano. È come chiedersi “che cosa stai facendo?”, perché almeno dovresti avere le tue idee su cosa vuoi fare e su cosa è di supporto per te, non solo cercare di ottenere ciò che ti è mostrato come segno di successo o altro. Quindi è un luogo di negoziazione molto strano.
Ti vedi più come un artista, come un terapeuta, come un terapista d’arte o niente di tutto questo?
Mi definisco un’artista, in particolare perché l’arte mi permette di accedere a molti mondi diversi. Come artista, ho lavorato in ambiti che vanno dalla pratica sociale alla tecnologia e, a volte, fino al giornalismo. Il mio lavoro è stato visto sotto luci molto diverse tra loro e questo mi ha portata in vari ambienti, cosa che trovo molto interessante.
Posso fluttuare per capire diversi modi di pensare le cose e usarli per arricchire la mia pratica e poi parlare con la gente. È interessante perché la gente a volte dice “Oh, sei una tecnologa!”, ma no, non lo sono, sono un’artista, sono una persona a cui piace creare, nella speranza di suscitare riflessioni di genere e azioni per i diritti degli altri, e questo è ciò che faccio. Penso che sia una definizione magica, davvero magica.
Per quanto riguarda il software AI, oggi è diventato difficile manipolarlo come facevamo una volta, perché il modo in cui il software è protetto rende complicato interagire con l’intelligenza artificiale. Sto cercando di nutrire l’AI, fornendole diversi input per cercare di renderla un “cittadino” migliore, ed è una questione di insegnare piuttosto che prendere ciò che essa restituisce.
Dobbiamo investire tempo e sforzi, altrimenti otterremo solo risultati banali, come se la macchina fosse “addormentata”.
Come vedi l’arte contemporanea e l’IA?
Non lo so, spesso è noioso. Puoi ottenere queste cose che sembrano davvero divertenti, fantastiche, ma non c’è molto pensiero dietro, e neanche molta competenza. E per me si tratta tutto di competenza di pensiero.
Puoi semplicemente fabbricare qualcosa che sembra figo. Questo è qualcosa di cui discuto spesso con i miei studenti, loro dicono: ”Oh, ho appena usato questo software ed è così figo!” Che cosa sta facendo? Qual è la sua funzione nel mondo? È questa la vera domanda.
Penso che l’idea dell’arte nell’IA sia quella di mettere in discussione l’IA e l’arte che ne deriva e perché viene fatta in quel modo, non come se pensassimo agli NFT che risultano un movimento pronto solo a pompare spazzatura continua. Stiamo pagando un sacco di soldi per gli NFT, troppi. Perché questo dovrebbe avere un valore di mercato? E chi l’ha fatto? Questo è il mio punto di vista: qual è il valore sociale e come sta comunicando.
Molti musei conservano opere d’arte nei sotterranei per preservarne il valore o per mancanza di spazi espositivi. L’arte non dovrebbe essere sempre condivisa e a disposizione di tutti?
Devi sperimentare l’arte. La domanda da farsi è: stai sperimentando in prima persona? È qualcosa che hai visto su Internet? Se l’hai messo semplicemente in una scatola non funziona, è quasi come se non esistesse. La domanda diventa quindi: è meglio tenerla e non farla esistere nel mondo o far sì che la gente ci pensi? Oppure condividerla con il mondo e lasciarle fare il suo lavoro?
A mio vedere la gente deve avere la possibilità di vedere tutta l’arte disponibile.
Penso che l’arte sia davvero importante in questo senso, bisogna creare la possibilità affinché le persone possano vedere, il che significa che non puoi metterla in una scatola anche se c’è chi potrebbe trarne profitto.
Ha collaborato Pietro Battarra