ARCO Lisboa
Alicya Ricciuto, 1200m, 2024, cardi e rete, dimensioni variabili. Credit Sara Ferranti

Rue: tra storie ed enigmi negli spazi di Officine Brandimarte

Dal 14 marzo al 26 aprile 2025, presso Officine Brandimarte Art Space ad Ascoli Piceno è allestita la mostra collettiva Rue, a cura di Barbara Caterbetti e Valentina Muzi, con le opere di Mara Cucu, Alexandra Brinzac, Laura Paoletti, Maria Elena e Alicya Ricciuto, Giorgia Mascitti, Alex Urso e Marzio Zorio.

In questo spazio artistico si plasma il termine “rue”, che si riferisce alle antiche vie di Ascoli Piceno che conducono al centro storico, attraversando la città come rughe permeate da una storia di leggende, tradizioni popolari e segreti esoterici.

Le opere esposte sono intrise di memorie intrecciate come fili indissolubili tra realtà e mistero, rivelando una profonda indagine dell’Io intersecata con l’osservazione del mondo esterno, come un sipario che si apre e si chiude, per mostrare e nascondere.  Attraverso questa esperienza catartica, si è interamente avvolti da un senso di contemplazione, unico nel suo genere, capace di far rievocare anche i più latenti ricordi.

Mara Cucu, nella sua opera Kenopsia. The eeriness of places left behind, dispone le sue piccole tele in cerchio, «componendo un flusso continuo di forze che si rigenerano in un movimento senza fine, come raccontano le credenze particolarmente diffuse nella zona dell’ascolano, quando in montagna si trovavano i solchi lasciati dalle danze notturne delle streghe, che erano solite fare in circolo: ne era la prova la nascita del “cerchio delle streghe”». Ricordando l’opera “La Danse” di Henri Matisse, gli oggetti familiari dipinti sembrano coinvolti all’unisono in una ciclica danza, riecheggiando di un’intima musicalità.  Infatti, l’importanza del suono e del ritmo, per coinvolgere poeticamente i sensi dell’osservatore, è chiara anche a Marzio Zorio che, con la sua tela monocromatica nera, apre una finestra sull’invisibile, con lo scopo di portare all’interno dell’area espositiva le frequenze della città di Ascoli Piceno. In questo modo, il suono riempie lo spazio in cui dimora, intessendo un legame intenso tra tempo oggettivo e soggettivo.

Sulla distorsione della dimensione temporale e onirica si focalizza l’artista Alexandra Brinzac con la sua opera How my ADHD feels, dove le sinuose spirali delle chiocciole abbracciano un cuscino, esasperando la consapevolezza di un turbinio di emozioni, tra caos ed equilibrio, generato da una vorticosa condizione psicologica. 

Tale suggestione si collega alla figura della Sibilla marchigiana avvolta in un fascino sinistro e ambiguo, che ha il potere di tenere celato e custodito un sapere oscuro, rivelando oracoli solo a chi le si rivolge, poiché pronto a interrogarsi sul proprio essere e avvenire.

La Sibilla ha la possibilità di mettere in atto questo percorso di conoscenza anche con la compagnia delle sue ancelle, a cui Giorgia Mascitti dà un volto, trasformando le raffigurazioni della Vergine realizzate nel ’400 dall’artista Vincenzo Pagani e ritraendole nelle opere Ardore, Zelo e Vigore. A queste immagini si affianca Il sentiero delle fate-giocattolo, una serie di piccole sculture nata prendendo ispirazione da un percorso in ghiaia dei Monti Sibillini soprannominato “strada delle fate”. Si raccontava che lì vi abitassero le fate dai piedi caprini, ancelle della Sibilla, dolci danzatrici, ritenute creatrici del ballo marchigiano del saltarello.

A proposito di ritualità, ricordo che leggendo alcuni versi di antichi poeti, sono venuta a conoscenza di un’arcana pratica: per ricevere risposte sui misteri del futuro, si praticava un inquieto soliloquio, rivolgendosi al cielo e, in particolare, alla Luna, interrogandola sulle verità universali, come nella serie Notturno di Laura Paoletti che, attraverso la tecnica del monotipo, tinge la notte di una lucentezza estremamente magica, dando vita a un incantesimo che risuona nell’immaginazione onirica, fortemente magnetico per chi è ricolmo di un’anima sensibile che si interroga costantemente sulla sua origine. «Ispirandosi al “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi, l’artista crea un portale, dove figure di fanciulle si fanno interpreti, come il pastore, di una saggezza antica, rivolgendosi direttamente alla Luna, interrogandola sul senso del suo moto perpetuo». Ritengo che questa opera abbia un’importante interconnessione romantica anche con l’installazione di Alex Urso Senza titolo (Nella notte mai trovato ristoro) che «s’inserisce in un dialogo profondo con il mistero della notte, in cui le certezze sono smarrite, come accade nell’oscurità delle montagne delle Marche dove si anima il mito della Sibilla, che, legata alle profezie e agli arcani irrisolti, ha il potere di leggere il futuro, ma è destinata a vivere nell’isolamento e nell’incomprensione». Infatti, non si può negare che come è comune il desiderio dell’uomo di conoscere se stesso e si possa definire appagante la possibilità di tracciare una propria storia che viaggia tra passato e futuro, così, al contempo, resterà sempre vera anche la difficoltà di accettare la condizione che si vede sobbarcare tra infima presenza e colossale incertezza, a cui ogni essere è sottoposto.

Maria Elena Ricciuto, con Rituale, si rende architettrice di un cubo rosso, un luogo solitario in cui, a partire dalla sacralità delle abitudini quotidiane, la sua anima può condurre isolata una profonda ricerca introspettiva, che arriva a congiungersi con l’onirico e il divino, allontanando la sua esistenza dalle influenze esterne per rifugiarsi in se stessa. 

Alicya Ricciuto, con l’installazione 1200m, mostra il valore dei cardi di montagna e fa emergere un’intensa riflessione sulla geografia umanistica e sull’importanza del concetto di luogo, che può essere identificato attraverso la sua storia e di chi vi abita. 

«Lei sceglie i cardi di montagna non a caso, questi popolano anche l’Appennino centrale, ingredienti di rimedi naturali associati a formule magiche di antica memoria, elaborati dalla maestria femminile, che venivano conservati nella grotta della Sibilla».

«In questa città “delle cento torri” la luce disegna effetti cromatici sulle pietre di fiume del selciato e sul travertino dalle tinte dorate, cupe e ferrigne, testimoni di vissuti ancestrali che intrecciano il respiro delle rue, dove il tempo sembra dilatarsi, svelando non solo la storia ma anche il mistero che esse custodiscono. Sono cicatrici sulla pelle della città, dove si dispiegano tradizioni popolari e memorie legate alla magia e all’esoterismo. Ogni rua è una porta segreta, un sentiero verso un mondo parallelo, dove l’immaginazione si fonde con le leggende di un passato sospeso tra realtà e sogno.», dal testo critico di Barbara Caterbetti e Valentina Muzi.

In conclusione, di fronte alle opere esposte, non si può di certo non accogliere una dimensione che va dal logico al surreale, dal familiare all’ignoto, dal ricercato all’autentico, facilmente assimilabile dalla sapiente composizione del percorso espositivo. 

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