Luigi Presicce, il miracolo della mandibola

Raffaele Quida e Luigi Presicce Altars

Si intitola “Altars” il progetto a cura di Carmelo Cipriani e Antonio Grulli allestito nello spazio dell’ex chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce. In dialogo due artisti salentini Raffaele Quida e Luigi Presicce.

La sacralità degli altari vede una nuova luce attraverso le opere di Raffaele Quida e Luigi Presicce. Lo spazio dell’ex chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce, da tempo destinato ad esposizioni temporanee, diventa protagonista insieme ai lavori dei due artisti salentini di una nuova visione allestitiva. Qui le opere dialogano non solo tra loro, ma si incastrano bene con gli spazi barocchi, creando un nuovo percorso che punta alla riscoperta di un’antica bellezza. Altari su cui si svolgevano celebrazioni e che oggi ospitano un nuovo rito, altrettanto sacro: l’arte. Il progetto, chiamato appunto Altars, è a cura di Carmelo Cipriani e Antonio Grulli, è patrocinato dalla Provincia di Lecce e dal Polo Biblio-museale di Lecce ed è sostenuto dalla Fondazione per l’Arte e le Neuroscienze “Francesco Sticchi” di Maglie. 

Quattordici le opere in mostra, allestite in un percorso che abbraccia la chiesa e l’attigua cappella, che si alternano per creare un corposo ritmo in cui il rigore delle forme si contrappone alla fastosità dell’impianto barocco dell’edificio, immancabilmente connotato anche da preesistenze (la costruzione della chiesa di fa addirittura risalire al passaggio di San Francesco di ritorno dalla Terrasanta) e da rimaneggiamenti successivi. Il dialogo tra i due artisti parte con la serie Da Osiride al Dio Seth che combatte di Luigi Presicce, che si snoda per tutta la navata centrale. La performance recupera dieci posizioni (solo cinque in mostra) del culto misterico dedicato alle antiche divinità egizie, con un chiaro riferimento alla figura di Pitagora, reso noto attraverso una gamba dorata. Nel primo altare è collocata Fine eroica di un’immagine del Quattrocento (L’Accademia dell’immobilità), tableau vivant realizzato nel 2015 al Mambo di Bologna davanti alla tela I funerali di Togliatti di Renato Guttuso. Una performance eseguita con gli studenti de L’Accademia dell’immobilità e volta al raggiungimento dell’immobilità quale perfetto punto di contatto tra performance e pittura. Nell’altare prospiciente un’altra opera legata al tema dell’arte: Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle, in cui riferimenti a dipinti, cinema e teorie massoniche, conducono lo spettatore in un percorso iniziatico per apprendere le tecniche della pittura.

Raffaele Quida, assenza di ombra su fondo blu

La mostra prosegue con due opere di Raffaele Quida nell’altare dedicato a San Francesco: Due sezioni due tracce, in cui, tra due blocchi a taglio vivo, si enfatizza l’intangibilità del suono attraverso la presenza materiale di un nastro su cui è stato registrato l’audio della lama che ha tagliato il marmo, e Assenza di ombra su fondo blu, ombra su fondo blu, un dittico monocromo in velluto blu che richiama la scultura acefala di san Francesco sull’altare retrostante. L’opera contiene in sé un’ombra e la sua assenza, confermandone il suo essere effimera e sfuggente. Al centro della chiesa, sul presbiterio, la scenografia della performance di Presicce Il miracolo della mandibola, presentato al pubblico il 6 novembre, giorno di apertura della mostra. L’allestimento, con una grande mandibola bianca accostata a un motorino anni 80, indimenticato simbolo pop dell’Italia degli scorsi decenni, riflette sul tema della sacralità dell’arte accostata alla religione: un concetto astratto, quello del miracolo, che non si consuma ma che insidia in ognuno di noi il dubbio sulla veridicità delle reliquie e allo stesso tempo il processo di fede che scatta nelle nostre coscienze. Procedendo oltre, nell’altare della navata sinistra Raffaele Quida propone Piano inclinato con punti di incontro. Si tratta di una superficie specchiante in polimetilmetacrilato, posta in bilico su una pietra lavica, che riflette e distorce l’ambiente circostante e chiunque le si ponga di fronte, creando numerosi punti di osservazione e producendo uno squilibrio non solo percettivo ma anche iconografico.

L’esposizione prosegue poi nella parte più antica della chiesa, la vicina cappella, forse la chiesa originaria, ricca di affreschi e stratificazioni medievali e cinquecentesche. Qui si svolge un dialogo più serrato tra i due artisti, non solo per una questione di più stretta vicinanza spaziale ma anche per la scelta di alcune opere prodotte specificatamente in Puglia con storie e materiali del territorio. È il caso, ad esempio, di Santo Stefano, i coriandoli, le pietre, performance di Luigi Presicce ispirata alla traslazione delle reliquie in epoca bassomedievale e alle conseguenti origini del carnevale di Putignano. Il tableau vivant che ne è conseguito descrive la teatralità delle maschere, colorate legate tanto alla tradizione contadina quanto alla pittura di Ensor. Anche La custodia del sangue nella giostra dei tori è ambientata in una chiesa, quella di Santa Maria Donnaregina a Napoli. L’opera è dedicata al processo di scioglimento del sangue non per via miracolistica come vuole il culto di San Gennaro, ma come conseguenza della tauromachia. Raffaele Quida nelle sue opere sperimenta invece diversi materiali coniugati secondo principi antitetici di leggerezza e trasparenza come in Luce da Sud, in cui usa una lastra di piombo sovrapposta a una di cristallo che porta all’inevitabile riflessione su trascendente e immanente, tangibile e impalpabile, o Scultura biologica, riproposizione di un elemento biologico fissato su fogli acetati, mescolati e applicati in modo casuale sulla superficie dell’opera secondo un mero ordine compositivo in cui l’estetica supera la forma reale. Chiude il dialogo tra Presicce e Quida il diretto confronto, tra Privo di forma, senza inizio senza fine e Mago. La candida pietra di Trani con bordi frastagliati e impreziosita nei piccoli solchi con ceralacca dorata di Quida si contrappone al Mago, unico dipinto in mostra di Presicce, teso alla ricerca di una nuova figurazione, attenta alla sintesi e alla geometria, che porta ancora una volta alla riflessione su santi e maghi, figure antiche, con il potere della taumaturgia ed entrambi proiettati a creare un processo fideistico in cui la sacralità è solo il punto di partenza per elevare la propria spiritualità.